Tornata dall'inferno. La vicenda sconvolgente di una donna sopravvissuta all'orrore dei Khmer rossi
Edito da Paoline Editoriale Libri, 2006
168 pagine, € 11,00
ISBN 8831530895
di Ly Claire
Libro presente nelle categorie:
Quarta di copertina
Aprile 1975, i Khmer rossi si impadroniscono della Cambogia. Una donna, sua madre e i suoi due figli, uno in braccio, l'altra in grembo, partono alla volta della Thailandia. La loro fuga viene ben presto interrotta dai soldati di Pol Pot. Comincia allora un lungo "inferno": campi di lavoro nelle risaie, esecuzioni sommarie, indottrinamento dei bambini, malnutrizione, caccia ai borghesi e agli intellettuali. In un racconto toccante e intenso, l'autrice racconta la sua ostinata lotta per la sopravvivenza.
Che cosa puà fare una giovane donna contro la follia genocida dei militanti khmer che hanno deciso di eliminare i nemici del popolo? La cultura cambogiana, fondata su una pratica popolare del buddismo, insegna la Via di mezzo: l'impassibilità, il distacco dalle sofferenze. Ma nell'orrore in cui sprofonda la protagonista, tale distacco diviene sempre più assurdo e impraticabile. Per sopravvivere lei non può più tacere il suo odio, la sua ribellione, e sceglie allora di rivolgersi al Dio degli occidentali. Contro di lui dapprima scaglia tutto il suo rancore; poi lo interpella come testimone delle sue sofferenze e di quelle del suo popolo; infine lo scopre inaspettatamente nella figura - sconcertante per un buddista - di Gesù. Un percorso, questo, lento, graduale e interessante, poiché pone in dialogo filosofia buddista e Vangelo, in modo critico, mai sterile, capace anzi di suscitare una profonda riflessione.
Un documento eccezionale sia del modo in cui una donna ha vissuto uno dei più grandi drammi del ventesimo secolo, sia del suo straordinario cammino verso la scoperta della follia d'amore del Nazareno.
Aprile 1975, i Khmer rossi si impadroniscono della Cambogia. Una donna, sua madre e i suoi due figli, uno in braccio, l'altra in grembo, partono alla volta della Thailandia. La loro fuga viene ben presto interrotta dai soldati di Pol Pot. Comincia allora un lungo "inferno": campi di lavoro nelle risaie, esecuzioni sommarie, indottrinamento dei bambini, malnutrizione, caccia ai borghesi e agli intellettuali. In un racconto toccante e intenso, l'autrice racconta la sua ostinata lotta per la sopravvivenza.
Che cosa puà fare una giovane donna contro la follia genocida dei militanti khmer che hanno deciso di eliminare i nemici del popolo? La cultura cambogiana, fondata su una pratica popolare del buddismo, insegna la Via di mezzo: l'impassibilità, il distacco dalle sofferenze. Ma nell'orrore in cui sprofonda la protagonista, tale distacco diviene sempre più assurdo e impraticabile. Per sopravvivere lei non può più tacere il suo odio, la sua ribellione, e sceglie allora di rivolgersi al Dio degli occidentali. Contro di lui dapprima scaglia tutto il suo rancore; poi lo interpella come testimone delle sue sofferenze e di quelle del suo popolo; infine lo scopre inaspettatamente nella figura - sconcertante per un buddista - di Gesù. Un percorso, questo, lento, graduale e interessante, poiché pone in dialogo filosofia buddista e Vangelo, in modo critico, mai sterile, capace anzi di suscitare una profonda riflessione.
Un documento eccezionale sia del modo in cui una donna ha vissuto uno dei più grandi drammi del ventesimo secolo, sia del suo straordinario cammino verso la scoperta della follia d'amore del Nazareno.
Recensione
Il regime Khmer di Pol Pot non fu solo responsabile della morte di due milioni di cambogiani (su una popolazione di sette milioni) ma fu anche l'assassino dell' anima stessa della Cambogia, come l'autrice sottolinea nel corso della sua sconvolgente vicenda umana.
Gli Americani avevano appena evacuato Saigon dopo la manifesta sconfitta di una guerra mai dichiarata. Tale guerra vide una cifra di vittime vietnamite pari all'olocausto cambogiano, eccidio che si sarebbe consumato a partire proprio dalla fuga degli yankees nell’aprile del 1975. Pol Pot scorse nella ritirata Americana l'occasione per dare compimento alla follia di ispirazione marxista di una società nuova, contadina e antimperialista. Certamente una follia ma che nascondeva la lucida visione di una società plasmata dall'alto – come l'esperimento maoista aveva già dimostrato in Cina – nell’eliminazione di ogni nemico del popolo e quindi di ogni elemento borghese dalla società.
