Da redazione del 08/04/2005
LA Sicilia Web
"La nuova mafia era contro Provenzano"
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PALERMO - Nel 1998 i boss mafiosi latitanti volevano mettere da parte Bernardo Provenzano e attraverso Giusy Vitale, adesso pentita, inviarono un messaggio al corleonese dicendogli che «doveva stare a casa a curarsi la sua famiglia». La presenza del vecchio «zio», ricercato da 42 anni, per i giovani capimafia liberi o latitanti, fra cui Matteo Messina Denaro, era diventata «ingombrante» e per questo motivo avrebbero preferito una sua uscita di scena. A rivelare questi particolari è stata la stessa Giusy Vitale, il primo boss in gonnella che da febbraio collabora con la giustizia.
I fratelli della donna, Vito e Leonardo Vitale, si erano lamentati con Riina del modo in cui Provenzano andava agli appuntamenti: vestito come se fosse un vescovo, indossando abiti talari e scorazzando per le strade di campagna del palermitano su un'auto blu guidata da un autista. Tutte queste eccentricità da parte di Provenzano non sarebbero state gradite dai Vitale, perchè come racconta la donna, avrebbero attirato l'attenzione degli investigatori con «il pericolo di farli arrestare tutti».
Il primo incontro in un casolare di campagna, in cui Leonardo e Vito Vitale vennero incaricati di gestire il mandamento mafioso di Partinico, avvenne nel 1992, prima delle stragi di Capaci e via d'Amelio. La collaboratrice afferma di avere appreso i retroscena di quella riunione dai fratelli, i quali rimasero molto stupiti del fatto che all'incontro con Provenzano era presente anche Riina, «il che costituiva un fatto eccezionale». Nel corso del summit furono discussi anche gli equilibri mafiosi all'interno di Cosa Nostra. Il tema era imposto dal fatto che stava avvenendo la sostituzione dei vecchi esponenti mafiosi della zona di Partinico, come Nenè Geraci e Fifetto Nania, con i fratelli Vitale. I «vecchi» erano spalleggiati da Provenzano, mentre Leonardo e Vito Vitale avrebbero avuto Riina e Bagarella come «sponsor».
Il boss in gonnella sottolinea ai pm della Dda di Palermo che Leonardo Vitale definì un «fatto rarissimo che ad un incontro fossero presenti contemporaneamente Riina e Provenzano». Giusy Vitale racconta della latitanza di Provenzano e degli incontri che il boss ha avuto con i suoi fratelli, anche loro latitanti in quel periodo. Lei aveva l'incarico di portare i bigliettini con i quali comunicavano; in alcune occasioni la donna avrebbe letto i messaggi che lo «zio» inviava al fratello. «Ricordo che tutti i biglietti - spiega Giusy Vitale - si chiudevano con particolari formule di saluto, a sfondo religioso, sulle quali qualche volta mio fratello ha ironizzato»
Giusy Vitale racconta ai magistrati di avere riferito ai gregari di Bernardo Provenzano il messaggio che i mafiosi detenuti le avevano dato con cui «invitavano» il corleonese a «starsene a casa». La pentita sottolinea che dopo circa un mese (era il 1998) venne arrestata e non seppe più nulla degli sviluppi di questa vicenda secondo cui i latitanti, fra cui Matteo Messina Denaro, non volevano più Provenzano quale capo di Cosa nostra.
Giusy Vitale sostiene che suo fratello Vito, durante la latitanza, gli parlò di un «distacco» tra l'ala vicina a Riina e Bagarella e quella di Provenzano. Vito Vitale le avrebbe riferito che da tempo si era creata una spaccatura per cui «i giovani boss», fra cui lo stesso boss di Partinico, Giovanni Brusca, Mimmo Raccuglia e Matteo Messina Denaro, volevano mettere da parte Provenzano ed assumere le decisioni strategiche per Cosa nostra senza chiedergli l'autorizzazione. La conferma di questa spaccatura nell'organizzazione, la boss in gonnella l'avrebbe avuta fra maggio e giugno 1998, quando suo fratello Leonardo Vitale dal carcere la incaricò di prendere contatti con una persona di Corleone, vicina a Provenzano, al quale doveva far sapere che «doveva stare a casa a curarsi la sua famiglia».
