L'avocazione del processo

Documento aggiornato al 25/02/2004
La prima fase dell'indagine giudiziaria si concluse il 29 aprile 1978.
La Procura della Repubblica di Roma emise il 24 aprile ordine di cattura nei confronti di Corrado Alunni, Prospero Gallinari, Patrizio Peci, Enrico Bianco, Franco Pinna, Oriana Marchionni, Susanna Ronconi, già colpiti da provvedimenti restrittivi della libertà, al momento tutti latitanti, nonché di Adriana Faranda e Valerio Morucci, irreperibili, per i reati relativi alla strage di via Fani e al sequestro dell'onorevole Moro.
Senza indicare alcun nominativo di testimoni, per motivi di sicurezza e di segretezza, il magistrato, nella motivazione del provvedimento, rilevò che Alunni e Gallinari erano stati riconosciuti ciascuno da tre testimoni, sia nei giorni precedenti il sequestro, sia mentre usavano le armi contro la scorta dell'onorevole Moro, e che la Faranda era stata riconosciuta con sicurezza da un teste nella fase di preparazione dell'eccidio. Secondo il Sostituto procuratore, le concordanti indagini di polizia giudiziaria effettuate dal nucleo investigativo dei carabinieri e dalla DIGOS di Roma avevano evidenziato i legami che univano tutti gli imputati alla colonna romana delle BR, anche con riferimento a precedenti attentati effettuati a Roma.
L'emissione degli ordini di cattura non fu pienamente condivisa dai dirigenti della Procura della Repubblica e della Procura Generale.
Il Procuratore capo della Repubblica dottor De Matteo ha dichiarato alla Commissione che quando il Sostituto procuratore Infelisi gli presentò gli ordini di cattura per il visto, prima di apporlo, come poi fece, volle fare una pausa di riflessione. "Allora la vita dell'onorevole Moro era appesa ad un filo ed ogni passo poteva avere una influenza contraria".
Il Procuratore generale dottor Pascalino ha affermato in Commissione, diversamente da quanto sostenuto dagli altri magistrati, che dell'emissione degli ordini di cattura egli non fu assolutamente informato, e che furono emessi sulla base del semplice sospetto di appartenenza degli interessati alle BR. "Siccome si trattava di un delitto delle BR e vi era gente in predicato di appartenere alle BR, che la pubblica sicurezza conosceva appartenere alle BR, venne ordinata la cattura di quelli; ma non con riferimento al fatto specifico, bensì con riferimento soggettivo, direi, alla personalità di questi imputati". Pochi giorni dopo, con provvedimento del 29 aprile, egli avocò il procedimento "per ragioni di opportunità".
L'avocazione provocò vivaci polemiche.
Il dottor Infelisi ha dichiarato in Commissione che la mancata comunicazione delle risultanze dello "staff" che lavorava al Ministero dell'Intorno aveva provocato una certa sua reazione, che poteva anche essere stata la ragione dell'avocazione. Peraltro, sempre secondo Infelisi, si trattava di una supposizione sua, dato che vi potevano essere altre ragioni.
Ad ogni modo, un'avocazione dopo l'emissione degli ordini di cattura, a poche ore dalla richiesta di istruzione formale già scritta e pronta, a suo giudizio non si giustificava.
Il dottor Pascalino ha invece dichiarato alla Commissione di avere avocato il processo per disporre l'istruzione formale quanto prima possibile: "queste sono le ragioni che in genere giustificano l'evocazione".
Le indagini erano fluttuanti, nel senso che "si andava alla cieca". Fino a quel momento nessun risultato utile era stato conseguito e gli ordini di cattura emanati il 24 aprile erano stati emessi - e in ciò ha concordato il Procuratore capo De Matteo - sulla base di meri elementi di sospetto.
Il giorno 13 giugno gli atti vennero trasmessi al giudice istruttore per la formalizzazione dell'inchiesta.
La Commissione ritiene di doversi astenere da ogni valutazione circa il comportamento dei magistrati inquirenti. La rilevanza eccezionale dell'impresa compiuta dalle BR in relazione alla personalità del sequestrato e all'interesse preminente della ricerca della prigione dell'onorevole Moro, al fine di conseguirne la liberazione, ha certo complicato e travolto i moduli e le linee operative tipiche delle ordinarie operazioni giudiziario rivolte all'accertamento dei reati e alla definizione delle connesse responsabilità penali.
E tuttavia non può non rilevarsi l'anomalia della situazione di un procedimento giudiziario di tanta straordinaria grandezza e così incisivo per le sorti dello stesso sistema democratico italiano, che viene gestito come un fatto giudiziario qualsiasi, affidato alle cure di un solo Sostituto procuratore.
E' certo sorprendente la mobilitazione di uomini e di mezzi messi in campo dagli apparati preposti alla pubblica sicurezza nel tentativo, risultato vano, di scoprire la "prigione" dell'onorevole Moro e di liberarlo, rispetto alla povertà di uomini e di mezzi offerta dalla magistratura inquirente romana che ha schierato un solo Sostituto, privo financo dell'apparecchio telefonico in ufficio e neppure liberato dal carico degli affari correnti.
Non che questa scarsa mobilitazione sia di per sé significativa ai fini del risultato finale. E tuttavia la complessità dell'indagine, il numero e la qualità dei soggetti attivi e passivi coinvolti, il numero delle organizzazioni eversive fiancheggiatrici operanti a Roma, i rapporti con l'autorità di PS e con l'autorità politica, il particolare tipo di gestione del sequestro dell'onorevole Moro operato dalle BR, la quantità e qualità di messaggi e comunicati diffusi dall'organizzazione terroristica avrebbero richiesto l'impegno di un gruppo ben numeroso e nutrito di magistrati di particolare attitudine e specializzazione.
La asserita supervisione del titolare della Procura della Repubblica e del Procuratore generale sulla conduzione delle indagini da parte del Sostituto procuratore non poteva ovviare alla deficienza di uomini e di mezzi: tra l'altro non è neppure servita a fare assumere alla magistratura inquirente l'effettiva direzione dell'indagine, né la conseguente necessaria disponibilità, piena e totale, della polizia giudiziaria.
Non che siano mancati i rapporti tra magistratura e apparato preposto alla pubblica sicurezza; anzi, questi rapporti furono frequentissimi. Ma si verificò una sorta di inversione delle parti, con la magistratura in posizione di attesa rispetto ai risultati dell'azione degli apparati di polizia e quindi con la rinuncia di fatto al ruolo di propulsione, direzione e guida delle indagini di polizia giudiziaria che alla magistratura compete.
L'avocazione dell'inchiesta da parte del Procuratore generale, ai fini della successiva formalizzazione, sancisce certo l'esigenza di una svolta nella conduzione dell'indagine, svolta peraltro non realizzata; ma il rimedio, se può essere definita tale l'evocazione, giunse tardi, quando il destino dell'onorevole Moro stava per compiersi. La formalizzazione fu disposta addirittura dopo il ritrovamento del corpo senza vita dello statista sequestrato.
 
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