In molti in quegli anni persero gli affetti più cari della vita. Una donna, l’autrice stessa, una borghese laureata in filosofia con due bambini e una madre da proteggere, dovette infine accettare di piegarsi al regime spietato dei khmer per aver salva la propria vita e quella della sua famiglia. Lavorò allora come schiava in una cooperativa contadina khmer ma non permise a quella pazzia collettiva di strapparle la dignità e la libertà di pensarla diversamente. Condannata a seguire "un cammino di morte e di tristezza" non piegherà mai la sua volontà a quella dei suoi carnefici, non permise ai khmer rossi di assimilarla a quella fanatica idolatria comunista, né permise che lo fossero i suoi bambini, trasformando quel cammino di inferno e di morte in un cammino di vita per sé e per i propri cari.
Tuttavia, quella sofferenza era troppo grande per essere contenuta. A chi rivolgere la rabbia, l’indignazione per quella follia? Contro se stessa? Contro i khmer? O forse contro il proprio Buddha? Ma questi in fondo altri non era che un uomo e quindi "non all'altezza" del rancore e dell'odio che il cuore di questa donna doveva racchiudere; una ribellione senza confini "che riempie il cielo e la terra" e che solo un testimone senza limiti avrebbe potuto sopportare. Il Dio a cui si rivolge allora è un Dio sconosciuto, "capro espiatorio" della sua rabbia e della sua impotenza davanti a un male tanto forte. Su di lui riversò le sue ire, bestemmiando e insultando il suo nome. Imprecazioni che, ancora inconsciamente, nascondevano il principio di una richiesta di aiuto e di salvezza.
Con una bestemmia inizia il dialogo con quello che chiamerà il "Dio Testimone": Testimone perché spettatore assente della tragedia di un popolo intero. Eppure nella sua vicenda umana l’assenza e la lontananza di quel Dio nascosto le darà il vigore necessario a sopravvivere e le donerà la forza per dare compimento al proprio cammino spirituale.
Michele Moretti
Il regime Khmer di Pol Pot non fu solo responsabile della morte di due milioni di cambogiani (su una popolazione di sette milioni) ma fu anche l'assassino dell' anima stessa della Cambogia, come l'autrice sottolinea nel corso della sua sconvolgente vicenda umana.
Gli Americani avevano appena evacuato Saigon dopo la manifesta sconfitta di una guerra mai dichiarata. Tale guerra vide una cifra di vittime vietnamite pari all'olocausto cambogiano, eccidio che si sarebbe consumato a partire proprio dalla fuga degli yankees nell’aprile del 1975. Pol Pot scorse nella ritirata Americana l'occasione per dare compimento alla follia di ispirazione marxista di una società nuova, contadina e antimperialista. Certamente una follia ma che nascondeva la lucida visione di una società plasmata dall'alto – come l'esperimento maoista aveva già dimostrato in Cina – nell’eliminazione di ogni nemico del popolo e quindi di ogni elemento borghese dalla società.
In molti in quegli anni persero gli affetti più cari della vita. Una donna, l’autrice stessa, una borghese laureata in filosofia con due bambini e una madre da proteggere, dovette infine accettare di piegarsi al regime spietato dei khmer per aver salva la propria vita e quella della sua famiglia. Lavorò allora come schiava in una cooperativa contadina khmer ma non permise a quella pazzia collettiva di strapparle la dignità e la libertà di pensarla diversamente. Condannata a seguire "un cammino di morte e di tristezza" non piegherà mai la sua volontà a quella dei suoi carnefici, non permise ai khmer rossi di assimilarla a quella fanatica idolatria comunista, né permise che lo fossero i suoi bambini, trasformando quel cammino di inferno e di morte in un cammino di vita per sé e per i propri cari.
Tuttavia, quella sofferenza era troppo grande per essere contenuta. A chi rivolgere la rabbia, l’indignazione per quella follia? Contro se stessa? Contro i khmer? O forse contro il proprio Buddha? Ma questi in fondo altri non era che un uomo e quindi "non all'altezza" del rancore e dell'odio che il cuore di questa donna doveva racchiudere; una ribellione senza confini "che riempie il cielo e la terra" e che solo un testimone senza limiti avrebbe potuto sopportare. Il Dio a cui si rivolge allora è un Dio sconosciuto, "capro espiatorio" della sua rabbia e della sua impotenza davanti a un male tanto forte. Su di lui riversò le sue ire, bestemmiando e insultando il suo nome. Imprecazioni che, ancora inconsciamente, nascondevano il principio di una richiesta di aiuto e di salvezza.
Con una bestemmia inizia il dialogo con quello che chiamerà il "Dio Testimone": Testimone perché spettatore assente della tragedia di un popolo intero. Eppure nella sua vicenda umana l’assenza e la lontananza di quel Dio nascosto le darà il vigore necessario a sopravvivere e le donerà la forza per dare compimento al proprio cammino spirituale.
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