4. I tentativi golpisti
11. Il Movimento d’Azione Rivoluzionaria (Mar)
Documento aggiornato al 30/11/2005
Il Movimento d’Azione Rivoluzionaria (Mar) fondato da Carlo Fumagalli e da Gaetano Orlando, non è stato – contrariamente a quanto da più parti affermato – un gruppo eversivo neo-fascista ma, al contrario, un gruppo armato schierato su posizioni rigidamente atlantiche, propugnatore di una più rigida politica anticomunista e si una svolta di tipo presidenzialista, per dare all’Italia un governo forte.
Lo stesso Fumagalli amava definirsi "estremista di centro", mentre Gaetano Orlando aveva militato nelle fila del partito socialdemocratico, con il quale era stato eletto sindaco del suo paese, in Valtellina.
L’equivoco che ha portato molti commentatori ad assimilare il Mar agli altri gruppi neo-fascisti, deriva dalla successiva alleanza militare che il Mar strinse assai dopo la sua nascita con i ragazzi delle Sam (Squadre d’azione Mussolini) compiendo così quella saldatura tra oltranzisti atlantici e fascisti che ha determinato la nascita e lo sviluppo dell’intera strategia della tensione.
Basti ricordare che il Mar fu fondato nel 1962, per contrastare l’eventuale slittamento del paese su posizioni progressiste a seguito dei governi di centro-sinistra. E’ stato per questo ipotizzato che il Mar fosse una delle tante strutture di civili messe in piedi dai servizi segreti per appoggiare eventuali tentativi eversivi, come il Piano Solo.
L'esistenza del gruppo, la sua pericolosità e la sua attitudine eversiva, noti da tempo, divennero di dominio pubblico a seguito di accertamenti giudiziari, che mossero da un episodio avvenuto il 30 maggio 1974 - e cioè appena due giorni dopo la strage di piazza della Loggia in Brescia - in una località dell'Appennino (Pian del Rascino) dove una pattuglia dei Carabinieri sorprese, accampati in una tenda, tre estremisti; uno di questi riuscì a sparare ferendo due Carabinieri; gli altri militari della pattuglia risposero al fuoco uccidendolo. Il morto si chiamava Giancarlo Esposti, un aderente di An vicino al Mar già processato e condannato a Milano per attentati organizzati dalle Sam. E’ il caso di ricordare – perché la vicenda, come si vedrà in seguito, non risulterà priva di importanza – che i giorni precedenti alla sua fuga a Pian del Rascino, Esposti si era allontanato precipitosamente da Milano spiegando ai familiari che il suo gruppo sarebbe stato "tradito dai carabinieri". In pratica, Esposti e le Sam godevano dell’appoggio di ufficiali dell’Arma, come sarebbe stato dimostrato negli anni successivi.
In Brescia, 20 giorni prima della strage di piazza della Loggia, era stato arrestato il leader del gruppo Carlo Fumagalli insieme ad altre undici persone, con le quali trasportava ingenti quantità di esplosivo e di armi (compreso un bazooka, divise militari, 200 targhe false di automobili, passaporti falsi e due tende cabine insonorizzate del tipo usato per detenervi persone sequestrate). Fino a quel momento, Fumagalli aveva goduto di una sorta di immunità, che gli aveva consentito di rimanere libero, pur essendo il suo gruppo sospettato di essere l’autore di una serie di attentati ai tralicci in Versilia.
Le successive indagini giudiziarie che si conclusero con sentenza di condanna concernente una lunga serie di attentati a cose e persone e financo un sequestro di persona a scopo di estorsione, consentirono una prima ricostruzione dell'attività del Mar che aveva raggiunto la massima dimensione negli anni '70-'74, ma con una dislocazione nella sola Lombardia (in particolare nella Valtellina) e con al vertice Carlo Fumagalli e Gaetano Orlando.
Gli accertamenti giudiziari riguardarono però prevalentemente gli specifici episodi criminali appena ricordati, mentre all’epoca ne restarono almeno parzialmente in ombra le finalità più propriamente politiche e i collegamenti con altre strutture eversive.
