L'episodio del Lago della Duchessa
Documento aggiornato al 25/02/2004
Di un altro strano episodio occorre infine far cenno.
Alle ore 9.30 del 18 aprile, in seguito ad una telefonata anonima, un redattore del quotidiano "Il Messaggero" rinveniva, in un cesto per rifiuti in piazza Belli, un comunicato delle BR (n. 7) nel quale si affermava che la salma di Aldo Moro giaceva "impantanata" nei fondali del lago della Duchessa, in località Cartore di Rieti.
Del riscontro dell'informazione fu subito incaricato il vice capo della polizia dottor Emilio Santillo, che si recò sul posto con il procuratore della Repubblica di Roma dottor De Matteo. Entrambi però tornarono a Roma nella stessa giornata del 18 aprile, dopo essersi resi conto che il corpo dell'onorevole Moro non poteva trovarsi sui fondali del lago, la cui superficie era ricoperta da un robusto strato di ghiaccio. Le ricerche comunque proseguirono nei giorni successivi, coordinate dal questore di Rieti e dai comandanti della Legione dei carabinieri Lazio e della IX Legione della Guardia di finanza, con esiti negativi.
In tale episodio il problema principale è rimasto quello dell'autenticità del comunicato, ossia della sua provenienza o meno dalle BR, e delle ragioni per le quali fu concepito.
La polizia scientifica, lo stesso 18 aprile, dichiarò che la scrittura del comunicato presentava caratteristiche (tipo dei caratteri dattiloscriventi LIGHT ITALIC, passo di scrittura ed anomalie negli spazi di alcuni segni di interpunzione) del tutto analoghe a quelle riscontrate nei precedenti comunicati delle BR, sempre relativi al rapimento del Presidente della DC. Ma l'intestazione "brigate rosse" dello pseudo comunicato n. 7, redatta a mano, presentava accentuate anomalie (disomogeneità nella spaziatura tra le lettere, tenuta del rigo e irregolarità di tratti) mai riscontrate nei precedenti volantini: il che lascia ritenere che il comunicato n. 7 sia stato eseguito molto in fretta. In effetti le BR, nel loro comunicato n. 7 del 20 aprile, ne negarono l'autenticità, considerandola una "provocazione del potere".
Il dottor Spinella ha ritenuto il comunicato interamente falso, per la fraseologia estranea a quella normale delle BR, per gli errori di ortografia e di grammatica del tutto inconsueti negli scritti brigatisti, per essere stato diffuso in una sola città e in unico esemplare invece che simultaneamente in più luoghi.
Chi invece lo considerò autentico, ritenne che rispondesse ad una strategia più di intimidazione che di diversivo o di depistaggio. Le BR il 18 aprile continuavano ad usare il covo di via Gradoli; quindi non avevano necessità di distrarre forze dell'ordine da Roma. E' verosimile, perciò, che intendessero creare artificiosamente impressione per la morte di Aldo Moro, la cui smentita avrebbe poi determinato contraccolpi.
Anche la signora Moro l'ha interpretato come prova generale per vedere come avrebbe reagito l'opinione pubblica'
Altri, invece, ne ha individuato lo scopo nella ricerca di un diversivo cui le BR si sarebbero indotte, avendo evidentemente la sensazione che i controlli si avvicinassero alla prigione dell'onorevole Moro. Questa opinione è stata sostenuta da un esponente di Azione Rivoluzionaria, Enrico Paghera, il quale ha dichiarato di avere appreso da altro appartenente all'organizzazione, Guglielmo Paillacar, lo stesso che aveva telefonato per dar notizia del volantino, che quest'ultimo mirava appunto a stornare l'attenzione degli inquirenti per consentire ai brigatisti di uscire da Roma. Sarebbero state quindi le stesse BR a chiedere al gruppo un'azione di alleggerimento. Probabilmente il volantino fu scritto proprio da Azione Rivoluzionaria: Peci invero ha dichiarato alla Commissione che Paghera, suo compagno di cella, gli confidò di aver redatto egli stesso il comunicato. La conferma della provenienza del comunicato dal gruppo di Azione Rivoluzionaria, a base anarchica, potrebbe trovarsi nell'affermazione che l'onorevole Moro si è suicidato - probabile riferimento alla morte dell'anarchico Pinelli - e nel richiamo ai componenti del gruppo Baader Meinhof, che non sarebbero stati soli a... suicidarsi.
Il dottor Infelisi decise di non andare al Lago della Duchessa con il Procuratore Capo dottor De Matteo, perché - a suo parere - il volantino non corrispondeva in alcun modo ai precedenti: preferì, perciò, recarsi in via Gradoli. Anche l'avvocato Guiso ha giudicato il comunicato del tutto apocrifo, condividendo l'opinione di Curcio che sarebbe stato una "provocazione del potere".
Occorre in proposito ricordare che l'idea di diffondere comunicati da parte dei servizi di sicurezza per controllare le reazioni dei terroristi fu avanzata dal dottor Vitalone, Sostituto addetto alla Procura generale della Repubblica, e discussa con polizia e carabinieri. Lo ha riferito il dottor Infelisi, aggiungendo che egli appoggiò la proposta ritenendola brillante, purché legata a preventive garanzie. Si concluse, comunque, di non farne niente.
