Moro. 25 anni di misteri

Edito da Palomar, Bari, 2003
147 pagine, € 12,00
ISBN 8887467951

di Giuseppe Giacovazzo

Quarta di copertina

Oggi, dopo 25 anni, il senso di questa breve rievocazione, non consiste nella ricerca di responsabilità, che sarebbero un esercizio vano e infruttuoso. E neanche nella messa a punto della distanza che ci separa – e chi sa quanto ancora – dalla verità. Si tratta piuttosto di prendere coscienza, apertamente, del significato profondo di una tragedia che ha separato il popolo dalla politica, l’etica della persona dalla ragion di Stato.
Poiché questa è, alla radice, la crisi irrisolta della democrazia italiana, la sua vera incompiutezza: riconciliare il demos e il rateo, il popolo e chi comanda. Per questo la vicenda Moro costituisce un crocevia nella storia della nostra Repubblica.
Recensione

In mezzo ai misteri emerge l'uomo

Moro - 25 anni di misteri può forse trarre in inganno, accomunando queste pagine a tante altre scritte sul tema. Non mi sembra sia così.
Partendo ovviamente dal dramma del rapimento e dell’assassinio del leader democristiano, sondando alcuni dei suoi aspetti rimasti ancora oscuri, in realtà l’autore da affinato giornalista, da politico e, non ultimo, da pugliese, desidera cogliere e raccontare più di ogni altra cosa i tratti umani della personalità di Aldo Moro. Incoraggiato forse dalla sua amicizia con Sciascia, per il quale come sappiamo il caso Moro fu molto più di un “caso”, Giacovazzo riesce davvero in alcune pagine del suo libro a far emergere finalmente “l’uomo”.
Ed è amaro davvero li destino di quell'uomo-statista DC, incompreso dal suo partito, inviso al grande alleato americano, antipatico ai comunisti, odiato dalle punte (1), vittima per certi versi della sua stessa capacità di guardare non al domani, ma al dopodomani (2).

Roberto Bortone


Punti chiave:

• L’amicizia tra Giacovazzo e Sciascia.
• Una breccia postuma nel fronte della fermezza (ancora oggi praticamente intatto): quella di De Mita che, dopo tanti anni, riconosce l’errore di allora: non aver riconosciuto nei suoi scritti l’amico, il collega, l’uomo.
• La permanente diffidenza e talora l’aperta ostilità dell’amministrazione USA nei confronti del programma di Aldo Moro di “compiere” la democrazia italiana.
• La personalità di Moro, uomo autenticamente politico, “cavallo di razza”, ed il suo difficile rapporto con i media.
• La bellissima e struggente lettera di Elsa Morante indirizzata alle Brigate Rosse e mai inviata.
• Il rapporto lungo e determinante tra Aldo Moro e Paolo VI, quel “senza condizioni”…
• Il discorso del perdono, terreno difficile e delicato ancora oggi, aperto delicatamente dalle parole di Germano Maccari.
• L’ultimo discorso pronunciato ad Aldo Moro ai suoi colleghi democristiani, ai suoi amici, alla sua famiglia.
Annotazioni

1.“…Io temo le punte, ma temo il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, rifiuto del vincolo, della deformazione della libertà che non sappia accettare né vincoli né solidarietà.” Brano estratto dall’ultimo discorso pronunciato da Aldo Moro ai deputati e ai senatori democristiani riuniti in assemblea il 28 febbraio 1978, da molti definito il suo testamento politico. Due settimane dopo verrà rapito in via Fani dalle Brigate Rosse.
2.“…Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese. Pensateci bene cari amici. Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani.” Lettera indirizzata a Benigno Zaccagnini e recapitata, tramite Don Mennini il 20 aprile.

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