Da Agi del 28/08/2006

MAFIA: GRASSI 15 ANNI DOPO, PALERMO RICORDA SUO "EROE NORMALE"

Libero Grassi quindici anni dopo.
L'imprenditore che rifiuto' di piegarsi ai suoi estortori, ucciso dalla mafia il 29 agosto del 1991, sara' ricordato oggi e domani a Palermo, con una serie di iniziative. Stasera, presso la pizzeria Impastato, sulla statale 113, contrada Vallecera, tra Cinisi e Villagrazia di Carini, e' in programma un dibattito durante il quale si confronteranno i protagonisti dell'economia antimafia, fondata sulla corretta gestione dei beni confiscati ai boss, a partire dalle cooperative di "Libera terra".
Dopo i saluti di Giovanni Impastato, fratello di Peppino, previsti gli interventi di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, Gianluca Faraone, presidente della cooperativa "Placido Rizzotto", e il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso.
Domani, invece, per il secondo anno il comitato Addiopizzo ricordera' il coraggioso imprenditore. L'evento si svolgera' nel capoluogo siciliano al "Kursaal Tonnara - Vergine Maria", in via Bordonaro 9, dalle 21. Aprira' la serata il dibattito "Dall'omicidio di Libero Grassi a oggi: mafia e antimafia, racket e antiracket" al quale interverranno don Luigi Ciotti, il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, e il presidente del centro di documentazione Impastato, Umberto Santino, moderati dal giornalista Gianni Manzo. Gli attori Renato Scarpa e Claudio Gioe' interpreteranno brani dedicati a Libero Grassi. In chiusura concerto degli Stormy Weather. La Confesercenti ha deciso di tappezzare la citta' di manifesti per invitare i commercianti a ribellarsi al racket: in alto la foto di Libero Grassi con alle spalle il mare e la scritta "Era solo"; sotto le immagini di Bernardo Provenzano e Toto' Riina, i due superboss ora in carcere, con la didascalia "Loro erano liberi". Poi l'invito: "29 agosto 2006. Non siamo piu' soli, liberiamoci dal racket".
"Nel '91 - dice il presidente regionale di Confesercenti, Giovanni Felice - la mafia era al massimo della forza e la societa' civile era vulnerabile, ma anche assente. Oggi i boss sono dietro le sbarre, la magistratura ha inflitto duri colpi alla cupola, ci sono le associazioni antiracket, i cittadini e gli organismi istituzionali che partecipano alla lotta contro la mafia. I ragazzi di Addiopizzo e la Camera di commercio con lo sportello legalita' rappresentano solo alcuni esempi". Per Felice "ora che il sistema e' cambiato, i commercianti possono e devono denunciare i loro aguzzini". Ma per il prefetto di Palermo, Giosue' Marino, "le associazione antiracket hanno lavorato per creare oggettive condizioni di cambiamento, e tuttavia tra gli operatori stenta ad essere recepito fino in fondo lo straordinario messaggio di Grassi. Imprenditori e commercianti continuano a soggiacere al ricatto della criminalita'. Eppure, questo e' un momento favorevole per la denuncia. La svolta vincente si chiama associazionismo e gli operatori che lottano insieme sono piu' forti".
Nel dicembre scorso era stata resa nota la sentenza della corte d'assise del processo Agate+45 che, con parole dure, metteva un punto fermo sull'omicidio di Libero Grassi. "La morte - si leggeva - non rende necessariamente tutti gli uomini uguali: Libero Grassi ha pagato con la vita il prezzo di un biglietto di sola andata da un inferno di vilta' - non suo ma di buona parte di un popolo siciliano, che da troppo tempo subisce il ricatto mafioso - al paradiso che si vuole arrida agli eroi. Ma vile rischia di apparire un popolo che deve celebrare come eroe, e solo dopo che e' stato ucciso, chi ha fatto il proprio dovere, da uomo libero, trovando nella dignita' del proprio lavoro la forza e la rabbia di ribellarsi alla prepotenza mafiosa".
Il collegio presieduto da Giuseppe Nobile l'11 luglio de 2004 inflisse 30 ergastoli, accogliendo quasi per intero l'impianto accusatorio del pm Gioacchino Natoli. Delle 2.156 pagine della sentenza, un centinaio riguardavano proprio Libero Grassi e sono state scritte dal giudice a latere Angelo Pellino. Parole durissime quelle della corte, perche' Grassi, secondo quanto emerge dalle testimonianze della moglie Pina Maisano e dai figli Davide e Alice, "non voleva affatto, ne' credeva di essere un eroe e non cercava affatto il martirio.
Egli riteneva tutto sommato il suo un comportamento doveroso da parte di qualsiasi cittadino".
Ma non mancarono gli attacchi: "Negli ambienti imprenditoriali i suoi appelli caddero nel vuoto e suscitarono reazioni di fastidio o distacco, specie in chi per il quieto vivere era uso pagar tacendo: ossia la quasi totalita' degli imprenditori e dei commercianti palermitani". E Cosa nostra, si leggeva in ancora, "si fa forte anzitutto degli ammiccamenti collusivi, della tacita acquiescenza e della codarda e omertosa soggezione dello stesso ceto produttivo. Gli appelli di Libero Grassi alla coscienza di ogni libero cittadino, ma in primo luogo alla dignita' del proprio lavoro, erano quanto piu' di eversivo e corrosivo si possa immaginare. Se quel seme avesse attecchito si sarebbe posto un grave problema e un concreto pericolo per tutta Cosa nostra", conclude il giudice.

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