Alle ore 9.30 del 18 aprile, in seguito ad una telefonata anonima, un redattore del quotidiano "Il Messaggero" rinveniva, in un cesto per rifiuti in piazza Belli, un comunicato delle BR (n. 7) nel quale si affermava che la salma di Aldo Moro giaceva "impantanata" nei fondali del lago della Duchessa, in località Cartore di Rieti.
Del riscontro dell'informazione fu subito incaricato il vice capo della polizia dottor Emilio Santillo, che si recò sul posto con il procuratore della Repubblica di Roma dottor De Matteo. Entrambi però tornarono a Roma nella stessa giornata del 18 aprile, dopo essersi resi conto che il corpo dell'onorevole Moro non poteva trovarsi sui fondali del lago, la cui superficie era ricoperta da un robusto strato di ghiaccio. Le ricerche comunque proseguirono nei giorni successivi, coordinate dal questore di Rieti e dai comandanti della Legione dei carabinieri Lazio e della IX Legione della Guardia di finanza, con esiti negativi.
In tale episodio il problema principale è rimasto quello dell'autenticità del comunicato, ossia della sua provenienza o meno dalle BR, e delle ragioni per le quali fu concepito.
La polizia scientifica, lo stesso 18 aprile, dichiarò che la scrittura del comunicato presentava caratteristiche (tipo dei caratteri dattiloscriventi LIGHT ITALIC, passo di scrittura ed anomalie negli spazi di alcuni segni di interpunzione) del tutto analoghe a quelle riscontrate nei precedenti comunicati delle BR, sempre relativi al rapimento del Presidente della DC. Ma l'intestazione "brigate rosse" dello pseudo comunicato n. 7, redatta a mano, presentava accentuate anomalie (disomogeneità nella spaziatura tra le lettere, tenuta del rigo e irregolarità di tratti) mai riscontrate nei precedenti volantini: il che lascia ritenere che il comunicato n. 7 sia stato eseguito molto in fretta. In effetti le BR, nel loro comunicato n. 7 del 20 aprile, ne negarono l'autenticità, considerandola una "provocazione del potere".
Il dottor Spinella ha ritenuto il comunicato interamente falso, per la fraseologia estranea a quella normale delle BR, per gli errori di ortografia e di grammatica del tutto inconsueti negli scritti brigatisti, per essere stato diffuso in una sola città e in unico esemplare invece che simultaneamente in più luoghi.
Chi invece lo considerò autentico, ritenne che rispondesse ad una strategia più di intimidazione che di diversivo o di depistaggio. Le BR il 18 aprile continuavano ad usare il covo di via Gradoli; quindi non avevano necessità di distrarre forze dell'ordine da Roma. E' verosimile, perciò, che intendessero creare artificiosamente impressione per la morte di Aldo Moro, la cui smentita avrebbe poi determinato contraccolpi.
Anche la signora Moro l'ha interpretato come prova generale per vedere come avrebbe reagito l'opinione pubblica'
Altri, invece, ne ha individuato lo scopo nella ricerca di un diversivo cui le BR si sarebbero indotte, avendo evidentemente la sensazione che i controlli si avvicinassero alla prigione dell'onorevole Moro. Questa opinione è stata sostenuta da un esponente di Azione Rivoluzionaria, Enrico Paghera, il quale ha dichiarato di avere appreso da altro appartenente all'organizzazione, Guglielmo Paillacar, lo stesso che aveva telefonato per dar notizia del volantino, che quest'ultimo mirava appunto a stornare l'attenzione degli inquirenti per consentire ai brigatisti di uscire da Roma. Sarebbero state quindi le stesse BR a chiedere al gruppo un'azione di alleggerimento. Probabilmente il volantino fu scritto proprio da Azione Rivoluzionaria: Peci invero ha dichiarato alla Commissione che Paghera, suo compagno di cella, gli confidò di aver redatto egli stesso il comunicato. La conferma della provenienza del comunicato dal gruppo di Azione Rivoluzionaria, a base anarchica, potrebbe trovarsi nell'affermazione che l'onorevole Moro si è suicidato - probabile riferimento alla morte dell'anarchico Pinelli - e nel richiamo ai componenti del gruppo Baader Meinhof, che non sarebbero stati soli a... suicidarsi.
Il dottor Infelisi decise di non andare al Lago della Duchessa con il Procuratore Capo dottor De Matteo, perché - a suo parere - il volantino non corrispondeva in alcun modo ai precedenti: preferì, perciò, recarsi in via Gradoli. Anche l'avvocato Guiso ha giudicato il comunicato del tutto apocrifo, condividendo l'opinione di Curcio che sarebbe stato una "provocazione del potere".
Occorre in proposito ricordare che l'idea di diffondere comunicati da parte dei servizi di sicurezza per controllare le reazioni dei terroristi fu avanzata dal dottor Vitalone, Sostituto addetto alla Procura generale della Repubblica, e discussa con polizia e carabinieri. Lo ha riferito il dottor Infelisi, aggiungendo che egli appoggiò la proposta ritenendola brillante, purché legata a preventive garanzie. Si concluse, comunque, di non farne niente.