L'intervento dell'avvocato Payot
Documento aggiornato al 25/02/2004
Le iniziative poste in essere per tentare di salvare la vita dell'onorevole Moro costituiscono parte rilevante della vicenda, anche perché sono rapportabili alla mancanza di risultati dell'opera degli organi inquirenti e di polizia e comunque alla scarsa fiducia nelle loro possibilità.
Una delle prime iniziative attuate per conto della famiglia Moro fu quella del contatto con l'avvocato ginevrino Denis Payot, che aveva trattato per il governo tedesco con i terroristi della RAF in occasione del sequestro Schleyer. Il dottor Sereno Freato, che ha tenuto i rapporti, ha parlato ampiamente della vicenda.
Fatto venire a Roma Payot, Freato ricevette l'impressione che i contatti dell'avvocato ginevrino con certi ambienti terroristici fossero effettivi. Già durante il percorso dall'aeroporto all'albergo, l'avvocato Payot mostrò di conoscere molte cose sul rapimento: disse subito che erano implicati BR, GRAPO e RAF, e parlò di un medico tedesco e di altri tedeschi che erano in Italia e che avrebbe contattato.
Affermò quindi che era abituato a trattare ufficialmente e che pertanto desiderava incontrare un rappresentante del Governo italiano. L'incontro si tenne, nello studio privato del dottor Freato, con l'onorevole Lettieri, sottosegretario all'Interno, presenti l'avvocato Manzari e il dottor Rana nonché un fratello dello stesso Payot. Questi appariva molto sicuro, e diede al dottor Freato un numero telefonico riservato al quale, secondo lui, ricorrevano i terroristi. Al termine dell'incontro non gli venne conferito esplicitamente un incarico formale; gli si disse solo che da parte degli amici dell'onorevole Moro e del Governo vi era la disponibilità a seguire gli sviluppi.
L'onorevole Lettieri aveva informato preventivamente della iniziativa il Presidente Andreotti, il quale rispose che non aveva obiezioni da opporre a rapporti privati. Pertanto nella riunione egli assicurava la disponibilità del Governo a seguire la vicenda.
A richiesta dell'avvocato Payot su cosa il sottosegretario potesse fare ove si fosse stabilito il contatto con i rapitori, l'onorevole Lettieri rispose che, sulla base delle informazioni acquisite, chi di competenza avrebbe giudicato la percorribilità della strada.
Le informazioni ricevute dal Governo, tuttavia, fecero subito intendere che Payot non poteva costituire un canale valido. Il ministro della Giustizia e della polizia cantonale, Fontanet, fece riservatamente sapere che era difficile definire l'avvocato Payot: uomo buono e intelligente, ma anche un po' confusionario, "interessato" e desideroso di mettersi in vista. Il capo della polizia federale Amstein riferiva che nell'attività di mediazione nel caso Schleyer l'avvocato Payot non si era comportato in modo scorretto, anche se non aveva trascurato nulla per farsi pubblicità. Invece il BKA (Bundeskcriminalamt) della Repubblica Federale Tedesca affermò che il legale svizzero non era da ritenersi in diretto collegamento con i terroristi attivi, anche se aveva avuto contatti con l'avvocato Croissant e con i familiari dei guerriglieri della Rote Armee Fraktion. Nella vicenda Schleyer si era mostrato estremamente lento e avido. Negli ambienti qualificati di Ginevra era preso poco sul serio, anche per la sua presunzione confinante con l'esibizionismo. Il fatto che i rapitori di Schleyer lo avessero indicato come possibile tramite era da attribuirsi a un errore. I terroristi cioè potevano aver creduto che egli fosse presidente della Commissione per i diritti dell'uomo dell'ONU, con sede in Ginevra, mentre egli era soltanto presidente della Lega svizzera per i diritti dell'uomo, un semplice sodalizio privato.
L'avvocato Payot uscì di scena affermando che le autorità svizzere lo avevano ostacolato; ma di questo non si ha il minimo riscontro obiettivo. Proprio in quei giorni, anzi, le autorità svizzere avevano confermato tutto il loro appoggio alle indagini italiane.
L'impressione della scarsa consistenza del tramite tentato è stata d'altro canto riportata alla Commissione e dall'avvocato Manzari e dall'onorevole Lettieri. Il primo ha parlato di "discorso molto generico, molto approssimativo e molto poco concreto". L'onorevole Lettieri, che pure si era mostrato assai interessato in considerazione dell'azione svolta da Payot nel caso Schleyer, finì per dubitare che lo stesso potesse fare qualcosa nella vicenda Moro, tanto da uscire dall'incontro non convinto che si fosse trovata la strada per avviare a soluzione il problema.
In effetti, quando il dottor Freato ricercò Payot a Ginevra presso il numero privato che gli aveva fornito e finalmente poté parlargli, si trovò come interlocutore un uomo spaventato, che gli disse subito di non potersi più occupare della vicenda perché il ministro della Giustizia glielo aveva proibito. Successivamente, negli ambienti forensi di Ginevra, lo stesso dottor Freato raccolse su Payot un giudizio non positivo a causa della sua venalità.
Pochi giorni dopo, la stampa riportava la notizia che l'associazione di cui Payot era presidente lo aveva dimesso dalla carica.
La signora Moro è rimasta con la sensazione che il Governo abbia provocato una interruzione della trattativa senza una motivazione sufficiente: tuttavia gli elementi acquisiti sembrano chiarire a sufficienza il reale andamento dei fatti. Lo stesso dottor Freato ha comunque dichiarato di escludere, a quanto gli risulta, atti espliciti del Governo diretti ad intralciare l'iniziativa.
