La strage di Stato. Controinchiesta
Edito da Odradek Edizioni, 2001
181 pagine, € 7,75
ISBN 8886973276
di AA.VV.
Libro presente nelle categorie:
Recensione
Nota dell'editore.
Questo libro è il frutto di un lavoro paziente e sistematico di un nutrito gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare, che hanno - spinti dal desiderio di accertare i fatti e di risalire alle responsabilità politiche - raccolto informazioni e testimonianze, messo a confronto dichiarazioni pubbliche di funzionari di polizia e altri personaggi implicati nelle vicende, ricostruito le attività e gli spostamenti di ben individuati personaggi, fornendoci, alla fine, attraverso notizie in parte già note, in parte inedite, un quadro certo impressionante di una realtà politica (quella dei fascisti e dei loro collegamenti nazionali e internazionali, delle altre forze politiche reazionarie che hanno in quei fascisti un loro strumento), con una ricchezza di dati e una capacità di persuasione fino ad oggi difficilmente raggiunte.
Il lavoro - è giusto dirlo - è stato svolto in modo del tutto indipendente dalle organizzazioni della sinistra, senza nessun aiuto politico e finanziario. Solo quando il manoscritto era completato, l'editore ha preso l'iniziativa di chiedere ai rappresentanti dello schieramento politico-parlamentare di sinistra un giudizio e un avallo. Ciò non perché si sia ritenuto necessario riproporre in questa sede un dibattito fra diverse forze politiche della sinistra, che già si svolge altrove: ma perché ci è sembrato che il tipo di battaglia, nel quale si inserisce il testo che qui presentiamo al lettore, richiedesse - al di là delle divergenze politiche che pur permangono e che traspaiono dalla lettura e del libro e dei giudizi espressi in fondo da Basso, Natoli, Natta, Parri - l'unità di uno schieramento di sinistra che, quali che siano gli errori o le manchevolezze di questi o quelli, rimane l'unico strumento valido per opporsi concretamente alle mene reazionarie degli autori degli attentati di Roma e Milano e dei loro complici consapevoli o inconsapevoli.
NOTA DEGLI AUTORI
Questa controinchiesta - condotta da un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare e iniziata nel periodo in cui, con il pretesto degli attentati dei 12 dicembre, si scatenava la caccia all'"estremista di sinistra" - non nasce da esigenze di legittima difesa: per denunciare "le disfunzioni dello stato democratico" o "la violazione dei diritti costituzionali dei cittadini". Sappiamo che questi diritti, quando esistono, sono riservati esclusivamente a chi accetta le regole del gioco imposto dai padroni: l'unanimismo dei servi o l'opposizione istituzionale dei falsi rivoluzionari. Per noi, "giustizia di classe" e "violenza di stato" non sono definizioni astratte o slogan propagandistici, ma giudizi acquisiti con l'esperienza: gli operai, i contadini, gli studenti, li verificano ogni giorno nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, nelle piazze e non soltanto nelle "situazioni di emergenza". La repressione preferiamo chiamarla rappresaglia. Essa rappresenta un parametro di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema colpisce con tanta più virulenza quanto più i modi e gli obiettivi della lotta sono giusti, e che l'unica, vera, amnistia che conti, sarà promulgata il giorno in cui lo stato borghese verrà abbattuto.
Per questo non ci stupisce ne' ci indigna il ricorso dei padroni alla strage e la trasformazione di 16 cadaveri in formula di governo; ne' che l'apparato ne copra le responsabilità con l'assassinio e con l'incarcerazione di innocenti. Lasciamo ai "democratici" il compito di scandalizzarsi, di chiedere accertamenti e indagini parlamentari, di gridare: "Questo non deve accadere! Qui non siamo in Cambogia" come se esistessero tanti imperialismi anziché uno solo, come se i sistemi che esso usa abitualmente in Asia, Africa, America Latina o in Medio Oriente, fossero privilegio esclusivo dei popoli di colore o sottosviluppati: inammissibili per un "paese di alta civiltà", come il nostro. Fin dall'inizio eravamo coscienti che non avremmo potuto fornire agli altri militanti molto di più di quanto essi già sapevano sulle responsabilità dirette e indirette che stanno dietro la strage di Milano.
