4. I tentativi golpisti
15. Gli ostacoli alle indagini della magistratura
Documento aggiornato al 30/11/2005
Come si può rilevare, il carattere eversivo dell'azione emergeva con chiarezza: se i giudici di Torino avessero potuto continuare nella loro istruttoria avrebbero probabilmente raccolto prove di alte coperture, interne e internazionali. Ma furono fermati da due diversi interventi, la citata pronuncia della Cassazione che fin dal 30 dicembre 1974 aveva ordinato di trasferire l'istruttoria a Roma, e l'atteggiamento del servizio segreto militare dell'epoca, il Sid, che pur avendo in parte concorso all'individuazione delle responsabilità dei congiurati, negò poi al G.I. l'accesso a documenti che riguardavano i due principali imputati, Sogno e Cavallo, e che il Giudice valutava indispensabili per il buon esito delle indagini.
Nel corso dell'istruttoria, infatti, il giudice Violante aveva valutato necessario acquisire agli atti il carteggio riguardante Edgardo Sogno, esistente negli archivi del Sid. Il 27 gennaio 1975, perciò, ne aveva fatto esplicita richiesta al capo del servizio. Il 12 febbraio successivo, il Sid inviava poche pagine ampiamente coperte da "obliterazioni" che nascondevano a volte l'intero foglio, e precisava che i restanti documenti non potevano essere trasmessi, perché si riferivano a "materia connessa a specifica attività di controspionaggio".
Il magistrato si era rivolto allora al presidente del consiglio, Moro, chiedendo se confermasse l'esistenza del segreto politico-militare sul carteggio in questione. Il 4 giugno 1975, Moro rispondeva affermando che i documenti non consegnati rientravano "nella materia connessa a specifica attività di controspionaggio in relazione a dati formali soggettivi (nomi di personaggi stranieri e di agenti informatori, sigle di operazioni di controspionaggio, denominazione di uffici addetti alle operazioni ed altri elementi analoghi) che dovevano essere mantenuti segreti a tutela di interessi politici e militari". Il presidente del consiglio aggiungeva comunque: "sotto il profilo del loro contenuto oggettivo-sostanziale i documenti non contengono notizie di carattere segreto" per cui, previa obliterazione dei dati formali, potevano essere trasmessi. Il 18 luglio 1975 giungevano così al magistrato settantuno fogli, sui quali le obliterazioni erano tali e tante che si stentava a comprendere il senso dei pochi brani lasciati scoperti. Dietro il pretesto del legittimo diritto di celare nomi degli agenti informatori e altre notizie relative agli uffici e alle operazioni del Sid, il servizio aveva nascosto dati – che non aveva alcun diritto di celare – relativi all'"attività dell'indiziato volta alla ricerca e alla acquisizione di consensi ed appoggi finanziari per la propria azione di propaganda", come lo stesso Moro aveva affermato nella risposta. Da qui la necessità di acquisire tutti i documenti in maniera integrale.
Perciò, il 28 gennaio 1976, il giudice chiedeva al capo del Sid la trasmissione dei documenti relativi ad eventuali rapporti tra Sogno e gli uomini del Sid. Il 9 febbraio, il servizio rispondeva affermando che queste relazioni erano coperte da segreto politico-militare. Lo stesso giorno, Violante chiedeva che gli venisse trasmesso il carteggio relativo a Luigi Cavallo. Il Sid spediva due fogli, affermando che la restante parte del dossier era coperta da segreto politico-militare. Inoltre, il 4 febbraio 1976, il magistrato aveva interrogato il generale Miceli il quale, alla domanda se avesse mai avuto finanziamenti dagli Stati Uniti, si era trincerato anch'egli dietro il segreto politico-militare.
Il 12 febbraio e il 15 aprile, il giudice chiedeva al presidente del consiglio Moro di "confermare se la materia relativa agli eventuali finanziamenti suindicati e alle finalità specifiche di detti finanziamenti fosse coperta dal segreto politico-militare". A questa nuova richiesta, il presidente del consiglio non rispondeva neppure. Era evidente che ciò rendeva impossibile la prosecuzione dell'istruttoria, poiché Violante aveva buoni motivi per sospettare che proprio tra gli interlocutori di Sogno, in special modo stranieri, potessero esserci i complici e i finanziatori del suo progetto eversivo. Era importante quindi conoscere se tra i destinatari degli ottocentomila dollari che la Cia aveva dato a Miceli "per la conduzione di una campagna di propaganda" ci fossero per caso alcuni degli imputati. L'opposizione del segreto politico-militare da parte di Moro e di Miceli si veniva a configurare come un vero e proprio sbarramento all'azione legittima della giustizia per finalità illecite.