Oggi molte lacune sono state colmate. E si può ritenere che il Mar, come detto, fin dal primo momento si pose in una posizione più marcatamente "filoatlantica" rispetto ad On e An (con cui, peraltro, avrebbe stretto una solida alleanza nel periodo di attività piena nel '73-'74, culminata nel già descritto episodio del conflitto a fuoco di Pian del Rascino): più in particolare è emerso che Carlo Fumagalli durante la Resistenza aveva comandato una, seppur del tutto anomala, formazione di "partigiani bianchi" chiamata "I Gufi", venendo così in contatto con Servizi segreti statunitensi (Oss), tanto da essere decorato, ed avere successivamente operato nello Yemen del Sud con la Cia.
Nel '70 il gruppo dei valtellinesi si era schierato, sia pure con posizioni meno oltranziste con la struttura del principe Borghese, rimanendone, però, autonomo e separato; negli anni '73-'74 aveva operato in numerose azioni terroristiche anche grazie alla grande disponibilità di armi ed esplosivo (ciò in particolare era avvenuto facendo esplodere i tralicci Enel della Valtellina, il cui controllo militare era ritenuto fondamentale per via del fatto che detta zona riforniva di energia elettrica l'intera Italia Settentrionale).
Attraverso la testimonianza di Gaetano Orlando è emerso il contrasto intervenuto tra lo stesso Orlando ed il Fumagalli, in relazione alla fusione tra Mar, An e On in funzione golpista, cui Orlando si era dichiarato contrario preferendo un ruolo maggiormente "legalitario" per il movimento. In pratica Orlando attribuisce al Mar (primo periodo) un carattere fortemente anticomunista ed un'attività, anche di tipo militare, in veste però unicamente difensiva e di deterrenza. In tale ottica afferma di aver partecipato a numerose riunioni con ufficiali dei Carabinieri, dell'esercito e della Nato, nel corso delle quali il gruppo era stato anche rifornito di armi. Poco alla volta si era fatta strada l'idea che il Mar potesse fungere da detonatore alla strategia della tensione, soprattutto con gli attentati ai tralicci, in modo da creare una richiesta di svolta autoritaria, soprattutto nel periodo più prossimo al progetto della "Rosa dei Venti".
La ricostruzione operata da Orlando è altresì riscontrata dalle parziali ammissioni dello stesso Fumagalli, in particolare in relazione agli stretti rapporti, e in parte all'univocità d'intenti, con i Carabinieri del cosiddetto gruppo di potere della "Pastrengo" di Milano ed altri Ufficiali dell' "Arma" in Lombardia, giunti persino a rifornire di armi il gruppo, e a non intervenire pur essendo al corrente delle responsabilità individuali per gli attentati ai tralicci.
Le complicità istituzionali delle quali ha goduto il Mar, oltreché sorprendenti, sono evidenti. Del resto le azioni del Movimento armato rivoluzionario, lungi dall’essere iniziative autonome, sono sempre state espressione di un disegno più vasto: anche nel 1970, con gli attentati ai tralicci, l'azione di Fumagalli rispondeva ad un disegno ben più vasto, come avrebbe ammesso lui stesso nel 1974 in un interrogatorio dinanzi al giudice di Brescia. Non a caso la vicenda giudiziaria si concluse nel nulla. In questa luce assumono importanza anche indizi apparentemente secondari, come ad esempio il fatto che ancora nel 1974 né alla questura di Milano né all'Ufficio affari riservati a Roma ci fosse una sua foto negli archivi.
Significativo, poi, è il fatto che il generale Nardella quando decise di darsi alla latitanza in previsione di un mandato di cattura da parte del giudice Tamburino, abbia chiesto la collaborazione del capo del Mar, che gli organizzò le varie tappe della fuga prima a Sanremo e poi all'estero. Se un generale, che ha diretto un settore delicato dell'apparato militare come l'Ufficio psicologico di un'armata, si affida, per un'incombenza del genere, ad un uomo come Fumagalli che per professione "ricicla" auto rubate, deve avere con lui rapporti che gli danno garanzie assolute e che presuppongono la comune appartenenza ad organismi occulti. D'altro canto, le dichiarazioni di Fumagalli dopo l'arresto sono inequivocabili: "Mi pagano anche per stare in carcere".