Prima ancora che i giornali progressisti definissero "oscuro suicidio" la morte di Giuseppe Pinelli, sui volantini alle fabbriche e all'Università, sui giornali rivoluzionari e sui muri delle città italiane, i colpevoli venivano indicati con nome e cognome. Quando i deputati della sinistra ufficiale denunciavano "l'oscura manovra reazionaria" rivolgendo appelli di unità antifascista a quegli stessi settori politici che di questa manovra, nient'affatto oscura, erano i gestori e i portavoce ufficiali, migliaia di militanti si scontravano in piazza con la polizia gridando esplicitamente i risultati della loro analisi di classe. Il significato di questa contro-inchiesta, quindi, è quello di offrire ai compagni un modesto strumento di lavoro per l'approfondimento e la diffusione a livello popolare dell'analisi sullo stato borghese; perché, come ha detto Lenin prima di Gramsci, la verità è rivoluzionaria. Siamo convinti, nello stesso tempo, che essa fornisca la dimostrazione di quanto e meglio avrebbero potuto fare - se solo lo avessero voluto - le forze della sinistra istituzionale, politiche e sindacali. Le quali però non hanno voluto perché il farlo significava dimostrare che dietro le bombe di Milano e di Roma, dietro la morte di Giuseppe Pinelli, esistono complicità che non lasciano spazi riformistici.
L'abbiamo dedicata a due compagni: Giuseppe Pinelli e Ottorino Pesce. Il primo, un operaio, è rimasto ucciso per predisposizione storica, come i suoi compagni che quasi ogni giorno muoiono nei cantieri e nelle fabbriche dei padroni; il secondo giacché aveva scelto di mettersi dalla parte degli sfruttati anziché degli sfruttatori, pretendendo di rifiutare il ruolo sociale che gli era stato assegnato. Lo ha fatto dichiarando - proprio quando la sinistra ufficiale assisteva pressoché impassibile alla caccia all'"anarchico" e al "maoista" che la giustizia italiana è una giustizia di classe: la stampa "indipendente" lo ha linciato, i magistrati "progressisti" lo hanno invitato alla prudenza e al tatticismo. E' morto d'infarto il 6 gennaio 1970.
Un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare
13 dicembre 1969-13 maggio 1970
Nota dell'editore.
Questo libro è il frutto di un lavoro paziente e sistematico di un nutrito gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare, che hanno - spinti dal desiderio di accertare i fatti e di risalire alle responsabilità politiche - raccolto informazioni e testimonianze, messo a confronto dichiarazioni pubbliche di funzionari di polizia e altri personaggi implicati nelle vicende, ricostruito le attività e gli spostamenti di ben individuati personaggi, fornendoci, alla fine, attraverso notizie in parte già note, in parte inedite, un quadro certo impressionante di una realtà politica (quella dei fascisti e dei loro collegamenti nazionali e internazionali, delle altre forze politiche reazionarie che hanno in quei fascisti un loro strumento), con una ricchezza di dati e una capacità di persuasione fino ad oggi difficilmente raggiunte.
Il lavoro - è giusto dirlo - è stato svolto in modo del tutto indipendente dalle organizzazioni della sinistra, senza nessun aiuto politico e finanziario. Solo quando il manoscritto era completato, l'editore ha preso l'iniziativa di chiedere ai rappresentanti dello schieramento politico-parlamentare di sinistra un giudizio e un avallo. Ciò non perché si sia ritenuto necessario riproporre in questa sede un dibattito fra diverse forze politiche della sinistra, che già si svolge altrove: ma perché ci è sembrato che il tipo di battaglia, nel quale si inserisce il testo che qui presentiamo al lettore, richiedesse - al di là delle divergenze politiche che pur permangono e che traspaiono dalla lettura e del libro e dei giudizi espressi in fondo da Basso, Natoli, Natta, Parri - l'unità di uno schieramento di sinistra che, quali che siano gli errori o le manchevolezze di questi o quelli, rimane l'unico strumento valido per opporsi concretamente alle mene reazionarie degli autori degli attentati di Roma e Milano e dei loro complici consapevoli o inconsapevoli.