Una delle prime iniziative attuate per conto della famiglia Moro fu quella del contatto con l'avvocato ginevrino Denis Payot, che aveva trattato per il governo tedesco con i terroristi della RAF in occasione del sequestro Schleyer. Il dottor Sereno Freato, che ha tenuto i rapporti, ha parlato ampiamente della vicenda.
Fatto venire a Roma Payot, Freato ricevette l'impressione che i contatti dell'avvocato ginevrino con certi ambienti terroristici fossero effettivi. Già durante il percorso dall'aeroporto all'albergo, l'avvocato Payot mostrò di conoscere molte cose sul rapimento: disse subito che erano implicati BR, GRAPO e RAF, e parlò di un medico tedesco e di altri tedeschi che erano in Italia e che avrebbe contattato.
Affermò quindi che era abituato a trattare ufficialmente e che pertanto desiderava incontrare un rappresentante del Governo italiano. L'incontro si tenne, nello studio privato del dottor Freato, con l'onorevole Lettieri, sottosegretario all'Interno, presenti l'avvocato Manzari e il dottor Rana nonché un fratello dello stesso Payot. Questi appariva molto sicuro, e diede al dottor Freato un numero telefonico riservato al quale, secondo lui, ricorrevano i terroristi. Al termine dell'incontro non gli venne conferito esplicitamente un incarico formale; gli si disse solo che da parte degli amici dell'onorevole Moro e del Governo vi era la disponibilità a seguire gli sviluppi.
L'onorevole Lettieri aveva informato preventivamente della iniziativa il Presidente Andreotti, il quale rispose che non aveva obiezioni da opporre a rapporti privati. Pertanto nella riunione egli assicurava la disponibilità del Governo a seguire la vicenda.
A richiesta dell'avvocato Payot su cosa il sottosegretario potesse fare ove si fosse stabilito il contatto con i rapitori, l'onorevole Lettieri rispose che, sulla base delle informazioni acquisite, chi di competenza avrebbe giudicato la percorribilità della strada.
Le informazioni ricevute dal Governo, tuttavia, fecero subito intendere che Payot non poteva costituire un canale valido. Il ministro della Giustizia e della polizia cantonale, Fontanet, fece riservatamente sapere che era difficile definire l'avvocato Payot: uomo buono e intelligente, ma anche un po' confusionario, "interessato" e desideroso di mettersi in vista. Il capo della polizia federale Amstein riferiva che nell'attività di mediazione nel caso Schleyer l'avvocato Payot non si era comportato in modo scorretto, anche se non aveva trascurato nulla per farsi pubblicità. Invece il BKA (Bundeskcriminalamt) della Repubblica Federale Tedesca affermò che il legale svizzero non era da ritenersi in diretto collegamento con i terroristi attivi, anche se aveva avuto contatti con l'avvocato Croissant e con i familiari dei guerriglieri della Rote Armee Fraktion. Nella vicenda Schleyer si era mostrato estremamente lento e avido. Negli ambienti qualificati di Ginevra era preso poco sul serio, anche per la sua presunzione confinante con l'esibizionismo. Il fatto che i rapitori di Schleyer lo avessero indicato come possibile tramite era da attribuirsi a un errore. I terroristi cioè potevano aver creduto che egli fosse presidente della Commissione per i diritti dell'uomo dell'ONU, con sede in Ginevra, mentre egli era soltanto presidente della Lega svizzera per i diritti dell'uomo, un semplice sodalizio privato.
L'avvocato Payot uscì di scena affermando che le autorità svizzere lo avevano ostacolato; ma di questo non si ha il minimo riscontro obiettivo. Proprio in quei giorni, anzi, le autorità svizzere avevano confermato tutto il loro appoggio alle indagini italiane.
L'impressione della scarsa consistenza del tramite tentato è stata d'altro canto riportata alla Commissione e dall'avvocato Manzari e dall'onorevole Lettieri. Il primo ha parlato di "discorso molto generico, molto approssimativo e molto poco concreto". L'onorevole Lettieri, che pure si era mostrato assai interessato in considerazione dell'azione svolta da Payot nel caso Schleyer, finì per dubitare che lo stesso potesse fare qualcosa nella vicenda Moro, tanto da uscire dall'incontro non convinto che si fosse trovata la strada per avviare a soluzione il problema.
In effetti, quando il dottor Freato ricercò Payot a Ginevra presso il numero privato che gli aveva fornito e finalmente poté parlargli, si trovò come interlocutore un uomo spaventato, che gli disse subito di non potersi più occupare della vicenda perché il ministro della Giustizia glielo aveva proibito. Successivamente, negli ambienti forensi di Ginevra, lo stesso dottor Freato raccolse su Payot un giudizio non positivo a causa della sua venalità.
Pochi giorni dopo, la stampa riportava la notizia che l'associazione di cui Payot era presidente lo aveva dimesso dalla carica.
La signora Moro è rimasta con la sensazione che il Governo abbia provocato una interruzione della trattativa senza una motivazione sufficiente: tuttavia gli elementi acquisiti sembrano chiarire a sufficienza il reale andamento dei fatti. Lo stesso dottor Freato ha comunque dichiarato di escludere, a quanto gli risulta, atti espliciti del Governo diretti ad intralciare l'iniziativa.