In questo quadro è sintomatico che dall'istruttoria siano emersi contatti – oltre che con Nardella – anche con vari altri imputati della Rosa dei Venti. C'è la testimonianza di Torquato Nicoli che, nel riferire un colloquio con Valerio Borghese del maggio-giugno 1973, ha detto che l'ex capo della X Mas gli aveva parlato di "grossi contatti in diverse regioni", di un nuovo colpo di Stato "già in fase di organizzazione" al quale avevano dato l'adesione anche dei militari che avevano distribuito 500 mitra "in parte a pochi fascisti e in maggior parte ad ex partigiani bianchi". Nicoli ha aggiunto poi che Giancarlo De Marchi gli precisò che parte dei mitra erano andati a Fumagalli.
Secondo la testimonianza di Gaetano Orlando, tra l'inizio del 1969 e il marzo 1970 si svolsero almeno tre riunioni, alle quali partecipò lo stesso Orlando, tra alcuni aderenti al Mar e ad altri gruppi eversivi di destra, e ufficiali italiani e statunitensi: "Il senso delle riunioni era che i militari volevano una garanzia assoluta che in Valtellina, ma anche in altre regioni come la Toscana, vi fosse una buona organizzazione di civili pronti a ricevere le armi dai carabinieri e ad affiancarli quando fosse giunto il momento del mutamento istituzionale, sempre in un'ottica anticomunista quale era la nostra. […] Dopo due di queste riunioni ci furono lasciate nel bagagliaio della macchina, direi da parte dei militari, una volta quattro o cinque pistole a tamburo ed una volta una pistola e un moschetto. In una di queste due occasioni si trattava proprio della mia vettura". Tra i partecipanti alla riunione, Orlando aveva indicato un colonnello, ufficiale dei Carabinieri, Dogliotti, e "due ufficiali americani che prendevano nota di tutto senza parlare". Il dato più significativo è che Dogliotti aveva non solo un suo ufficio presso il comando carabinieri di Padova, dove risultava di servizio, ma anche all’interno della base Nato di Vicenza. Un esempio concreto e lampante di "doppio Stato" e di "doppia lealtà".
La testimonianza di Gaetano Orlando è stata confermata da quella di Edgardo Bonazzi, che aggiunge altri particolari sconcertanti: "Per quanto concerne le consegne di armi di cui ho parlato in relazione alle riunioni di Padova, posso aggiungere che nelle medesime riunioni si presero gli accordi affinché al momento buono avremmo potuto ritirare le armi che servivano in due caserme dei Carabinieri della Valtellina. […] Confermo che c'erano contatti diretti, a Milano, con i massimi livelli della Divisione Pastrengo, cioè il Comando. […] A Milano, in più occasioni ed anche una volta con la mia presenza, furono acquistate armi al mercato nero. Si trattava prevalentemente di armi lunghe, anzi quasi esclusivamente. In queste occasioni, sicuramente in quella in cui c'ero io, c'era la copertura dei carabinieri di Milano".
I commenti che si potrebbero fare, a questo punto, sarebbero molti. E duri dovrebbero essere gli accenti. Ma è preferibile riportare integralmente quanto sul punto ha affermato in un atto ufficiale il giudice istruttore di Milano, Guido Salvini:
"… il quadro di uno Stato parallelo in cui civili, carabinieri e militari italiani e militari americani risultano comunemente impegnati nella prima metà degli anni '70 nel progetto di creazione di uno Stato "forte", deciso ad impedire in qualsiasi modo una possibile vittoria elettorale della sinistra. Ne esce quindi il quadro del nostro Paese come uno Stato a sovranità limitata in cui le decisioni vengono concordate d'intesa con gli Alti Comandi di un altro Stato […] In conclusione, la storia del MAR […] è forse l'esempio più indicativo dell'organicità dei legami che negli anni '70 sono stati stretti fra organizzazioni eversive, alti esponenti dell'Esercito e dei Carabinieri e addirittura ufficiali della Nato, del loro ruolo di controllo della politica italiana e delle stretto mantenimento del nostro Paese nel campo Atlantico e anticomunista."
