Effeemme. Gli anni delle radio libere

Edito da Memori, 2005
160 pagine, € 15,00
ISBN 8889475096

di Renato Sorace

Quarta di copertina

Prima dell’avvento della radiofonia privata - o meglio "libera", come si diceva a metà degli anni Settanta - la programmazione offerta dalla Rai di Ettore Bernabei era già di buon livello. E’ verso la fine degli anni Sessanta che avvenne un evidente salto di qualità, nel senso della modernità, anche attraverso il lavoro di Leone Piccioni. Nel 1968, infatti, vennero pensate e si affermarono trasmissioni come “La Corrida” di Corrado Mantoni, “Per voi giovani”, “Chiamate Roma 3131”, fino ad arrivare al fatidico 1970, quando irruppe sulle frequenze nazionali “Alto Gradimento” di Arbore e Boncompagni. Quel programma sconvolse linguaggi e convenzioni radiofoniche più o meno codificati da decenni.

Nonostante la radio pubblica potesse contare su indiscutibili professionalità ottime capacità di innovazione, l’ascesa delle radio “libere” fu irresistibile. Fu anche il lungo contenzioso legislativo per la “libertà di antenna” a far conoscere al Paese, nel mezzo di un periodo tra i più cupi della storia repubblicana, la realtà emergente della radiofonia locale. Lì per lì, forse, non era possibile comprendere tutto ciò che l’ingresso nelle case degli italiani di un fenomeno così nuovo stava provocando.

Trent’anni di distanza, però, può ben dire che molte delle istanze correlate al costume, al comportamento sociale e individuale, all’uso della lingua, proposte dal ’68 in poi sono passate con prepotenza e in vari modi anche attraverso i piccoli studi arrangiati delle prime radio libere italiane. La duttilità del mezzo e i bassi costi per iniziare a trasmettere stimolarono la fantasia e la dimensione organizzativa di molti giovani.

Le “piccole antenne” locali proponevano programmazioni per gusti diversi: ricordo che era divertente scoprirne qualcuna nuova smanettando sulla manopola della sintonia in modulazione di frequenza, abituata da tanti anni ai soli programmi nazionali, sulle onde medie.

Inesorabilmente la sigla FM diventò simbolo di libertà e punto di riferimento dei giovani italiani, che però in pochi conoscevano le esperienze inglesi delle mitiche “radio pirata”, capaci di trasmettere illegalmente da agili imbarcazioni continuamente in movimento al largo delle coste britanniche. Ricordo che a Roma il fenomeno si espanse in tempi brevissimi, come si conviene a un mezzo così potente e in quel tempo alla portata economica di molti, nel biennio 1975- 76. C’era la radio confidenziale, quella delle dediche e del rapporto telefonico diretto tra il conduttore e l’ascoltatore, magari in romanesco. C’era l’emittente dei grandi successi internazionali, quella delle canzoni romane e napoletane, quella di Claudio Villa e la radio politica.

Radio Città Futura espressione del nascente “movimento” studentesco, Radio Blu vicina al Pci, Onda Rossa dell’area dell’autonomia e Radio Alternativa legata al Fronte della Gioventù missino. Sarebbe interessante poter calcolare e analizzare gli ascolti di quegli anni e da lì tentare di capire quanto influirono quelle esperienze sulla formazione culturale e politica di coloro che oggi sono tra i 45 e i 55 anni. Oltre la politica, di certo la radiofonia privata cambiò i gusti musicali di intere generazioni fino ai giorni nostri.

La Rai reagì con lentezza alla voglia di pop e rock che nei primi anni Settanta vivevano il proprio periodo migliore. Erano pochissime le trasmissioni dedicate alle nuove sonorità che già tanto piacevano ai ragazzi: escludendo “Per voi giovani”, “Supersonic” e “Popoff ” le scelte musicali della radio di Stato ripercorrevano le strade della melodia italiana offerta da “Canzonissima” o dal “Festival di Sanremo”. E in pochi sapevano che i grandi successi di Equipe ’84 o Camaleonti erano cover americane o inglesi semplicemente tradotte in italiano. Quasi impossibile ascoltare in Rai le nuove tendenze della west coast di Crosby, Stills, Nash e Youg, il country-rock impegnato di Jackson Brown, il progressive inglese dei Genesis, o le durezze dei Led Zeppelin o dei Deep Purple. Gli stessi Beatles e Rolling Stones faticavano ad essere in onda.

Le “private”, almeno alcune di esse, ci aprirono un mondo di colori musicali fino ad allora confinati nell’ambito dei cultori dei dischi di importazione. E le emittenti politicamente più impegnate ci fecero conoscere in profondità il folk popolare dei “Dischi del sole”, i cantautori che si facevano le ossa al Folkstudio come De Gregori, Venditti, e Pietrangeli o quelli già noti, del calibro di De Andrè, Guccini e Gaber. E poi i gruppi all’avanguardia, come Area, Orme, Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso.

Ma il momento degli entusiasmi pionieristici non durò molto. Già nei primi anni Ottanta nelle emittenti libere l’approccio diventava di tipo professionale e molti dei Dj e dei giornalisti che avevano iniziato nelle prime radio libere la loro attività passarono alla Rai o ai grandi giornali nazionali. Nell’etere arrivò il calcio parlato in dosi massicce, e le “play list” imposte dalle case discografiche cominciarono a condizionare pesantemente la programmazione musicale. Col tempo le grandi reti nazionali, grazie alla raccolta pubblicitaria, diventavano realtà imprenditoriali di notevole peso, ma perdevano l’ambito locale che comunque rimaneva legato alle grandi emittenti regionali e cittadine.

Insomma, nonostante i grandi cambiamenti la radio, in genere, anche grazie alla spinte degli ultimi trent’anni, è rimasta fortemente ancorata al nostro quotidiano, scandendo i tempi del nostro risveglio, facendoci compagnia in automobile, nelle ore di studio o di lavoro. Nessuna concessione alla nostalgia, perché siamo nel mondo del sogno, del futuro e della concretezza dei fatti, perché la radio vive su ciò che avviene e si rinnova ogni giorno. In questo libro si parla di storie legate a persone e ad una presenza familiare, poetica, discreta e dolce che in tempi dominati dalla velocità delle immagini televisive, ci porta a riflettere sulla magia sempre viva fatta di onde, suoni e parole.

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