Da Avanti! del 24/07/2006

L’ULTIMO LIBRO DI VLADIMIRO SATTA RIAPRE IL DIBATTITO SUL RAPIMENTO DEL LEADER DEMOCRISTIANO

I falsi misteri del caso Moro

È un peccato che la casa editrice Rubbettino abbia pubblicato il libro di Vladimiro Satta dal titolo “Il caso Moro e i suoi falsi misteri” a luglio quando i lettori più attenti sono con la mente rivolta alle vacanze. Il funzionario del Senato e saggista ricorda agli appassionati del caso Moro che sull’assassinio dello statista democristiano è stato scoperto tutto. La discussione tra dietrologi e antidietrologi della storia del terrorismo rosso in Italia è destinato a durare con buona pace di chi si affretta a dire che sui 55 giorni del rapimento di Moro si sa tutto e che ogni dubbio è stato fugato. L’avversario numero uno di Satta, l’ex senatore Sergio Flamigni, autore di numerosi libri per la Kaos edizioni (“La tela del ragno”, “Il covo di Stato”, “La sfinge delle brigate rosse” solo per citarne alcuni) ribatte agli antidietrologi e allo stesso Satta. In occasione dell’uscita del primo libro di Satta dal titolo “Odissea del caso Moro” (Edup, 2003) Flamigni scrive: “Si tratta di un libro a tesi, scandito da omissioni e da interpretazioni grottesche”. Satta - riferisce il Velino - non si è mai scomposto di fronte a queste critiche e, benché il caso Moro sia “chiuso”, ha pubblicato questa seconda opera attingendo anche dai documenti che sono stati esaminati dalla commissione Stragi. Ma in questo libro ha ribattuto all’ex parlamentare del Pci scrivendo: “Rassicuro Flamigni che la mia opera sul caso Moro è finalizzata a recare un contributo di conoscenze e non di dimostrare che ‘i dietrologi sono dei visionari’. Ad accreditare questa idea, in realtà, si adopera (involontariamente) più lui di me”. Di fronte a questo scambio di cortesie è curioso analizzare gli schieramenti in campo. La corrente di Satta può contare su sostenitori di grande prestigio: il quotidiano il Manifesto, Rossana Rossanda, Paolo Mieli, Giorgio Bocca, Pierluigi Battista, lo storico Aurelio Lepre solo per citare alcuni nomi. In occasione della pubblicazione del libro anticomplottista di Agostino Giovagnoli dal titolo “Il caso Moro. Una tragedia Repubblicana” (Il Mulino, 2003), lo storico Aurelio Lepre, dopo aver lodato l’autore, ammette: “Ma l’opinione pubblica sembra invece propensa a prestare fede ai complotti”. Certo credere all’anticomplottista Rossana Rossanda è difficile quando l’autorevole giornalista scrive che le Br “erano un pezzo di sinistra” (Liberazione, 23 marzo 2003). La Rossanda sarebbe stata probabilmente molto più credibile se non avesse preso per oro colato tutto quello che gli è stato raccontato da Mario Moretti nel libro pubblicato con Carla Mosca dal titolo “Mario Moretti una storia Italiana” (Anabasi, 1994). Lo stesso ha fatto la giornalista de il Manifesto Paola Tavella che ha pubblicato “Il prigioniero” (Mondadori, 1998) ascoltando la carceriera della prigione di Moro Anna Laura Braghetti. Tutti sono convinti della “purezza ideologica” delle Br. C’è sempre da restare perplessi quando ci si sforza di dimostrare che un capitolo della nostra storia è chiuso, che tutto o quasi è stato chiarito. Nel caso rapimento Moro gli interrogativi rimangono perché non si può mai porre fine alla storia e le fonti documentarie non vivono solo negli archivi parlamentari. Se così fosse le commissioni bicamerali d’inchiesta sarebbero la fonte di ogni verità. Ma così non è sempre stato nella storia parlamentare italiana. Negli ultimi anni, molti storici hanno fatto scoperte sensazionali su capitoli della storia italiana meno recente del caso Moro. Inoltre, tanti documenti sul caso Moro e sulla storia del terrorismo italiano restano ancora da pubblicare. La commissione Stragi ha chiuso i battenti nel 2001, ma resta ancora da capire per quale ragione la documentazione non sia ancora stata resa pubblica come è avvenuto puntualmente per le altre commissioni bicamerali e monocamerali d’inchiesta. Chi vuole vedere questi documenti non può consultarli nella biblioteca pubblica di Palazzo San Macuto, ma deve prendere appuntamento con l’ufficio stralci e visionare il materiale. In attesa che questo materiale venga pubblicato molti interrogativi restano giustamente aperti. Satta è convinto che Mario Moretti fosse un primus inter pares, mentre molti ritengono che il capo brigatista fosse un personaggio ambiguo e colui che più di tutti determinava le scelte delle Br. L’autore de “Il caso Moro e i suoi falsi misteri” sottolinea: “La coerenza rivoluzionaria di Mario Moretti emerge dai suoi comportamenti e anche dalle attestazioni dei suoi compagni di banda armata che non la mettono in discussione, salvo Franceschini che non è un testimone autorevole in quanto fu arrestato nel 1974”. Eppure fu Renato Curcio a sospettare questo e a raccontare la fortuna di Mario Moretti, fotografato dai carabinieri e sfuggito alla cattura nel gennaio del 1976 a Milano perché aveva lasciato il covo in cui si trovava il capo storico delle Br. Una delle sue tante “fortune”. In merito agli excursus fascisti di Moretti, Satta dice che le testimonianze sulla passione per la destra del futuro brigatista rosso sono legate alla testimonianza di un suo compagno dell’adolescenza, il quale afferma che uno zio del Moretti avesse indossato la camicia nera: “Secondo me non si fa nessuna strada con questo tipo di argomentazioni”. Eppure ne ‘La sfinge delle Brigate Rosse’ (Kaos edizioni, 2004), l’ingegner Ivan Cicconi racconta come Moretti negò la sua solidarietà agli studenti di sinistra che solidarizzavano con i socialisti dopo l’assassinio di Paolo Rossi a la Sapienza di Roma nel marzo del 1966. Inoltre, Satta sostiene che “non ci fu una particolare bravura” dei brigatisti del commando che rapì Moro nell’uccidere i cinque uomini della scorta senza scalfire Moro e che “bastava un minimo di dimestichezza con le armi”. Nel libro torna anche brevemente sui misteri dell’appartamento di via Gradoli, che fu un covo delle Br dal 1975: “Solo nel 1979 furono acquistati tre appartamenti a titolo personale, come investimento, da parte di Vincenzo Parisi, che fece parte del Sisde dopo il rapimento Moro”. Tuttavia, le ricerche di Flamigni hanno appurato che fin dal gennaio del 1978 l’immobiliare Gradoli spa era controllata dalla società Fidrev srl (95 per cento), società fiduciaria del Sisde fin dalla nascita del servizio nel gennaio del 1978 e che di fronte al covo abitava un sottofficiale del Sismi. I dubbi e i misteri dunque restano e non sono poi così “falsi”.

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