Storia di un delitto annunciato. Le ombre del caso Moro

Edito da Editori Riuniti, Roma, 1998
320 pagine, € 13,00
ISBN 8835944775

di Alfredo Carlo Moro

Quarta di copertina

Sono passati venti anni dal sequestro e dall'uccisione di Aldo Moro, un evento politico che ha determinato un sostanziale mutamento nella storia del nostro paese. L'autore, fratello di Aldo Moro e magistrato, sviluppa in questo volume una sua lettura dei fatti di quel drammatico 1978, analizzando e collegando in modo organico tutto ciò che è emerso nei ripetuti processi penali e nelle molte inchieste parlamentari sul caso Moro. Non ne risulta una verità alternativa ma vengono evidenziati i molti inquietanti interrogativi restati senza risposta, le tessere del mosaico che non vanno a posto, i buchi neri, gli episodi inspiegabili, le carenze ingiustificate, le illogicità. La verità reale, non quella di comodo, appare ancora velata.
La seconda parte del volume analizza tutti gli scritti di Moro dalla "prigione", ponendo in evidenza da una parte l'azione censoria e manipolatoria dei sequestratori e dall'altra i segnali che attraverso le lettere Moro cercava di inviare al'esterno per far conoscere il suo vero pensiero. Attraverso gli scritti, specie quelli ai familiari, l'autore individua il reale stato d'animo del prigioniero, i suoi sentimenti, la sua serena accettazione del martirio: ne emerge un ritratto dell'uomo, Moro assai diverso da quello che ci è stato finora presentato.
Recensione

I punti significativi che emergono dalle lettere

Da un’analisi più approfondita - e meno emozionale – delle lettere scritte da Moro e da una valutazione seria e globale dell’insieme delle lettere scritte nel periodo del suo sequestro possono evidenziarsi alcuni punti significativi che meritano di essere sottolineati in conclusione di questo capitolo.

- Le lettere sono state sicuramente scritte da Moro, e non sotto dettatura;
- In esse Moro tende a cercare una via di uscita per sé, e per altri prigionieri che riteneva essere nelle mani delle Br, attraverso la proposta di scambio;
- Tale proposta, di per sé non illegittima come vedremo, era comunque utile al prigioniero per evitare una esecuzione immediata e per dare alle forze investigative il tempo necessario per rinvenire la prigione e liberarlo;
- Comunque la stesura di parti delle lettere era fortemente condizionata dalla volontà dei suoi sequestratori che imponevano determinate prese di posizione e che operavano pesanti censure;
- Le lettere erano scritte senza una perfetta conoscenza di ciò che avveniva all’esterno, ma solo sulla base di frammenti di notizie che in qualche modo condizionavano il suo pensiero e il suo atteggiamento;
- Moro riteneva che le trattative fossero già avviate;
- Per imporre a Moro di scrivere quelle lettere e in quel determinato modo i suoi sequestratori si erano avvalsi non solo dell’ovvia intimidazione legata al ripetuto annuncio della sua imminente esecuzione ma principalmente di minacce alla vita del nipotino e che queste avevano avuto un particolare effetto sul sequestrato facendogli accettare il pesantissimo ricatto dei sequestratori;
- Moro ha cercato disperatamente di segnalare all’esterno che la lettura dei suoi scritti non doveva essere letterale ma che si doveva capire che in parte era legata alla situazione in cui si trovava ed alle imposizioni dei suoi carcerieri;
- Ha cercato anche di far comprendere ai suoi interlocutori che la situazione era molto più complessa di quello che appariva, che vi era qualcosa sotto cui dovevano riflettere, che dovevano mostrare autonomia di giudizio senza farsi condizionare da suggerimenti esterni, che dovevano non guardare all’immediato ma a tempi lunghi. Moro – benché prigioniero – sembra aver compreso che non era in gioco soltanto la sua vita fisica ma anche la vita democratica dell’intero paese e la sua autonomia di decisione nelle scelte politiche (1).

