Ebrei di mafia. La malavita a New York: anni 1920-30
Edito da Baldini Castoldi Dalai, 2002
346 pagine, € 9,80
ISBN 8884902088
di Rich Cohen
Quarta di copertina
In America, nella storia della criminalità organizzata, prevalgono i nomi italiani, ma ci fu un tempo, negli anni Venti e Trenta, in cui nomi dichiaratamente ebrei occuparono la scena. È quanto ci rivela Rich Cohen in questo originalissimo e molto documentato volume, sapendo far rivivere quel periodo con estrema vivacità, raccontando aneddoti e storie conditi col sapore della realtà perché suo padre era il gestore del locale notturno in cui quel variopinto e mafiosissimo mondo usava radunarsi.
Un mondo fatto di strade, bar e night-club, dove uccidere era più attraente che scappare, dove ogni colpo veniva pianificato ed eseguito con precisione e finezza, un mondo di rivalità e guerre intestine, dove soltanto raggiungere la mezza età era un fatto raro, un mondo in cui, per un breve momento, i criminali più rispettati e temuti erano ebrei. Un momento durato poco perché, sostiene Cohen, non appena un gangster ebreo metteva da parte qualche soldo mandava i figli all’università e li avviava a una carriera regolare, mentre gli italiani passavano il mestiere ai figli senza altra preoccupazione.
Avvincente e senza scrupoli, questo resoconto sembra quasi godere nel presentare un’altra faccia dell’eterno ebreo, perseguitato e vittima, che la storia ci ha tramandato.
"Per ragazzini come mia padre, i gangster erano qualcosa di diverso dai libri e dalle preghiere, dai lamenti e dagli ondeggiamenti rituali degli ebrei. Se i gangster fossero vissuti in Palestina, non ci sarebbe stato nessun Muro del pianto. Ci sarebbe stato il Muro del Non Mi Rompere il Cazzo! Qualche anno più tardi, quando i ragazzini del quartiere si ritrovarono davanti le fotografie dei campi di concentramento, il ricordo dei gangster avrebbe dato loro un’altra immagine: ebrei duri, ebrei che non si potevano portare al macello. Cosa pensate che avrebbe fatto Pep Strauss a uno come Heinrich Himmler? Gli avrebbe piazzato una quindicina di buchi in corpo, a quel crauto bastardo! A volte penso che l’immagine di sé che ha mio padre, il suo modo di affrontare il mondo, iniziò con i suoi primi incontri con i suoi primi incontri con i gangster, anche se non seguì la loro strada, gli diedero un’illusione di libertà. Chissà? Magari finirò come loro. "Eccoti il mio consiglio per il futuro", disse uno dei gangster. "Butta via la palla e tieni la mazza".
In America, nella storia della criminalità organizzata, prevalgono i nomi italiani, ma ci fu un tempo, negli anni Venti e Trenta, in cui nomi dichiaratamente ebrei occuparono la scena. È quanto ci rivela Rich Cohen in questo originalissimo e molto documentato volume, sapendo far rivivere quel periodo con estrema vivacità, raccontando aneddoti e storie conditi col sapore della realtà perché suo padre era il gestore del locale notturno in cui quel variopinto e mafiosissimo mondo usava radunarsi.
Un mondo fatto di strade, bar e night-club, dove uccidere era più attraente che scappare, dove ogni colpo veniva pianificato ed eseguito con precisione e finezza, un mondo di rivalità e guerre intestine, dove soltanto raggiungere la mezza età era un fatto raro, un mondo in cui, per un breve momento, i criminali più rispettati e temuti erano ebrei. Un momento durato poco perché, sostiene Cohen, non appena un gangster ebreo metteva da parte qualche soldo mandava i figli all’università e li avviava a una carriera regolare, mentre gli italiani passavano il mestiere ai figli senza altra preoccupazione.
Avvincente e senza scrupoli, questo resoconto sembra quasi godere nel presentare un’altra faccia dell’eterno ebreo, perseguitato e vittima, che la storia ci ha tramandato.
"Per ragazzini come mia padre, i gangster erano qualcosa di diverso dai libri e dalle preghiere, dai lamenti e dagli ondeggiamenti rituali degli ebrei. Se i gangster fossero vissuti in Palestina, non ci sarebbe stato nessun Muro del pianto. Ci sarebbe stato il Muro del Non Mi Rompere il Cazzo! Qualche anno più tardi, quando i ragazzini del quartiere si ritrovarono davanti le fotografie dei campi di concentramento, il ricordo dei gangster avrebbe dato loro un’altra immagine: ebrei duri, ebrei che non si potevano portare al macello. Cosa pensate che avrebbe fatto Pep Strauss a uno come Heinrich Himmler? Gli avrebbe piazzato una quindicina di buchi in corpo, a quel crauto bastardo! A volte penso che l’immagine di sé che ha mio padre, il suo modo di affrontare il mondo, iniziò con i suoi primi incontri con i suoi primi incontri con i gangster, anche se non seguì la loro strada, gli diedero un’illusione di libertà. Chissà? Magari finirò come loro. "Eccoti il mio consiglio per il futuro", disse uno dei gangster. "Butta via la palla e tieni la mazza".
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