In base a queste considerazioni, il 5 maggio 1976, il magistrato torinese, nell'emettere mandato di arresto contro Sogno e Cavallo, sollevava, dinanzi alla Corte costituzionale, un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e una questione di legittimità costituzionale per due articoli del codice di procedura penale. Contemporaneamente, il giudice prendeva atto delle pronunce della magistratura superiore, che aveva trasferito a Roma le istruttorie, e dichiarava la sua incompetenza territoriale a proseguire l'indagine. È da notare che, mentre negli analoghi casi di Padova e Milano il conflitto di competenza era stato sollevato da altro giudice, questa volta la Cassazione aveva avviato la procedura di trasferimento su semplice richiesta del difensore di un imputato minore.
L’impellenza "politica" di togliere l'istruttoria a un giudice serio era ancora più manifesta. Nelle mani di Violante l'indagine avrebbe probabilmente portato a scoprire che servizi segreti italiani e statunitensi erano coinvolti in prima persona in quella azione "violenta, spietata e rapidissima" che i congiurati avevano deciso di attuare per ferragosto 1974.
Il 3 marzo 1977, la Corte costituzionale rispondeva al conflitto di attribuzione sollevato dal giudice Violante di fronte al rifiuto della Presidenza del Consiglio di trasmettere al magistrato il carteggio relativo a Edgardo Sogno, esistente presso i servizi di sicurezza. La Corte dichiarava ammissibile il ricorso proposto dal giudice. Nell'ordinanza essa affermava che se il Presidente del Consiglio dei ministri è senza dubbio competente a opporre il segreto, tuttavia in astratto era possibile che con questo divieto impedisse al giudice di svolgere le sue funzioni istituzionali di acquisizione delle prove necessarie per la istruzione di un processo penale. Era dunque corretto che un magistrato chiamasse la Corte a valutare se nel caso specifico era più rilevante la tutela del segreto da parte dell'esecutivo o il diritto dovere di indagine del giudice. Era un'ordinanza importantissima, perché per la prima volta legittimava i singoli organi giudiziari a porsi come parte in conflitti di attribuzione su questo tema. Quanto all'argomento specifico, cioè alla legittimità o meno della decisione del presidente del consiglio di non trasmettere a Violante il carteggio su Sogno esistente al Sid, lo stesso magistrato avrebbe dovuto, entro venti giorni, esplicare alcuni adempimenti formali necessari per la prosecuzione del giudizio. Nel frattempo, però, l'istruttoria gli era stata sottratta e trasferita a Roma; Violante non avrebbe dunque potuto avvalersi giudizialmente del materiale che una eventuale sentenza favorevole avrebbe reso disponibile, per cui egli non proseguì l'azione, che venne a cadere. Era stato comunque sancito un principio di grande importanza, utilizzabile da tutti i giudici che si fossero trovati in situazioni analoghe.
Ancora più importante era la successiva sentenza della Corte, che rispondeva alla questione di legittimità costituzionale sollevata sempre dal giudice Violante circa gli articoli 342 e 352 del codice di procedura penale, nelle parti riguardanti il segreto politico-militare. Il magistrato aveva osservato che la norma, così come era disciplinata dai due articoli, era in pratica "una normativa di sbarramento per effetto della quale il giudice non ha alcuna possibilità di intervenire ed il potere esecutivo rimane pienamente arbitro di decidere".
Anche in questo caso la Corte dava ragione al magistrato, dichiarando l'illegittimità costituzionale dei due articoli del Codice di procedura penale nella parte in cui il Presidente del Consiglio non era chiamato a fornire, entro un termine ragionevole, una motivazione fondata delle ragioni che lo spingevano a confermare il segreto.
La sentenza della Corte Costituzionale, peraltro, era sopravvenuta dopo che la corte di Cassazione aveva trasferito a Roma l'istruttoria. Qui il 7 dicembre 1977 il Pubblico Ministero chiedeva il proscioglimento di Pacciardi, Orlandini, Pagnozzi, Borghesio e della Nicastro per non aver commesso il fatto, e il proscioglimento di Edgardo Sogno e Luigi Cavallo per insufficienza di prove. Il 12 settembre 1978 il Giudice Istruttore dr. Francesco Amato dichiarava non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati "perché il fatto non sussiste".
