Il ricorso alla Croce Rossa Internazionale

Documento aggiornato al 25/02/2004
Altro tentativo che si ritenne utile fu quello di un appello alla Croce Rossa Internazionale.
Il 25 aprile 1978 gli amici di Giovanni Moro, figlio dello statista sequestrato, che erano raccolti nel movimento "Febbraio '74", richiesero l'intervento della Croce Rossa Internazionale.
In ordine a questa iniziativa, il Governo e i partiti della maggioranza espressero il timore che l'intervento della C.R.I. facesse presupporre l'ipotesi di un conflitto armato, di uno stato di belligeranza, e che quindi comportasse un riconoscimento dei brigatisti come parte di un conflitto. Ma l'avvocato Manzari aveva prospettato una interpretazione della Convenzione di Ginevra del '49 sui prigionieri di guerra che, a suo avviso, non avrebbe comportato il riconoscimento dei brigatisti. L'articolo 3 di tale Convenzione contempla l'ipotesi di un conflitto armato all'interno del paese e stabilisce alcune condizioni da osservare: il divieto di presa di ostaggi e la condizione che nessuna parte possa procedere ad un giudizio né dare esecuzione ad una condanna senza avere assicurato quel minimo di garanzia che i popoli civili danno ad un sistema di valutazione giudiziaria delle responsabilità. Per ottenere il rispetto di queste condizioni un organo di carattere umanitario come la Croce Rossa Internazionale poteva offrire i suoi servizi alle parti; l'accettazione dei servizi non cambiava lo stato giuridico delle parti, cioè non implicava il riconoscimento. La norma era nata per l'ipotesi di fatti insurrezionali, di conflitti armati scoperti, ma - secondo l'avvocato Manzari - forse si rendeva applicabile, quanto meno per analogia, a questa nuova forma di conflitto in cui la parte in guerra è un gruppo armato clandestino e non combattente allo scoperto. La vocazione umanitaria della Croce Rossa Internazionale poteva indurla ad offrire i suoi servizi. Questo poteva porre l'altra parte, ove avesse avuto intenzione di trattare con serietà, nella condizione di non mantenere la presa di ostaggio o per lo meno di non dare esecuzione al giudizio, mancando l'osservanza di una regolare difesa con le dovute garanzie.
Rendendosi conto, tuttavia, che difficilmente il Governo avrebbe potuto rappresentare tale tesi, lo stesso avvocato Manzari chiese al professore Vassalli se il PSI avrebbe potuto fare arrivare alla Croce Rossa questa sollecitazione per una applicazione analogica dell'articolo 3 della Convenzione, se non altro per tentare di arrestare l'evolversi di una situazione che oramai destava fortissime tensioni e preoccupazioni. Ma non risulta che l'ipotesi abbia avuto seguito.
Il Governo, peraltro, aveva subito interpellato la Croce Rossa Internazionale e già il 26 aprile il rappresentante italiano a Ginevra presso le organizzazioni internazionali, ambasciatore Di Bernardo, riferiva che il presidente della Croce Rossa Internazionale Alexander Hay aveva fatto presente che in materia di cattura di ostaggi il CICR (Comitato Internazionale Croce Rossa) si atteneva rigidamente alla regola di astenersi da ogni intervento, salvo in casi eccezionali nei quali esso veniva richiesto da una parte interessata con l'accordo delle altre (essendo inteso che per parte si intende il Governo). Iniziative invece potevano essere prese dallo stesso CICR in base all'articolo 3 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 sulla protezione dei civili in tempo di guerra come offerte dei suoi servizi alle parti in conflitto, ma "solo in caso di conflitto armato di carattere non internazionale".
Secondo il presidente Hay,, non ricorrendo nel caso del sequestro Moro le condizioni indicate, era stata esaminata l'eventualità di rivolgere un appello umanitario alle BR qualora ciò fosse stato richiesto dal Governo italiano perché ritenuto utile e conforme alle sue posizioni di principio. Hay aveva aggiunto, tuttavia, che dopo i pressanti e ben più autorevoli appelli rivolti alle BR dal Sommo Pontefice e dal Segretario generale dell'ONU, non gli sembrava che aggiungere la voce del Comitato potesse esercitare alcuna particolare influenza su una organizzazione criminale che si era fino ad allora mostrata del tutto insensibile ad ogni richiamo ai principi di umanità e del rispetto della vita.
Su questa ipotesi di possibile appello, tuttavia, egli lasciò intendere - sempre secondo l'ambasciatore Di Bernardo - che spettava al Governo italiano di esprimere il suo giudizio e prendere le sue determinazioni tenendo conto degli aspetti, anche politici, di un intervento del genere.
Il 30 aprile due portavoce del CICR, nel negare che sussistessero contatti privati in relazione al sequestro dell'onorevole Moro, confermavano quanto dichiarato dal presidente Hay in merito alle possibilità di intervento del CICR in quelle circostanze, e sottolineavano che l'applicabilità dell'articolo 3 della Convenzione di Ginevra del 1949 era subordinata alla riconosciuta esistenza di un conflitto armato di carattere non internazionale sul territorio di una delle parti contraenti, atta a legittimare un intervento, anche non richiesto, del CICR, sotto forma di offerta dei suoi servizi alle parti in conflitto.
Il 2 maggio l'ambasciatore Di Bernardo riferiva che il presidente Hay, dopo un approfondito esame compiuto assieme ai suoi esperti giuridici, aveva concluso che l'ipotesi dell'appello del CICR era da scartare. Una iniziativa del genere non era stata mai presa dal CICR, ad eccezione di un recente intervento a favore di alcuni ostaggi catturati nel Ciad dal FROLINAT. La situazione presentava aspetti diversi dalla drammatica vicenda dell'onorevole Moro, per la nazionalità straniera degli ostaggi e per la esistenza in quel paese di uno stato di guerra civile che forniva al CICR un minimo di base giuridica per l'intervento. La creazione di un precedente avrebbe posto il CICR in grave difficoltà esponendolo, in un mondo agitato come il nostro, ad una presumibile pioggia di richieste di iniziative non rientranti nei compiti affidatigli dalla comunità internazionale. Il presidente Hay aggiungeva, comunque, che se la situazione dell'onorevole Moro "volgesse all'ultima estremità" e non ci fosse altra risorsa, avrebbe studiato la possibilità di risollevare la questione in seno al CICR, anche se restavano in tutto il loro peso le obiezioni affacciate.
Il 6 maggio il Presidente del Consiglio Andreotti telegrafava all'ambasciatore Di Bernardo che le ulteriori minacce di un tragico epilogo del sequestro dell'onorevole Moro rappresentavano motivo idoneo per l'ipotizzato appello umanitario del presidente del CICR, sollecitando un passo in tal senso.
A seguito del passo effettuato il direttivo del CICR si era riunito d'urgenza il, 6 pomeriggio e, dopo una prolungata discussione, aveva ritenuto di dover confermare la linea di astensione da ogni intervento per le ragioni sostanziali già esposte e in mancanza delle condizioni per l'applicabilità della Convenzione di Ginevra e delle direttive del 1972.
 
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