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La recensione di Nicola Tranfaglia, L'Indice 1998, n. 8

Nell'ultimo anno sono apparse decine di libri e di saggi che, esattamente dopo vent'anni (potenza degli anniversari!), affrontano di nuovo, da diversi punti di vista, il significato di un episodio traumatico per la nazione italiana. Tra il 16 marzo e il 9 maggio del 1978 vi fu infatti il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro, il leader cattolico che aveva risolto la crisi del 1975-76, portando i comunisti nella maggioranza parlamentare, e non nel governo, guidato allora da Giulio Andreotti.
Sempre quest'anno assistiamo, nel nostro bel paese, alla nascita di gruppi e partitini guidati proprio dai "revenants" che ebbero pesanti responsabilità in quegli anni, che si dimisero di fronte al fallimento delle indagini per ritrovare Moro prigioniero, ma che ora ricalcano la scena politica per poter con più forza respingere la ricerca della verità, cui testimoni e storici non possono, invece, rinunciare. E ai risultati delle ricerche che via via vengono pubblicate reagiscono accusando gli studiosi di voler criminalizzare la Dc o addirittura l'intera storia dell'Italia repubblicana, pur non avendo fino a questo momento avanzato alcuna spiegazione in merito ai numerosi punti oscuri, né portato argomenti efficaci (dal punto di vista storico) contro le spiegazioni indicate dalla pubblicistica e dalla più recente storiografia.In questa situazione può essere interessante anche per i non addetti ai lavori dedicare un po' del proprio tempo a seguire quel che emerge dalle nuove ricerche in corso.
La testimonianza-studio di Alfredo Carlo Moro è insieme lucida e partecipe.Dopo aver ripercorso i documenti giudiziari dei quattro processi che si sono succeduti (un quinto è aperto), egli afferma in sede conclusiva: "Quel che comunque emerge è che i molti misteri che connotano l'intera operazione non sono stati spiegati e che i troppi interrogativi che nascono da un'obiettiva analisi dei fatti non hanno ancora trovato soddisfacente risposta.La ricostruzione che si è potuta finora fare dell'intero caso Moro finisce così con l'apparire sfocata e ambigua".
Alfredo Carlo Moro enumera sinteticamente i punti controversi che, a mia volta, vorrei tentar di riassumere. 1) È provato che Moro era nel mirino dei terroristi e sapeva di esserlo.Perché non si disposero tutte le misure di prevenzione necessarie? Perché nessuno degli infiltrati (che ce ne fossero è altrettanto sicuro) avvertì il leader Dc? 2) Come mai un uomo del Sismi era presente alle 9 di mattina in via Fani? 3) Come mai Mino Pecorelli era al corrente dell'imminente azione e dopo il sequestro scrisse che le Br non erano quelle che apparivano e poco dopo venne ucciso? 4) Perché non c'è ancora certezza su quanti fossero i terroristi in via Fani? Chi erano i motociclisti sulla Honda nera vista da più testimoni? Chi era il killer che da solo ha sparato 49 colpi tutti andati a segno? 5) Come mai i sequestratori sapevano quali borse di Moro prendere e quali lasciare? E perché quelle prese furono distrutte, bruciando i documenti in esse contenuti? 6) Perché la ricostruzione dei 54 giorni fatta dai brigatisti in carcere è piena di buchi e di particolari inverosimili? 7) Perché il memoriale di Morucci è stato inviato al presidente della repubblica, e non alla procura della repubblica, ed è rimasto a lungo in mano ad esponenti della Dc? 8) Perché continua il mistero sul vero luogo della prigionia di Moro? 9)Perché il racconto sull'uccisione di Moro contrasta con dati di fatto emersi dalle perizie? 10)Perché tutto il materiale degli interrogatori a Moro non è stato reso pubblico dai brigatisti, come avevano più volte promesso? Ed ora di chi è in mano? 11) Perché le indagini sono state nei 54 giorni approssimative e carenti, malgrado segnalazioni precise, e i brigatisti giurarono in quei giorni liberamente per Roma e fuori della capitale?
Mi fermo qui, ma l'elenco finale diMoro va avanti, mettendo in luce la presenza ormai certa degli uomini della P2 all'interno del comitato del Ministero dell'Interno presieduto da Cossiga nei giorni del sequestro. Di quei lavori del resto non è praticamente rimasta traccia dalla metà di aprile del 1978.