Lo stesso Fumagalli amava definirsi "estremista di centro", mentre Gaetano Orlando aveva militato nelle fila del partito socialdemocratico, con il quale era stato eletto sindaco del suo paese, in Valtellina.
L’equivoco che ha portato molti commentatori ad assimilare il Mar agli altri gruppi neo-fascisti, deriva dalla successiva alleanza militare che il Mar strinse assai dopo la sua nascita con i ragazzi delle Sam (Squadre d’azione Mussolini) compiendo così quella saldatura tra oltranzisti atlantici e fascisti che ha determinato la nascita e lo sviluppo dell’intera strategia della tensione.
Basti ricordare che il Mar fu fondato nel 1962, per contrastare l’eventuale slittamento del paese su posizioni progressiste a seguito dei governi di centro-sinistra. E’ stato per questo ipotizzato che il Mar fosse una delle tante strutture di civili messe in piedi dai servizi segreti per appoggiare eventuali tentativi eversivi, come il Piano Solo.
L'esistenza del gruppo, la sua pericolosità e la sua attitudine eversiva, noti da tempo, divennero di dominio pubblico a seguito di accertamenti giudiziari, che mossero da un episodio avvenuto il 30 maggio 1974 - e cioè appena due giorni dopo la strage di piazza della Loggia in Brescia - in una località dell'Appennino (Pian del Rascino) dove una pattuglia dei Carabinieri sorprese, accampati in una tenda, tre estremisti; uno di questi riuscì a sparare ferendo due Carabinieri; gli altri militari della pattuglia risposero al fuoco uccidendolo. Il morto si chiamava Giancarlo Esposti, un aderente di An vicino al Mar già processato e condannato a Milano per attentati organizzati dalle Sam. E’ il caso di ricordare – perché la vicenda, come si vedrà in seguito, non risulterà priva di importanza – che i giorni precedenti alla sua fuga a Pian del Rascino, Esposti si era allontanato precipitosamente da Milano spiegando ai familiari che il suo gruppo sarebbe stato "tradito dai carabinieri". In pratica, Esposti e le Sam godevano dell’appoggio di ufficiali dell’Arma, come sarebbe stato dimostrato negli anni successivi.
In Brescia, 20 giorni prima della strage di piazza della Loggia, era stato arrestato il leader del gruppo Carlo Fumagalli insieme ad altre undici persone, con le quali trasportava ingenti quantità di esplosivo e di armi (compreso un bazooka, divise militari, 200 targhe false di automobili, passaporti falsi e due tende cabine insonorizzate del tipo usato per detenervi persone sequestrate). Fino a quel momento, Fumagalli aveva goduto di una sorta di immunità, che gli aveva consentito di rimanere libero, pur essendo il suo gruppo sospettato di essere l’autore di una serie di attentati ai tralicci in Versilia.
Le successive indagini giudiziarie che si conclusero con sentenza di condanna concernente una lunga serie di attentati a cose e persone e financo un sequestro di persona a scopo di estorsione, consentirono una prima ricostruzione dell'attività del Mar che aveva raggiunto la massima dimensione negli anni '70-'74, ma con una dislocazione nella sola Lombardia (in particolare nella Valtellina) e con al vertice Carlo Fumagalli e Gaetano Orlando.
Gli accertamenti giudiziari riguardarono però prevalentemente gli specifici episodi criminali appena ricordati, mentre all’epoca ne restarono almeno parzialmente in ombra le finalità più propriamente politiche e i collegamenti con altre strutture eversive.