Edgardo Sogno, per la verità, non ha mai negato di aver predisposto, nel 1974, atti preparatori in vista di una azione anche armata contro una possibile vittoria elettorale delle sinistre.
Nel marzo del 1997 egli rese nota la lista dei ministri del suo governo "forte".
Presidente del Consiglio: Randolfo Pacciardi(*); sottosegretari alla presidenza del consiglio: Antonio de Martini e Celso De Stefanis(*); ministro degli Esteri: Manlio Brosio(*); ministro degli Interni: Eugenio Reale; ministro della Difesa: Edgardo Sogno(*); ministro delle Finanze: Ivan Matteo Lombardo(*); ministro del Tesoro e del Bilancio: Sergio Ricossa; ministro di Grazia e Giustizia: Giovanni Colli; ministro della Pubblica Istruzione: Giano Accame; ministro dell'Informazione: Mauro Mita; ministro dell'Industria: Giuseppe Zamberletti; ministro del Lavoro: Bartolo Ciccardini; ministro della Sanità: Aldo Cucchi; ministro della Marina Mercantile: Luigi Durand de la Penne(*).
Conclusivamente va posto in evidenza, come già accennato, che i punti programmatici contenuti nel piano del cosiddetto "golpe bianco", epurati degli aspetti di intervento violento, costituirono i momenti fondanti del Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli e dei suoi autorevoli collaboratori. È da rilevare che, da alcuni riferimenti temporali contenuti nel piano stesso (non era prevista la tornata elettorale del 1976, che fu decisa per scioglimento anticipato delle Camere solo nella primavera dello stesso anno), si può datare il piano all'autunno del 1975, subito dopo le elezioni amministrative del giugno di quell'anno. Dunque solo un anno dopo il piano di Sogno.
Ma ciò che va rilevato è la stretta somiglianza, se non identità, fra i due piani. Il progetto di Sogno prevedeva l'istituzione di un sindacato unico. Nel piano di Gelli si afferma che "L'unità sindacale in atto è la peggiore nemica della democrazia". Altri punti qualificanti sono così simili da autorizzare l'ipotesi che nella stesura del Piano di Rinascita Democratica siano stati tenuti presenti i documenti preparati da Sogno, che del resto era iscritto alla loggia P2. Le condizioni internazionali, radicalmente cambiate dopo la caduta di Nixon, avevano portato alla dissoluzione dei governi paleofascisti in Grecia e Portogallo e dunque rendevano improponibile la strada del golpe, sia pure "bianco", per imporre alcune correzioni istituzionali. Dal 1976 in poi, la Loggia P2 perseguirà gli stessi obiettivi con altri mezzi.
Nel corso dell'istruttoria, infatti, il giudice Violante aveva valutato necessario acquisire agli atti il carteggio riguardante Edgardo Sogno, esistente negli archivi del Sid. Il 27 gennaio 1975, perciò, ne aveva fatto esplicita richiesta al capo del servizio. Il 12 febbraio successivo, il Sid inviava poche pagine ampiamente coperte da "obliterazioni" che nascondevano a volte l'intero foglio, e precisava che i restanti documenti non potevano essere trasmessi, perché si riferivano a "materia connessa a specifica attività di controspionaggio".
Il magistrato si era rivolto allora al presidente del consiglio, Moro, chiedendo se confermasse l'esistenza del segreto politico-militare sul carteggio in questione. Il 4 giugno 1975, Moro rispondeva affermando che i documenti non consegnati rientravano "nella materia connessa a specifica attività di controspionaggio in relazione a dati formali soggettivi (nomi di personaggi stranieri e di agenti informatori, sigle di operazioni di controspionaggio, denominazione di uffici addetti alle operazioni ed altri elementi analoghi) che dovevano essere mantenuti segreti a tutela di interessi politici e militari". Il presidente del consiglio aggiungeva comunque: "sotto il profilo del loro contenuto oggettivo-sostanziale i documenti non contengono notizie di carattere segreto" per cui, previa obliterazione dei dati formali, potevano essere trasmessi. Il 18 luglio 1975 giungevano così al magistrato settantuno fogli, sui quali le obliterazioni erano tali e tante che si stentava a comprendere il senso dei pochi brani lasciati scoperti. Dietro il pretesto del legittimo diritto di celare nomi degli agenti informatori e altre notizie relative agli uffici e alle operazioni del Sid, il servizio aveva nascosto dati – che non aveva alcun diritto di celare – relativi all'"attività dell'indiziato volta alla ricerca e alla acquisizione di consensi ed appoggi finanziari per la propria azione di propaganda", come lo stesso Moro aveva affermato nella risposta. Da qui la necessità di acquisire tutti i documenti in maniera integrale.
