Episodi sconcertanti

Documento aggiornato al 25/02/2004
Prima e durante il sequestro dell'onorevole Moro si verificarono taluni episodi sconcertanti che sembra utile ricordare.
Il primo, rimasto abbastanza misterioso nei suoi contorni, si trova descritto in un rapporto del commissario di PS presso l'università di Roma, dottor Parasole, al quale fu riferito che il professor Eusepi, docente presso l'ateneo romano, nel pomeriggio del 10 marzo 1978, avrebbe udito un dialogo tra due persone svoltosi in questi termini: "Hai messo tu la bomba all'università?" "lo queste cose non le faccio, tanto rapiremo Moro." Il professor Eusepi è cieco e dalla voce avrebbe riconosciuto nel secondo interlocutore Gianmarco Ariata, noto appartenente alla sinistra extraparlamentare.
Il dottor Spinella, allora dirigente della DIGOS di Roma, ha dichiarato in proposito che non si limitò ad informare l'autorità giudiziaria, perché l'extraparlamentare interessato - resosi tra l'altro colpevole di reati nei confronti di militari di PS - fu sottoposto a perquisizione e denunciato all'autorità giudiziaria come sospetto fiancheggiatone del partito armato. Ciò non toglie che si sia trattato di un intervento isolato ed evidentemente tardivo anche perché il rapporto giunse dopo l'episodio di via Fani. Comunque non sembra aver avuto sufficienti approfondimenti.
Un altro strano episodio si è verificato a Siena proprio la sera precedente il sequestro dell'onorevole Moro. Verso le 19-19,30 il signor Giuseppe Marchi che, essendo cieco rincasava con l'ausilio di un bastone e di un cane, nell'urtare contro una vettura in sosta avrebbe udito alcune persone, a bordo dell'auto, parlare in lingua straniera e una, in lingua italiana, diceva: "Hanno rapito Moro e le guardie del corpo". Poco dopo, in un bar trattoria che era solito frequentare, e dove era soprannominato "Beppe il bugiardo", riferì quello che aveva udito ma suscitò solo l'ilarità dei presenti.
Il pomeriggio del 16 marzo, però, tale De Vivo informò telefonicamente la Questura di Siena di quanto Marchi aveva raccontato la sera precedente. Immediatamente convocato, Marchi confermò l'episodio alla DIGOS di Siena e coloro che avevano udito il racconto di Marchi confermarono il fatto, precisando che il cieco avrebbe attribuito agli sconosciuti la frase "hanno rapito l'onorevole Aldo Moro e ammazzato le guardie di scorta".
La DIGOS rilevava nel rapporto che, pur essendo Marchi conosciuto con il soprannome citato, bisognava ammettere che diversi testimoni avevano concordemente riferito su un fatto del quale aveva parlato la sera precedente e anche senza essere apparentemente ubriaco. Venivano effettuate le indagini del caso, setacciando la zona interessata, controllando tutti gli affittacamere per accertare la presenza di stranieri, ma con esito negativo.
Anche il giudice Cudillo ha definito l'episodio "sconcertante" rilevando che o Marchi ha raccontato una fandonia che il giorno successivo è diventata una tragica realtà, oppure egli, anche in dipendenza dell'accento straniero, non ha afferrato bene il significato della frase, che si riferiva non ad un fatto accaduto ma che doveva accadere, raccontato imprudentemente da persone inserite nell'organizzazione criminosa.
Non risulta comunque esaminato tra i testimoni che avevano udito il racconto quel tale De Vivo che aveva fatto la telefonata al 113, e nemmeno si è cercato di sapere se costui era conosciuto dagli altri come frequentatore del locale e comunque chi fosse in realtà. Non si è sospettato, insomma, che qualcuno potesse aver voluto far sapere al cieco una notizia che doveva essere diffusa.
Un ulteriore episodio è costituito dalla scomparsa di alcune fotografie del luogo dell'agguato scattate il 16 marzo, poco dopo il fatto, e che una giornalista dell'agenzia ASCA consegnò il 18 marzo al magistrato inquirente; per questo ella avrebbe ricevuto minacce da ignoti.
Il dottor Infelisi ha chiarito alla Commissione che le fotografie, per quello che era dato constatare, erano state scattate allorché sul posto erano già arrivati polizia e inquirenti, tra i quali egli stesso, onde apparivano completamente inutili. La stessa giornalista aveva del resto chiarito che il marito, constatato il drammatico episodio, era salito in casa ed aveva scattato le foto, in un momento quindi abbastanza successivo all'azione. Resta tuttavia il fatto che le foto sono scomparse, non si sa se per negligenza o azione dolosa, e di esse non si è più trovata traccia. Non può escludersi che avrebbero potuto essere utili per raffronti, controlli ed altre ricerche.
Un ultimo episodio, riguarda la targa automobilistica CD 19707, cioè quella della 128 familiare che si fece tamponare dall'auto su cui viaggiava l'onorevole Moro in via Fani, il 16 marzo, allo scopo di bloccarla. La targa suddetta fu rubata l'11 aprile 1973 dalla macchina dell'allora addetto militare venezuelano, Aquimedez Guevara Alcalà. Una targa in plastica con lo stesso numero CD 19707 fu rilasciata successivamente ad un altro addetto all'ambasciata venezuelana, il dottor Heliodoro Claverie Rodriguez il quale, nel gennaio del 1978, l'ha restituita al Ministero dei trasporti, che l'ha assegnata ad una Fiat 124.
Ha lasciato perplessità il fatto che non è stato accertato quando la targa in plastica, con lo stesso numero di quella rubata, sia stata assegnata al secondo diplomatico venezuelano e perché sia stata ristampata in plastica una targa rubata e assegnata di nuovo alla stessa ambasciata.
La questione della Fiat 128 con targa diplomatica è stata associata all'età di colui che la guidava in via Fani e che, secondo varie testimonianze, doveva avere 40-45 anni, carnagione bruna e capelli ondulati, tanto da far pensare ad un sudamericano. Lo stesso uomo maturo sarebbe stato visto in altri attentati, quale quello al giudice Palma, ma ad esso non si è riusciti a dare né un nome né un volto.
 
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