È, a mio avviso, molto significativo che dubbi così pesanti, e tali da rimettere in discussione l'impostazione medesima della verità ufficiale sul caso Moro, che ancora molti vogliono difendere, nascano dall'indagine sulle carte giudiziarie e dalla testimonianza di un magistrato a perfetta conoscenza dei fatti, in quanto fratello della vittima.Ma non a caso nessuna polemica su questo testo è stata sollevata da chi esclude che novità possano esserci nella ricostruzione di quello che è stato l'assassinio politico più importante e clamoroso della storia repubblicana.
Su un altro piano, quello dello studio vero e proprio, della ricerca condotta su una pluralità di documenti e di fonti di archivio, si collocano gli altri due libri.
Il primo si deve a uno studioso, Franco Biscione, che già cinque anni fa aveva svolto un prezioso lavoro filologico sul Memoriale di Aldo Moro venuto alla luce nel 1990, dodici anni dopo la prima irruzione dei carabinieri nel covo milanese delle Brigate Rosse di via Montenevoso e dopo che una versione mutila era stata diffusa e consegnata dagli inquirenti alla Commissione d'indagine sulle stragi.
In quel primo studio, Biscione aveva ricostruito il Memoriale come una serie di risposte del prigioniero a un questionario sulla politica italiana che i brigatisti gli avevano sottoposto nel "carcere del popolo".Dalla sua ricostruzione emergeva con chiarezza che ad alcune domande, con ogni probabilità fatte dai brigatisti all'interno dello schema a disposizione, non sia stata data risposta, o, più probabilmente, che le risposte di Moro siano state fatte sparire e non si trovino nel Memoriale o almeno in ambedue le versioni successivamente ritrovate.
Nell'ampio studio dedicato al delitto Moro, Biscione si sposta assai oltre, ipotizzando l'ingresso di altri gruppi politici e malavitosi nel sequestro, il ruolo importante degli uomini della P2 interessati all'esclusione comunista e quindi alla liquidazione del leader democristiano, la mobilitazione interessata e provata dalla malavita romana e meridionale.Non si tratta di un'ipotesi complessiva e provabile nella sua interezza, ma non c'è dubbio che la ricerca di Biscione mette in luce, più di quanto abbia fatto Moro nel suo libro, l'esistenza di condizionamenti assai forti sui brigatisti, come sulla politica italiana, e suggerisce stimoli e piste di ricerca che solo in parte sono stati raccolti finora dai giudici e dagli storici.
Ancor più avanti, sulla base di una conoscenza straordinaria del caso, come del contesto politico nazionale e internazionale, va Sergio Flamigni con il suo libro sulle "convergenze parallele".L'autore della "tela di ragno" concentra la sua attenzione su una serie di documenti americani degli anni sessanta e settanta, da poco declassificati, che indicano con chiarezza, tra gli obiettivi dei servizi segreti degli Stati Uniti e di quelli italiani, da una parte la necessità di impedire l'ascesa con ogni mezzo (incluse le stragi e il terrorismo) della sinistra, e dei comunisti in particolare, al governo; dall'altra l'opportunità di infiltrare propri agenti italiani all'interno delle organizzazioni di estrema sinistra in modo da addossare a quella parte le vittime e i danni che fossero provocati dalle azioni terroristiche. Esibisce inoltre una serie di elementi, raccolti attraverso una documentazione politica, diplomatica e giornalistica, i quali confermano che una simile strategia era presente in tutta l'Europa, ma si concentrava in quel momento sul nostro paese, che appariva particolarmente instabile. Flamigni rintraccia inoltre, nella lettura attenta del Memoriale e di tutte le lettere recapitate all'esterno dalle Brigate Rosse alla Dc, agli amici politici di Moro e alla famiglia, ulteriori elementi in grado, a suo avviso, di confermare l'interpretazione che fornisce.
Certo, leggendo questi libri, ci si rende conto che mancano ancora documenti importanti per andare a fondo e costruire un edificio inattaccabile. Si può però affermare che le ipotesi avanzate, in maniera diversa, da Moro, Biscione e Flamigni, se inserite in una ricostruzione più ampia della crisi italiana di quegli anni, consentono di fare alcuni passi decisivi verso la verità.Per metterle in discussione sarebbe necessario che i critici di quelle ipotesi smentissero l'uno o l'altro fatto chiamato in causa: il che finora non è mai avvenuto, almeno sul terreno dell'indagine storica.
Annotazioni

1. Estratto da pagina 243 del testo.

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