Perciò, il 28 gennaio 1976, il giudice chiedeva al capo del Sid la trasmissione dei documenti relativi ad eventuali rapporti tra Sogno e gli uomini del Sid. Il 9 febbraio, il servizio rispondeva affermando che queste relazioni erano coperte da segreto politico-militare. Lo stesso giorno, Violante chiedeva che gli venisse trasmesso il carteggio relativo a Luigi Cavallo. Il Sid spediva due fogli, affermando che la restante parte del dossier era coperta da segreto politico-militare. Inoltre, il 4 febbraio 1976, il magistrato aveva interrogato il generale Miceli il quale, alla domanda se avesse mai avuto finanziamenti dagli Stati Uniti, si era trincerato anch'egli dietro il segreto politico-militare.
Il 12 febbraio e il 15 aprile, il giudice chiedeva al presidente del consiglio Moro di "confermare se la materia relativa agli eventuali finanziamenti suindicati e alle finalità specifiche di detti finanziamenti fosse coperta dal segreto politico-militare". A questa nuova richiesta, il presidente del consiglio non rispondeva neppure. Era evidente che ciò rendeva impossibile la prosecuzione dell'istruttoria, poiché Violante aveva buoni motivi per sospettare che proprio tra gli interlocutori di Sogno, in special modo stranieri, potessero esserci i complici e i finanziatori del suo progetto eversivo. Era importante quindi conoscere se tra i destinatari degli ottocentomila dollari che la Cia aveva dato a Miceli "per la conduzione di una campagna di propaganda" ci fossero per caso alcuni degli imputati. L'opposizione del segreto politico-militare da parte di Moro e di Miceli si veniva a configurare come un vero e proprio sbarramento all'azione legittima della giustizia per finalità illecite.
In base a queste considerazioni, il 5 maggio 1976, il magistrato torinese, nell'emettere mandato di arresto contro Sogno e Cavallo, sollevava, dinanzi alla Corte costituzionale, un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e una questione di legittimità costituzionale per due articoli del codice di procedura penale. Contemporaneamente, il giudice prendeva atto delle pronunce della magistratura superiore, che aveva trasferito a Roma le istruttorie, e dichiarava la sua incompetenza territoriale a proseguire l'indagine. È da notare che, mentre negli analoghi casi di Padova e Milano il conflitto di competenza era stato sollevato da altro giudice, questa volta la Cassazione aveva avviato la procedura di trasferimento su semplice richiesta del difensore di un imputato minore.
L’impellenza "politica" di togliere l'istruttoria a un giudice serio era ancora più manifesta. Nelle mani di Violante l'indagine avrebbe probabilmente portato a scoprire che servizi segreti italiani e statunitensi erano coinvolti in prima persona in quella azione "violenta, spietata e rapidissima" che i congiurati avevano deciso di attuare per ferragosto 1974.
Il 3 marzo 1977, la Corte costituzionale rispondeva al conflitto di attribuzione sollevato dal giudice Violante di fronte al rifiuto della Presidenza del Consiglio di trasmettere al magistrato il carteggio relativo a Edgardo Sogno, esistente presso i servizi di sicurezza. La Corte dichiarava ammissibile il ricorso proposto dal giudice. Nell'ordinanza essa affermava che se il Presidente del Consiglio dei ministri è senza dubbio competente a opporre il segreto, tuttavia in astratto era possibile che con questo divieto impedisse al giudice di svolgere le sue funzioni istituzionali di acquisizione delle prove necessarie per la istruzione di un processo penale. Era dunque corretto che un magistrato chiamasse la Corte a valutare se nel caso specifico era più rilevante la tutela del segreto da parte dell'esecutivo o il diritto dovere di indagine del giudice. Era un'ordinanza importantissima, perché per la prima volta legittimava i singoli organi giudiziari a porsi come parte in conflitti di attribuzione su questo tema. Quanto all'argomento specifico, cioè alla legittimità o meno della decisione del presidente del consiglio di non trasmettere a Violante il carteggio su Sogno esistente al Sid, lo stesso magistrato avrebbe dovuto, entro venti giorni, esplicare alcuni adempimenti formali necessari per la prosecuzione del giudizio. Nel frattempo, però, l'istruttoria gli era stata sottratta e trasferita a Roma; Violante non avrebbe dunque potuto avvalersi giudizialmente del materiale che una eventuale sentenza favorevole avrebbe reso disponibile, per cui egli non proseguì l'azione, che venne a cadere. Era stato comunque sancito un principio di grande importanza, utilizzabile da tutti i giudici che si fossero trovati in situazioni analoghe.
