Il discorso che Robert F. Kennedy tenne a Cleveland, Ohio, il 5 Aprile 1968
"Quando un americano uccide un altro americano..."
Il giorno precedente, il 4 Aprile 1968, a Memphis, Tennessee, era stato assassinato Martin Luther King
Documento aggiornato al 06/03/2007
"Oggi non è una giornata per fare politica.
Mi sono riservato questa occasione come unico impegno di oggi per parlare brevemente con voi della minaccia insensata che rappresenta la violenza in America e che macchia la nostra nazione e la vita di ciascuno di noi.
Non è la preoccupazione di una sola razza.
Le vittime della violenza sono bianchi e neri, ricchi e poveri, giovani e anziani, famosi e sconosciuti. Sono innanzi tutto, esseri umani che altri esseri umani amavano e di cui avevano bisogno.
Nessuno, indipendentemente da dove viva o da ciò che faccia, può essere sicuro di chi sarà il prossimo a soffrire per un insensato atto di sangue. E tuttavia la violenza continua incessantemente in questo nostro paese. Perché? Che cosa mai ha ottenuto la violenza? Che cosa ha creato?
Quando un Americano toglie la vita ad un altro Americano senza che sia necessario, sia che venga fatto in nome della legge sia contro la legge, da un uomo solo o da una banda, a sangue freddo o in preda al furore, in un’esplosione di violenza o in risposta alla violenza, quando operiamo uno strappo al tessuto della vita che l’altro ha faticosamente e goffamente creato per sé e per i propri figli, quando facciamo questo allora l’intera nazione ne è degradata. Eppure sembra che tolleriamo un crescente livello di violenza che ignora l’umanità che ci accomuna e in ugual misura le nostre pretese di civiltà.
Troppo spesso ammiriamo la spavalderia, la prepotenza e l’uso della forza; troppo spesso giustifichiamo chi è disposto a costruire la propria vita sui sogni infranti di altri esseri umani. Ma una cosa è chiara: la violenza genera violenza, la repressione genera rappresaglia e solo una pulizia di tutta la nostra società potrà estirpare questo male dalla nostra anima.
Perché quando si insegna ad odiare e a temere il proprio fratello, quando si insegna che è un uomo di minor valore per via del suo colore o delle sue idee o della politica che persegue, quando si insegna che chi è diverso da te minaccia la tua libertà o il tuo lavoro o la tua casa o la tua famiglia, allora si impara ad affrontare l’altro non come compatriota ma come nemico, da avvicinare non con collaborazione, ma per con conquistarlo, per soggiogarlo e sottometterlo. Noi impariamo a guardare i nostri fratelli come estranei con cui dividiamo una città, ma non una comunità, uomini legati a noi da uno spazio comune, ma non da un impegno comune.
Impariamo a dividere solo una paura comune, solo un comune desiderio di allontanarci dagli altri, solo una comune spinta a reagire al disaccordo con la violenza.
La nostra vita su questo pianeta è troppo breve, il lavoro da compiere troppo vasto perché questo spirito prosperi ancora a lungo nella nostra nazione. Non possiamo debellarlo con un programma, né con una risoluzione. Ma possiamo forse ricordare, anche solo per un momento, che coloro che vivono con noi sono nostri fratelli, che condividono con noi lo stesso breve arco di vita e che cercano, come noi tutti, solamente la possibilità di vivere la propria vita con uno scopo e nella felicità, conquistandosi la soddisfazione e l’appagamento che possono.
Questo legame dato da un destino comune , dagli scopi comuni può cominciare a insegnarci qualcosa.
Possiamo imparare perlomeno a guardare a chi ci sta intorno come al nostro prossimo e metterci a lavorare con maggior impegno per sanare le ferite che ci sono tra noi e diventare nuovamente fratelli e compatrioti nel cuore."
Mi sono riservato questa occasione come unico impegno di oggi per parlare brevemente con voi della minaccia insensata che rappresenta la violenza in America e che macchia la nostra nazione e la vita di ciascuno di noi.
Non è la preoccupazione di una sola razza.
Le vittime della violenza sono bianchi e neri, ricchi e poveri, giovani e anziani, famosi e sconosciuti. Sono innanzi tutto, esseri umani che altri esseri umani amavano e di cui avevano bisogno.
Nessuno, indipendentemente da dove viva o da ciò che faccia, può essere sicuro di chi sarà il prossimo a soffrire per un insensato atto di sangue. E tuttavia la violenza continua incessantemente in questo nostro paese. Perché? Che cosa mai ha ottenuto la violenza? Che cosa ha creato?
Quando un Americano toglie la vita ad un altro Americano senza che sia necessario, sia che venga fatto in nome della legge sia contro la legge, da un uomo solo o da una banda, a sangue freddo o in preda al furore, in un’esplosione di violenza o in risposta alla violenza, quando operiamo uno strappo al tessuto della vita che l’altro ha faticosamente e goffamente creato per sé e per i propri figli, quando facciamo questo allora l’intera nazione ne è degradata. Eppure sembra che tolleriamo un crescente livello di violenza che ignora l’umanità che ci accomuna e in ugual misura le nostre pretese di civiltà.
Troppo spesso ammiriamo la spavalderia, la prepotenza e l’uso della forza; troppo spesso giustifichiamo chi è disposto a costruire la propria vita sui sogni infranti di altri esseri umani. Ma una cosa è chiara: la violenza genera violenza, la repressione genera rappresaglia e solo una pulizia di tutta la nostra società potrà estirpare questo male dalla nostra anima.
Perché quando si insegna ad odiare e a temere il proprio fratello, quando si insegna che è un uomo di minor valore per via del suo colore o delle sue idee o della politica che persegue, quando si insegna che chi è diverso da te minaccia la tua libertà o il tuo lavoro o la tua casa o la tua famiglia, allora si impara ad affrontare l’altro non come compatriota ma come nemico, da avvicinare non con collaborazione, ma per con conquistarlo, per soggiogarlo e sottometterlo. Noi impariamo a guardare i nostri fratelli come estranei con cui dividiamo una città, ma non una comunità, uomini legati a noi da uno spazio comune, ma non da un impegno comune.
Impariamo a dividere solo una paura comune, solo un comune desiderio di allontanarci dagli altri, solo una comune spinta a reagire al disaccordo con la violenza.
La nostra vita su questo pianeta è troppo breve, il lavoro da compiere troppo vasto perché questo spirito prosperi ancora a lungo nella nostra nazione. Non possiamo debellarlo con un programma, né con una risoluzione. Ma possiamo forse ricordare, anche solo per un momento, che coloro che vivono con noi sono nostri fratelli, che condividono con noi lo stesso breve arco di vita e che cercano, come noi tutti, solamente la possibilità di vivere la propria vita con uno scopo e nella felicità, conquistandosi la soddisfazione e l’appagamento che possono.
Questo legame dato da un destino comune , dagli scopi comuni può cominciare a insegnarci qualcosa.
Possiamo imparare perlomeno a guardare a chi ci sta intorno come al nostro prossimo e metterci a lavorare con maggior impegno per sanare le ferite che ci sono tra noi e diventare nuovamente fratelli e compatrioti nel cuore."
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