La cosca Vitale in quel periodo aveva esteso il proprio potere fino a Palermo, tanto da arrivare a nominare nuovi capi mandamento in città. Vito Vitale, sempre nel 1998, si lamentava del fatto che Provenzano stava estendendo i suoi tentacoli nella zona di Misilmeri, tramite il boss Benedetto Spera. Ma le polemiche non andarono oltre per via del fatto che il boss venne arrestato. La spaccatura fra i capimafia nel 1998 era molto evidente, ma i Vitale e i loro alleati non andarono fino in fondo, perchè la magistratura intervenne con diversi provvedimenti cautelari e finirono in carcere quasi tutti i loro uomini, compresi i componenti della famiglia di Partinico, fra cui la stessa Giusy Vitale. Provenzano, nonostante gli attacchi interni, rimane ancora latitante da 42 anni
I fratelli della donna, Vito e Leonardo Vitale, si erano lamentati con Riina del modo in cui Provenzano andava agli appuntamenti: vestito come se fosse un vescovo, indossando abiti talari e scorazzando per le strade di campagna del palermitano su un'auto blu guidata da un autista. Tutte queste eccentricità da parte di Provenzano non sarebbero state gradite dai Vitale, perchè come racconta la donna, avrebbero attirato l'attenzione degli investigatori con «il pericolo di farli arrestare tutti».
Il primo incontro in un casolare di campagna, in cui Leonardo e Vito Vitale vennero incaricati di gestire il mandamento mafioso di Partinico, avvenne nel 1992, prima delle stragi di Capaci e via d'Amelio. La collaboratrice afferma di avere appreso i retroscena di quella riunione dai fratelli, i quali rimasero molto stupiti del fatto che all'incontro con Provenzano era presente anche Riina, «il che costituiva un fatto eccezionale». Nel corso del summit furono discussi anche gli equilibri mafiosi all'interno di Cosa Nostra. Il tema era imposto dal fatto che stava avvenendo la sostituzione dei vecchi esponenti mafiosi della zona di Partinico, come Nenè Geraci e Fifetto Nania, con i fratelli Vitale. I «vecchi» erano spalleggiati da Provenzano, mentre Leonardo e Vito Vitale avrebbero avuto Riina e Bagarella come «sponsor».
Il boss in gonnella sottolinea ai pm della Dda di Palermo che Leonardo Vitale definì un «fatto rarissimo che ad un incontro fossero presenti contemporaneamente Riina e Provenzano». Giusy Vitale racconta della latitanza di Provenzano e degli incontri che il boss ha avuto con i suoi fratelli, anche loro latitanti in quel periodo. Lei aveva l'incarico di portare i bigliettini con i quali comunicavano; in alcune occasioni la donna avrebbe letto i messaggi che lo «zio» inviava al fratello. «Ricordo che tutti i biglietti - spiega Giusy Vitale - si chiudevano con particolari formule di saluto, a sfondo religioso, sulle quali qualche volta mio fratello ha ironizzato»
Giusy Vitale racconta ai magistrati di avere riferito ai gregari di Bernardo Provenzano il messaggio che i mafiosi detenuti le avevano dato con cui «invitavano» il corleonese a «starsene a casa». La pentita sottolinea che dopo circa un mese (era il 1998) venne arrestata e non seppe più nulla degli sviluppi di questa vicenda secondo cui i latitanti, fra cui Matteo Messina Denaro, non volevano più Provenzano quale capo di Cosa nostra.
Giusy Vitale sostiene che suo fratello Vito, durante la latitanza, gli parlò di un «distacco» tra l'ala vicina a Riina e Bagarella e quella di Provenzano. Vito Vitale le avrebbe riferito che da tempo si era creata una spaccatura per cui «i giovani boss», fra cui lo stesso boss di Partinico, Giovanni Brusca, Mimmo Raccuglia e Matteo Messina Denaro, volevano mettere da parte Provenzano ed assumere le decisioni strategiche per Cosa nostra senza chiedergli l'autorizzazione. La conferma di questa spaccatura nell'organizzazione, la boss in gonnella l'avrebbe avuta fra maggio e giugno 1998, quando suo fratello Leonardo Vitale dal carcere la incaricò di prendere contatti con una persona di Corleone, vicina a Provenzano, al quale doveva far sapere che «doveva stare a casa a curarsi la sua famiglia».
La cosca Vitale in quel periodo aveva esteso il proprio potere fino a Palermo, tanto da arrivare a nominare nuovi capi mandamento in città. Vito Vitale, sempre nel 1998, si lamentava del fatto che Provenzano stava estendendo i suoi tentacoli nella zona di Misilmeri, tramite il boss Benedetto Spera. Ma le polemiche non andarono oltre per via del fatto che il boss venne arrestato. La spaccatura fra i capimafia nel 1998 era molto evidente, ma i Vitale e i loro alleati non andarono fino in fondo, perchè la magistratura intervenne con diversi provvedimenti cautelari e finirono in carcere quasi tutti i loro uomini, compresi i componenti della famiglia di Partinico, fra cui la stessa Giusy Vitale. Provenzano, nonostante gli attacchi interni, rimane ancora latitante da 42 anni
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