Piombo rosso. La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 a oggi
Edito da Baldini Castoldi Dalai, 2004
ISBN 8884905079
di Giorgio Galli
Libro presente nelle categorie:
Quarta di copertina
All'inizio del 2004, un dirigente politico della sinistra, commentando le ultime vicende delle Brigate Rosse, affermava di non essere in grado di dare una risposta al perché l'Italia era l'unico Paese dell'Occidente nel quale la lotta armata si protraeva da oltre un trentennio. Secondo l'autore, la lotta armata ha avuto vita lunga in Italia per due ragioni concomitanti: un certo consenso, nei primi anni Sessanta, poi estintosi col mutare delle condizioni del Paese, e la "lentezza" dell'azione repressiva dei servizi di sicurezza.
La tesi di fondo dell'autore di questo libro, Giorgio Galli, noto politologo e saggista, è che la lotta armata in Italia abbia avuto vita lunga per due precise ragioni concomitanti, spesso considerate separatamente da osservatori e studiosi. Capire la sua storia è impossibile senza capire a fondo chi l'ha combattuta, come e con quali fini. Se da un lato, infatti, il progetto rivoluzionario brigatista ha goduto nei primi anni Settanta di un certo consenso, poi estintosi col mutare delle condizioni del Paese, dall'altro lato è sopravvissuto per tanti anni grazie alla «lentezza» dell'azione repressiva dei servizi di sicurezza che, come il libro documenta ampiamente, sin dal 1972 potevano debellare ogni nucleo armato. Finite le Br storiche, oggi ci si può chiedere: com'è possibile che poche decine di irriducibili mal organizzati, peraltro già noti da tempo ai servizi, abbiano potuto assassinare D'Antona e poi Biagi, lasciato senza scorta malgrado le minacce risapute? E poi, è solo un «caso» che gli omicidi più eclatanti siano coincisi con momenti delicati della dinamica economico-politica del Paese (per ultimo quello Biagi, piovuto come una bomba sullo scontro governo-sindacato per l'articolo 18)? Sempre e solo all'arbitrio del caso si deve una lunga scia di morti strane e «suicidi» (come quello del perito informatico che aveva scoperto la provenienza della mail di rivendicazione dell'omicidio D'Antona)? Bisogna credere alla inettitudine dei guardiani della «sicurezza democratica», oppure è lecito pensare che certi uomini-chiave sanno quando agire o lasciar fare secondo una propria logica di potere interno alle istituzioni? Se poi si considera che dai tempi di De Lorenzo a oggi i servizi, a vari livelli, sono stati coinvolti in quasi tutte le stragi fino al caso Ilaria Alpi, l'ultima ipotesi non sembra poi tanto peregrina. Per offrire un ordine, dunque, a questo labirinto di misteri e reticenze che è la nostra storia recente, Galli parte dal piano delle testimonianze (di ex brigatisti, politici e magistrati), lo confronta con quello dei dati puri (particolari mai chiariti in più omicidi, scandali e retroscena politici) e li intreccia nelle tappe di un dibattito storiografico che non ha ancora trovato il giusto distacco da una materia incandescente, che continua a inquinare il presente.
All'inizio del 2004, un dirigente politico della sinistra, commentando le ultime vicende delle Brigate Rosse, affermava di non essere in grado di dare una risposta al perché l'Italia era l'unico Paese dell'Occidente nel quale la lotta armata si protraeva da oltre un trentennio. Secondo l'autore, la lotta armata ha avuto vita lunga in Italia per due ragioni concomitanti: un certo consenso, nei primi anni Sessanta, poi estintosi col mutare delle condizioni del Paese, e la "lentezza" dell'azione repressiva dei servizi di sicurezza.
La tesi di fondo dell'autore di questo libro, Giorgio Galli, noto politologo e saggista, è che la lotta armata in Italia abbia avuto vita lunga per due precise ragioni concomitanti, spesso considerate separatamente da osservatori e studiosi. Capire la sua storia è impossibile senza capire a fondo chi l'ha combattuta, come e con quali fini. Se da un lato, infatti, il progetto rivoluzionario brigatista ha goduto nei primi anni Settanta di un certo consenso, poi estintosi col mutare delle condizioni del Paese, dall'altro lato è sopravvissuto per tanti anni grazie alla «lentezza» dell'azione repressiva dei servizi di sicurezza che, come il libro documenta ampiamente, sin dal 1972 potevano debellare ogni nucleo armato. Finite le Br storiche, oggi ci si può chiedere: com'è possibile che poche decine di irriducibili mal organizzati, peraltro già noti da tempo ai servizi, abbiano potuto assassinare D'Antona e poi Biagi, lasciato senza scorta malgrado le minacce risapute? E poi, è solo un «caso» che gli omicidi più eclatanti siano coincisi con momenti delicati della dinamica economico-politica del Paese (per ultimo quello Biagi, piovuto come una bomba sullo scontro governo-sindacato per l'articolo 18)? Sempre e solo all'arbitrio del caso si deve una lunga scia di morti strane e «suicidi» (come quello del perito informatico che aveva scoperto la provenienza della mail di rivendicazione dell'omicidio D'Antona)? Bisogna credere alla inettitudine dei guardiani della «sicurezza democratica», oppure è lecito pensare che certi uomini-chiave sanno quando agire o lasciar fare secondo una propria logica di potere interno alle istituzioni? Se poi si considera che dai tempi di De Lorenzo a oggi i servizi, a vari livelli, sono stati coinvolti in quasi tutte le stragi fino al caso Ilaria Alpi, l'ultima ipotesi non sembra poi tanto peregrina. Per offrire un ordine, dunque, a questo labirinto di misteri e reticenze che è la nostra storia recente, Galli parte dal piano delle testimonianze (di ex brigatisti, politici e magistrati), lo confronta con quello dei dati puri (particolari mai chiariti in più omicidi, scandali e retroscena politici) e li intreccia nelle tappe di un dibattito storiografico che non ha ancora trovato il giusto distacco da una materia incandescente, che continua a inquinare il presente.
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