Oggi molte lacune sono state colmate. E si può ritenere che il Mar, come detto, fin dal primo momento si pose in una posizione più marcatamente "filoatlantica" rispetto ad On e An (con cui, peraltro, avrebbe stretto una solida alleanza nel periodo di attività piena nel '73-'74, culminata nel già descritto episodio del conflitto a fuoco di Pian del Rascino): più in particolare è emerso che Carlo Fumagalli durante la Resistenza aveva comandato una, seppur del tutto anomala, formazione di "partigiani bianchi" chiamata "I Gufi", venendo così in contatto con Servizi segreti statunitensi (Oss), tanto da essere decorato, ed avere successivamente operato nello Yemen del Sud con la Cia.
Nel '70 il gruppo dei valtellinesi si era schierato, sia pure con posizioni meno oltranziste con la struttura del principe Borghese, rimanendone, però, autonomo e separato; negli anni '73-'74 aveva operato in numerose azioni terroristiche anche grazie alla grande disponibilità di armi ed esplosivo (ciò in particolare era avvenuto facendo esplodere i tralicci Enel della Valtellina, il cui controllo militare era ritenuto fondamentale per via del fatto che detta zona riforniva di energia elettrica l'intera Italia Settentrionale).
Attraverso la testimonianza di Gaetano Orlando è emerso il contrasto intervenuto tra lo stesso Orlando ed il Fumagalli, in relazione alla fusione tra Mar, An e On in funzione golpista, cui Orlando si era dichiarato contrario preferendo un ruolo maggiormente "legalitario" per il movimento. In pratica Orlando attribuisce al Mar (primo periodo) un carattere fortemente anticomunista ed un'attività, anche di tipo militare, in veste però unicamente difensiva e di deterrenza. In tale ottica afferma di aver partecipato a numerose riunioni con ufficiali dei Carabinieri, dell'esercito e della Nato, nel corso delle quali il gruppo era stato anche rifornito di armi. Poco alla volta si era fatta strada l'idea che il Mar potesse fungere da detonatore alla strategia della tensione, soprattutto con gli attentati ai tralicci, in modo da creare una richiesta di svolta autoritaria, soprattutto nel periodo più prossimo al progetto della "Rosa dei Venti".
La ricostruzione operata da Orlando è altresì riscontrata dalle parziali ammissioni dello stesso Fumagalli, in particolare in relazione agli stretti rapporti, e in parte all'univocità d'intenti, con i Carabinieri del cosiddetto gruppo di potere della "Pastrengo" di Milano ed altri Ufficiali dell' "Arma" in Lombardia, giunti persino a rifornire di armi il gruppo, e a non intervenire pur essendo al corrente delle responsabilità individuali per gli attentati ai tralicci.
Le complicità istituzionali delle quali ha goduto il Mar, oltreché sorprendenti, sono evidenti. Del resto le azioni del Movimento armato rivoluzionario, lungi dall’essere iniziative autonome, sono sempre state espressione di un disegno più vasto: anche nel 1970, con gli attentati ai tralicci, l'azione di Fumagalli rispondeva ad un disegno ben più vasto, come avrebbe ammesso lui stesso nel 1974 in un interrogatorio dinanzi al giudice di Brescia. Non a caso la vicenda giudiziaria si concluse nel nulla. In questa luce assumono importanza anche indizi apparentemente secondari, come ad esempio il fatto che ancora nel 1974 né alla questura di Milano né all'Ufficio affari riservati a Roma ci fosse una sua foto negli archivi.
Significativo, poi, è il fatto che il generale Nardella quando decise di darsi alla latitanza in previsione di un mandato di cattura da parte del giudice Tamburino, abbia chiesto la collaborazione del capo del Mar, che gli organizzò le varie tappe della fuga prima a Sanremo e poi all'estero. Se un generale, che ha diretto un settore delicato dell'apparato militare come l'Ufficio psicologico di un'armata, si affida, per un'incombenza del genere, ad un uomo come Fumagalli che per professione "ricicla" auto rubate, deve avere con lui rapporti che gli danno garanzie assolute e che presuppongono la comune appartenenza ad organismi occulti. D'altro canto, le dichiarazioni di Fumagalli dopo l'arresto sono inequivocabili: "Mi pagano anche per stare in carcere".