Ancora più importante era la successiva sentenza della Corte, che rispondeva alla questione di legittimità costituzionale sollevata sempre dal giudice Violante circa gli articoli 342 e 352 del codice di procedura penale, nelle parti riguardanti il segreto politico-militare. Il magistrato aveva osservato che la norma, così come era disciplinata dai due articoli, era in pratica "una normativa di sbarramento per effetto della quale il giudice non ha alcuna possibilità di intervenire ed il potere esecutivo rimane pienamente arbitro di decidere".
Anche in questo caso la Corte dava ragione al magistrato, dichiarando l'illegittimità costituzionale dei due articoli del Codice di procedura penale nella parte in cui il Presidente del Consiglio non era chiamato a fornire, entro un termine ragionevole, una motivazione fondata delle ragioni che lo spingevano a confermare il segreto.
La sentenza della Corte Costituzionale, peraltro, era sopravvenuta dopo che la corte di Cassazione aveva trasferito a Roma l'istruttoria. Qui il 7 dicembre 1977 il Pubblico Ministero chiedeva il proscioglimento di Pacciardi, Orlandini, Pagnozzi, Borghesio e della Nicastro per non aver commesso il fatto, e il proscioglimento di Edgardo Sogno e Luigi Cavallo per insufficienza di prove. Il 12 settembre 1978 il Giudice Istruttore dr. Francesco Amato dichiarava non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati "perché il fatto non sussiste".
Edgardo Sogno, per la verità, non ha mai negato di aver predisposto, nel 1974, atti preparatori in vista di una azione anche armata contro una possibile vittoria elettorale delle sinistre.
Nel marzo del 1997 egli rese nota la lista dei ministri del suo governo "forte".
Presidente del Consiglio: Randolfo Pacciardi(*); sottosegretari alla presidenza del consiglio: Antonio de Martini e Celso De Stefanis(*); ministro degli Esteri: Manlio Brosio(*); ministro degli Interni: Eugenio Reale; ministro della Difesa: Edgardo Sogno(*); ministro delle Finanze: Ivan Matteo Lombardo(*); ministro del Tesoro e del Bilancio: Sergio Ricossa; ministro di Grazia e Giustizia: Giovanni Colli; ministro della Pubblica Istruzione: Giano Accame; ministro dell'Informazione: Mauro Mita; ministro dell'Industria: Giuseppe Zamberletti; ministro del Lavoro: Bartolo Ciccardini; ministro della Sanità: Aldo Cucchi; ministro della Marina Mercantile: Luigi Durand de la Penne(*).
Conclusivamente va posto in evidenza, come già accennato, che i punti programmatici contenuti nel piano del cosiddetto "golpe bianco", epurati degli aspetti di intervento violento, costituirono i momenti fondanti del Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli e dei suoi autorevoli collaboratori. È da rilevare che, da alcuni riferimenti temporali contenuti nel piano stesso (non era prevista la tornata elettorale del 1976, che fu decisa per scioglimento anticipato delle Camere solo nella primavera dello stesso anno), si può datare il piano all'autunno del 1975, subito dopo le elezioni amministrative del giugno di quell'anno. Dunque solo un anno dopo il piano di Sogno.
Ma ciò che va rilevato è la stretta somiglianza, se non identità, fra i due piani. Il progetto di Sogno prevedeva l'istituzione di un sindacato unico. Nel piano di Gelli si afferma che "L'unità sindacale in atto è la peggiore nemica della democrazia". Altri punti qualificanti sono così simili da autorizzare l'ipotesi che nella stesura del Piano di Rinascita Democratica siano stati tenuti presenti i documenti preparati da Sogno, che del resto era iscritto alla loggia P2. Le condizioni internazionali, radicalmente cambiate dopo la caduta di Nixon, avevano portato alla dissoluzione dei governi paleofascisti in Grecia e Portogallo e dunque rendevano improponibile la strada del golpe, sia pure "bianco", per imporre alcune correzioni istituzionali. Dal 1976 in poi, la Loggia P2 perseguirà gli stessi obiettivi con altri mezzi.