Ad alta voce. Il riscatto della memoria in terra di mafia
Edito da Cart'Armata, 2005
128 pagine, € 10,00
ISBN 888938512X
di Antonina Azoti
Recensione
iccolò Azoti aveva 37 anni quando venne ucciso dalla mafia. Era un giovane sindacalista che si batteva a favore della riforma agricola in Sicilia. Sua figlia, Antonina, aveva solo 4 anni. Dopo mezzo secolo quella bambina ha deciso di riaprire quella ferita, per non rendere vano il sacrificio di suo padre. Così è nato Ad alta voce - Il riscatto della memoria in terra di mafia, una memoria autobiografica pubblicata dal giornale di strada "Terre di Mezzo" nella collana "I diari di Terre/Archivio di Pieve". L'opera, che ha vinto il premio come miglior diario al concorso dell'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve S.Stefano, l'11 marzo verrà presentato all'Istituto Enrico Fermi di Siracusa alle 10.30, e il 14 marzo alle 18, alla libreria Feltrinelli di Palermo. “Ci sono motivi profondi che risalgono a molto tempo fa, nella decisione di scrivere questo libro, maturati nel lungo silenzio che mi stava intorno e in cui io stessa, forse, mi sono autoemarginata. Al tredicesimo anniversario della strage di Capaci, ho partecipato alla catena umana in memoria del giudice Falcone: c'erano migliaia di persone che protestavano per la mafia ed ho visto una società improvvisamente matura, uscita dall'immobilità. Forse proprio questa partecipazione ha fatto in modo che anch'io aprissi agli altri il mio dolore. C'era una pedana da dove poter parlare per ricordare Falcone. Mio marito voleva trattenermi, ma io invece salii e dissi ad alta voce: ‘Anch'io ho qualcosa da dire, ascoltatemi. La mafia uccide da più di 50 anni. Ha ucciso un giovane di 37 anni, un sindacalista che si batteva per la riforma agraria. Si chiamava Niccolò Azoti: io sono sua figlia, e non l'ho conosciuto’. Ho scritto anche per i miei familiari e per saldare i conti con i periodi del buio e della luce che hanno segnato la mia vita. La volontà di scrivere è stata come una luce che apriva uno squarcio verso il riscatto della memoria di mio padre, dandogli la giustizia che non ha mai avuto. E' nata anche ‘Non solo Portella’, associazione che ricorda i sindacalisti uccisi dalla mafia. Nel 1946, nel giro di poche settimane, in Sicilia la mafia uccise 39 sindacalisti. Soltanto ad anni distanza i loro nomi sono stati riconosciuti nell'elenco dello Stato dei morti di mafia. I mandanti di quegli omicidi non sono stati perseguiti, i mandanti nemmeno quando sono stati individuati. Oggi riesco a guardare una foto di mio padre perchè ho fatto qualcosa per lui – conclude Antonina Azoti - La gente mi diceva: ‘Se tuo padre si fosse fatto i fatti suoi, non sarebbe successo’. Da bambina coltivavo il suo ricordo, insieme ad un poco di risentimento, per le parole di queste persone che facevano passare la sua morte come un destino evitabile. Quando poi sono stata in grado di documentarmi e ho capito che era stato tra i protagonisti del movimento contadino per la liberazione dalla mafia, ho capito che era morto perchè aveva abbracciato una causa. La mafia esisteva ed esiste: in Sicilia la magistratura è molto attiva ma sappiamo che la mafia è infiltrata ovunque. C'è omertà, ma almeno di mafia si può parlare liberamente: se c'è unione tra i cittadini qualcosa si può fare, in termini di presa di coscienza”.
DeltaNews.it
iccolò Azoti aveva 37 anni quando venne ucciso dalla mafia. Era un giovane sindacalista che si batteva a favore della riforma agricola in Sicilia. Sua figlia, Antonina, aveva solo 4 anni. Dopo mezzo secolo quella bambina ha deciso di riaprire quella ferita, per non rendere vano il sacrificio di suo padre. Così è nato Ad alta voce - Il riscatto della memoria in terra di mafia, una memoria autobiografica pubblicata dal giornale di strada "Terre di Mezzo" nella collana "I diari di Terre/Archivio di Pieve". L'opera, che ha vinto il premio come miglior diario al concorso dell'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve S.Stefano, l'11 marzo verrà presentato all'Istituto Enrico Fermi di Siracusa alle 10.30, e il 14 marzo alle 18, alla libreria Feltrinelli di Palermo. “Ci sono motivi profondi che risalgono a molto tempo fa, nella decisione di scrivere questo libro, maturati nel lungo silenzio che mi stava intorno e in cui io stessa, forse, mi sono autoemarginata. Al tredicesimo anniversario della strage di Capaci, ho partecipato alla catena umana in memoria del giudice Falcone: c'erano migliaia di persone che protestavano per la mafia ed ho visto una società improvvisamente matura, uscita dall'immobilità. Forse proprio questa partecipazione ha fatto in modo che anch'io aprissi agli altri il mio dolore. C'era una pedana da dove poter parlare per ricordare Falcone. Mio marito voleva trattenermi, ma io invece salii e dissi ad alta voce: ‘Anch'io ho qualcosa da dire, ascoltatemi. La mafia uccide da più di 50 anni. Ha ucciso un giovane di 37 anni, un sindacalista che si batteva per la riforma agraria. Si chiamava Niccolò Azoti: io sono sua figlia, e non l'ho conosciuto’. Ho scritto anche per i miei familiari e per saldare i conti con i periodi del buio e della luce che hanno segnato la mia vita. La volontà di scrivere è stata come una luce che apriva uno squarcio verso il riscatto della memoria di mio padre, dandogli la giustizia che non ha mai avuto. E' nata anche ‘Non solo Portella’, associazione che ricorda i sindacalisti uccisi dalla mafia. Nel 1946, nel giro di poche settimane, in Sicilia la mafia uccise 39 sindacalisti. Soltanto ad anni distanza i loro nomi sono stati riconosciuti nell'elenco dello Stato dei morti di mafia. I mandanti di quegli omicidi non sono stati perseguiti, i mandanti nemmeno quando sono stati individuati. Oggi riesco a guardare una foto di mio padre perchè ho fatto qualcosa per lui – conclude Antonina Azoti - La gente mi diceva: ‘Se tuo padre si fosse fatto i fatti suoi, non sarebbe successo’. Da bambina coltivavo il suo ricordo, insieme ad un poco di risentimento, per le parole di queste persone che facevano passare la sua morte come un destino evitabile. Quando poi sono stata in grado di documentarmi e ho capito che era stato tra i protagonisti del movimento contadino per la liberazione dalla mafia, ho capito che era morto perchè aveva abbracciato una causa. La mafia esisteva ed esiste: in Sicilia la magistratura è molto attiva ma sappiamo che la mafia è infiltrata ovunque. C'è omertà, ma almeno di mafia si può parlare liberamente: se c'è unione tra i cittadini qualcosa si può fare, in termini di presa di coscienza”.
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