In questo quadro è sintomatico che dall'istruttoria siano emersi contatti – oltre che con Nardella – anche con vari altri imputati della Rosa dei Venti. C'è la testimonianza di Torquato Nicoli che, nel riferire un colloquio con Valerio Borghese del maggio-giugno 1973, ha detto che l'ex capo della X Mas gli aveva parlato di "grossi contatti in diverse regioni", di un nuovo colpo di Stato "già in fase di organizzazione" al quale avevano dato l'adesione anche dei militari che avevano distribuito 500 mitra "in parte a pochi fascisti e in maggior parte ad ex partigiani bianchi". Nicoli ha aggiunto poi che Giancarlo De Marchi gli precisò che parte dei mitra erano andati a Fumagalli.
Secondo la testimonianza di Gaetano Orlando, tra l'inizio del 1969 e il marzo 1970 si svolsero almeno tre riunioni, alle quali partecipò lo stesso Orlando, tra alcuni aderenti al Mar e ad altri gruppi eversivi di destra, e ufficiali italiani e statunitensi: "Il senso delle riunioni era che i militari volevano una garanzia assoluta che in Valtellina, ma anche in altre regioni come la Toscana, vi fosse una buona organizzazione di civili pronti a ricevere le armi dai carabinieri e ad affiancarli quando fosse giunto il momento del mutamento istituzionale, sempre in un'ottica anticomunista quale era la nostra. […] Dopo due di queste riunioni ci furono lasciate nel bagagliaio della macchina, direi da parte dei militari, una volta quattro o cinque pistole a tamburo ed una volta una pistola e un moschetto. In una di queste due occasioni si trattava proprio della mia vettura". Tra i partecipanti alla riunione, Orlando aveva indicato un colonnello, ufficiale dei Carabinieri, Dogliotti, e "due ufficiali americani che prendevano nota di tutto senza parlare". Il dato più significativo è che Dogliotti aveva non solo un suo ufficio presso il comando carabinieri di Padova, dove risultava di servizio, ma anche all’interno della base Nato di Vicenza. Un esempio concreto e lampante di "doppio Stato" e di "doppia lealtà".
La testimonianza di Gaetano Orlando è stata confermata da quella di Edgardo Bonazzi, che aggiunge altri particolari sconcertanti: "Per quanto concerne le consegne di armi di cui ho parlato in relazione alle riunioni di Padova, posso aggiungere che nelle medesime riunioni si presero gli accordi affinché al momento buono avremmo potuto ritirare le armi che servivano in due caserme dei Carabinieri della Valtellina. […] Confermo che c'erano contatti diretti, a Milano, con i massimi livelli della Divisione Pastrengo, cioè il Comando. […] A Milano, in più occasioni ed anche una volta con la mia presenza, furono acquistate armi al mercato nero. Si trattava prevalentemente di armi lunghe, anzi quasi esclusivamente. In queste occasioni, sicuramente in quella in cui c'ero io, c'era la copertura dei carabinieri di Milano".
I commenti che si potrebbero fare, a questo punto, sarebbero molti. E duri dovrebbero essere gli accenti. Ma è preferibile riportare integralmente quanto sul punto ha affermato in un atto ufficiale il giudice istruttore di Milano, Guido Salvini:
"… il quadro di uno Stato parallelo in cui civili, carabinieri e militari italiani e militari americani risultano comunemente impegnati nella prima metà degli anni '70 nel progetto di creazione di uno Stato "forte", deciso ad impedire in qualsiasi modo una possibile vittoria elettorale della sinistra. Ne esce quindi il quadro del nostro Paese come uno Stato a sovranità limitata in cui le decisioni vengono concordate d'intesa con gli Alti Comandi di un altro Stato […] In conclusione, la storia del MAR […] è forse l'esempio più indicativo dell'organicità dei legami che negli anni '70 sono stati stretti fra organizzazioni eversive, alti esponenti dell'Esercito e dei Carabinieri e addirittura ufficiali della Nato, del loro ruolo di controllo della politica italiana e delle stretto mantenimento del nostro Paese nel campo Atlantico e anticomunista."