L'intervento del Papa
Documento aggiornato al 25/02/2004
La preoccupazione sempre più viva che le BR attuassero la minaccia di "eseguire la condanna a morte" dell'onorevole Moro, indusse lo stesso Sommo Pontefice Paolo VI ad intervenire più di una volta con accorati appelli ai brigatisti. In un nobilissimo messaggio "agli uomini delle brigate rosse", diramato il 21 aprile, poche ore prima che scadesse il loro ultimatum, Egli li pregò "in ginocchio" e chiese la liberazione del prigioniero senza alcuna condizione. Essendo rimasto inascoltato, non esitò il 24 aprile a qualificarli " carnefici " e a condannarli per il loro " criminale misfatto ", pur rinnovando l'appello a un gesto di umanità, quale sarebbe stato finalmente il rilascio dell'onorevole Moro.
Lo stesso 21 aprile la Santa Sede comunicava al Governo italiano la sua disponibilità ad ogni collaborazione che si ritenesse utile per ottenere la liberazione dell'onorevole Moro.
In una lettera - consegnata in copia alla Commissione - il Presidente del Consiglio onorevole Andreotti, ringraziando dell'offerta, puntualizzava la posizione del Governo in ordine allo scambio dei prigionieri. Tale posizione - su cui apparivano concordi tutti i partiti - era di denuncia dell'assurda equiparazione tra un rapito e quanti debbono rispondere alla giustizia per reati per i quali si ipotizza uno stato, di guerra. Ribadiva, poi, l'impossibilità giuridica di proscioglimenti di comodo, anche per non offendere le forze dell'ordine, così duramente provate. Perfino la grazia, oltre ad urtare contro quest'ultima esigenza morale, sarebbe stata ingiusta senza il perdono degli offesi o dei loro congiunti.
Del resto lo stesso Pontefice aveva chiesto semplicemente la liberazione di Aldo Moro senza condizioni.
Lo stesso 21 aprile la Santa Sede comunicava al Governo italiano la sua disponibilità ad ogni collaborazione che si ritenesse utile per ottenere la liberazione dell'onorevole Moro.
In una lettera - consegnata in copia alla Commissione - il Presidente del Consiglio onorevole Andreotti, ringraziando dell'offerta, puntualizzava la posizione del Governo in ordine allo scambio dei prigionieri. Tale posizione - su cui apparivano concordi tutti i partiti - era di denuncia dell'assurda equiparazione tra un rapito e quanti debbono rispondere alla giustizia per reati per i quali si ipotizza uno stato, di guerra. Ribadiva, poi, l'impossibilità giuridica di proscioglimenti di comodo, anche per non offendere le forze dell'ordine, così duramente provate. Perfino la grazia, oltre ad urtare contro quest'ultima esigenza morale, sarebbe stata ingiusta senza il perdono degli offesi o dei loro congiunti.
Del resto lo stesso Pontefice aveva chiesto semplicemente la liberazione di Aldo Moro senza condizioni.