Dalla mafia allo Stato. I pentiti: analisi e storie
Edito da EGA - Edizioni Gruppo Abele, 2005
556 pagine, € 20,00
ISBN 8876705287
di AA.VV.
Quarta di copertina
Chi sono i collaboratori di giustizia? Quanti sono? Come e perché sono usciti dalla mafia? Come vivono oggi? L'articolato lavoro di ricerca realizzato dal Gruppo Abele offre una fotografia a 360° del fenomeno del pentitismo a partire dalla testimonianza diretta di alcuni "collaboratori eccellenti". Prefazione di Gian Carlo Caselli.
Chi sono i collaboratori di giustizia? Quanti sono? Come e perché sono usciti dalla mafia? Come vivono oggi? L'articolato lavoro di ricerca realizzato dal Gruppo Abele offre una fotografia a 360° del fenomeno del pentitismo a partire dalla testimonianza diretta di alcuni "collaboratori eccellenti". Prefazione di Gian Carlo Caselli.
Recensione
La storia del pentitismo mafioso ha assunto nel corso degli anni un andamento parabolico: dai rari ma preziosi contributi degli anni Ottanta, alle migliaia di collaborazioni successive alla stagione delle stragi dei primi anni Novanta, fino a giungere, pochi anni dopo, a un considerevole cambio di mentalità che ha visto i pentiti divenire oggetto di attacchi spesso forsennati. Si è iniziato a dire che i collaboratori erano troppi, che vi era stato un eccesso nell’accogliere nelle fila dei pentiti un numero esagerato di soggetti e che per risolvere il problema bisognava ridurre il loro numero.
Tuttavia le enfatizzazioni dei media non aiutano a comprendere il fenomeno del pentitismo.
Anzitutto c’è un problema terminologico: spesso le parole vengono usate come se fossero interscambiabili. Così pentito si è sovrapposto a confidente, delatore è divenuto sinonimo di collaboratore di giustizia. Si è mischiato il piano etico e religioso con quello prettamente giuridico contribuendo ad aggravare la confusione in un dibattito estremamente aspro e complesso, proponendo immagini stereotipate e, in alcuni casi, grossolane alterazioni della realtà.
Questo prezioso volume curato dal Gruppo Abele ha come intento quello di analizzare in profondità il fenomeno dei collaboratori di giustizia fuoriusciti dalle organizzazioni mafiose. Accanto ad una sintetica ma puntuale ricostruzione storica del contesto storico e sociale in cui si è evoluto il pentitismo, appaiono dettagliate descrizioni sulla legislazione in materia, sul funzionamento del sistema di protezione e una trascrizione, unica nel suo genere, di diciotto interviste a collaboratori di tutte e quattro le principali organizzazioni criminali italiane.
Infatti, come non mancano di notare i curatori di questo meritevole studio, ben poco si sa di loro al di là del contributo offerto nelle aule di giustizia: di come vivono questa vita, di quali siano le loro motivazioni, difficoltà esistenziali, sentimenti, legami. Nella prefazione Gian Carlo Caselli, con una metafora assai azzeccata, li definisce come una carica posto all’interno della roccia del gruppo mafioso: lì dove le indagini “tradizionali” appaiono come un semplice scalpello capace al più di scalfire la superficie, essa la spacca mettendone a nudo la parte più segreta. Tuttavia, non va dimenticato, rappresentano anche, assieme alle loro famiglie, un universo di umanità che appare sospeso fra il passato della loro trascorsa esistenza e un presente e un futuro ancora instabili, in molti casi tutti da costruire.
Filippo Di Blasi
La storia del pentitismo mafioso ha assunto nel corso degli anni un andamento parabolico: dai rari ma preziosi contributi degli anni Ottanta, alle migliaia di collaborazioni successive alla stagione delle stragi dei primi anni Novanta, fino a giungere, pochi anni dopo, a un considerevole cambio di mentalità che ha visto i pentiti divenire oggetto di attacchi spesso forsennati. Si è iniziato a dire che i collaboratori erano troppi, che vi era stato un eccesso nell’accogliere nelle fila dei pentiti un numero esagerato di soggetti e che per risolvere il problema bisognava ridurre il loro numero.
Tuttavia le enfatizzazioni dei media non aiutano a comprendere il fenomeno del pentitismo.
Anzitutto c’è un problema terminologico: spesso le parole vengono usate come se fossero interscambiabili. Così pentito si è sovrapposto a confidente, delatore è divenuto sinonimo di collaboratore di giustizia. Si è mischiato il piano etico e religioso con quello prettamente giuridico contribuendo ad aggravare la confusione in un dibattito estremamente aspro e complesso, proponendo immagini stereotipate e, in alcuni casi, grossolane alterazioni della realtà.
Questo prezioso volume curato dal Gruppo Abele ha come intento quello di analizzare in profondità il fenomeno dei collaboratori di giustizia fuoriusciti dalle organizzazioni mafiose. Accanto ad una sintetica ma puntuale ricostruzione storica del contesto storico e sociale in cui si è evoluto il pentitismo, appaiono dettagliate descrizioni sulla legislazione in materia, sul funzionamento del sistema di protezione e una trascrizione, unica nel suo genere, di diciotto interviste a collaboratori di tutte e quattro le principali organizzazioni criminali italiane.
Infatti, come non mancano di notare i curatori di questo meritevole studio, ben poco si sa di loro al di là del contributo offerto nelle aule di giustizia: di come vivono questa vita, di quali siano le loro motivazioni, difficoltà esistenziali, sentimenti, legami. Nella prefazione Gian Carlo Caselli, con una metafora assai azzeccata, li definisce come una carica posto all’interno della roccia del gruppo mafioso: lì dove le indagini “tradizionali” appaiono come un semplice scalpello capace al più di scalfire la superficie, essa la spacca mettendone a nudo la parte più segreta. Tuttavia, non va dimenticato, rappresentano anche, assieme alle loro famiglie, un universo di umanità che appare sospeso fra il passato della loro trascorsa esistenza e un presente e un futuro ancora instabili, in molti casi tutti da costruire.
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