NOTA DEGLI AUTORI
Questa controinchiesta - condotta da un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare e iniziata nel periodo in cui, con il pretesto degli attentati dei 12 dicembre, si scatenava la caccia all'"estremista di sinistra" - non nasce da esigenze di legittima difesa: per denunciare "le disfunzioni dello stato democratico" o "la violazione dei diritti costituzionali dei cittadini". Sappiamo che questi diritti, quando esistono, sono riservati esclusivamente a chi accetta le regole del gioco imposto dai padroni: l'unanimismo dei servi o l'opposizione istituzionale dei falsi rivoluzionari. Per noi, "giustizia di classe" e "violenza di stato" non sono definizioni astratte o slogan propagandistici, ma giudizi acquisiti con l'esperienza: gli operai, i contadini, gli studenti, li verificano ogni giorno nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, nelle piazze e non soltanto nelle "situazioni di emergenza". La repressione preferiamo chiamarla rappresaglia. Essa rappresenta un parametro di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema colpisce con tanta più virulenza quanto più i modi e gli obiettivi della lotta sono giusti, e che l'unica, vera, amnistia che conti, sarà promulgata il giorno in cui lo stato borghese verrà abbattuto.
Per questo non ci stupisce ne' ci indigna il ricorso dei padroni alla strage e la trasformazione di 16 cadaveri in formula di governo; ne' che l'apparato ne copra le responsabilità con l'assassinio e con l'incarcerazione di innocenti. Lasciamo ai "democratici" il compito di scandalizzarsi, di chiedere accertamenti e indagini parlamentari, di gridare: "Questo non deve accadere! Qui non siamo in Cambogia" come se esistessero tanti imperialismi anziché uno solo, come se i sistemi che esso usa abitualmente in Asia, Africa, America Latina o in Medio Oriente, fossero privilegio esclusivo dei popoli di colore o sottosviluppati: inammissibili per un "paese di alta civiltà", come il nostro. Fin dall'inizio eravamo coscienti che non avremmo potuto fornire agli altri militanti molto di più di quanto essi già sapevano sulle responsabilità dirette e indirette che stanno dietro la strage di Milano.
Prima ancora che i giornali progressisti definissero "oscuro suicidio" la morte di Giuseppe Pinelli, sui volantini alle fabbriche e all'Università, sui giornali rivoluzionari e sui muri delle città italiane, i colpevoli venivano indicati con nome e cognome. Quando i deputati della sinistra ufficiale denunciavano "l'oscura manovra reazionaria" rivolgendo appelli di unità antifascista a quegli stessi settori politici che di questa manovra, nient'affatto oscura, erano i gestori e i portavoce ufficiali, migliaia di militanti si scontravano in piazza con la polizia gridando esplicitamente i risultati della loro analisi di classe. Il significato di questa contro-inchiesta, quindi, è quello di offrire ai compagni un modesto strumento di lavoro per l'approfondimento e la diffusione a livello popolare dell'analisi sullo stato borghese; perché, come ha detto Lenin prima di Gramsci, la verità è rivoluzionaria. Siamo convinti, nello stesso tempo, che essa fornisca la dimostrazione di quanto e meglio avrebbero potuto fare - se solo lo avessero voluto - le forze della sinistra istituzionale, politiche e sindacali. Le quali però non hanno voluto perché il farlo significava dimostrare che dietro le bombe di Milano e di Roma, dietro la morte di Giuseppe Pinelli, esistono complicità che non lasciano spazi riformistici.
L'abbiamo dedicata a due compagni: Giuseppe Pinelli e Ottorino Pesce. Il primo, un operaio, è rimasto ucciso per predisposizione storica, come i suoi compagni che quasi ogni giorno muoiono nei cantieri e nelle fabbriche dei padroni; il secondo giacché aveva scelto di mettersi dalla parte degli sfruttati anziché degli sfruttatori, pretendendo di rifiutare il ruolo sociale che gli era stato assegnato. Lo ha fatto dichiarando - proprio quando la sinistra ufficiale assisteva pressoché impassibile alla caccia all'"anarchico" e al "maoista" che la giustizia italiana è una giustizia di classe: la stampa "indipendente" lo ha linciato, i magistrati "progressisti" lo hanno invitato alla prudenza e al tatticismo. E' morto d'infarto il 6 gennaio 1970.
Un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare
13 dicembre 1969-13 maggio 1970
Annotazioni
Prima edizione: 1971
Prima edizione: 1971
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