Da redazione del 06/06/2005
Strettoindispensabile.it
Delitti e misteri: l’omicidio Burrafato, vittima della mafia, ventitrè anni dopo
PALERMO - Un delitto dimenticato: quello del vicebrigadiere degli agenti di custodia del carcere dei Cavallacci di Termini Imerese, Antonino Burrafato. Dopo ben venti anni dal suo assassinio la magistratura si è pronunciata su quel delitto, lo scorso giugno del 2002.
Il vicebrigadiere Antonino Burrafato fu eliminato dalla mafia.
Rimane un eroe senza volto: fuori dalla memoria…
Per essere annoverato e celebrato tra le vittime di mafia eccellenti per il Vicebrigadiere Antonino Burrafato non c’era stato spazio: forse neppure voglia, ne’ tantomeno interesse.
Di lui e della sua morte si erano a suo tempo occupati ben pochi: venti anni fa, il 29 giugno del 1982, il Vicebrigadiere degli agenti di custodia in servizio al carcere dei Cavallacci di Termini Imerese, fu freddato da un sicario con un colpo di pistola mentre si recava a lavoro.
Burrafato aveva 49 anni, un passato assolutamente cristallino ed una famiglia: che non si e’ data pace.
Non se ne e’ data al punto da riuscire a costituirsi parte civile nei confronti di alcuni boss di prima grandezza, nel corso dell’udienza preliminare del processo che si sarebbe celebrato contro boss del rango di Leoluca Bagarella, Salvatore Cucuzza, Giuseppe Lucchese ed Antonio Marchese.
Tutto cio’ accade nel 2001, quando uno dei collaboratori della giustizia tira il ballo il nome del vicebrigadiere dimenticato dicendo che era stata cosa nostra a decidere della sua morte: il nome del suo killer risponde a quello di Salvatore Cucuzza, che per l’omicidio del vicebrigadiere e’ stato condannato a tredici anni e quattro mesi di reclusione.
La morte di Burrafato si colloca in un momento storico di grande tensione sociale: e’ in atto una delle piu’ sanguinose guerre di mafia ed i morti si contano ormai a decine.
La mafia cerca nuovi assetti, i ruoli devono essere attribuiti e si combatte senza esclusione di colpi una guerra senza quartiere: ma i mafiosi preda di mire egemoniche non si ammazzavano soltanto tra di loro: miravano piu’ in alto.
Erano i giorni della Prefettura del Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa: di quei famosi ” cento giorni” scanditi con ossessiva precisione da almeno un morto ammazzato al giorno; fino all’omicidio ultimo, quello che chiudeva il cerchio e chiudeva i conti, arrvando al ” cento”; e cioe’ l’assassinio dello stesso prefetto Dalla Chiesa, crivellato di colpi insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro all’interno della piccola Autobianchi A112 di ritorno da una cena a Mondello: era la sera del 3 settembre del 1982.
Il Prefetto che aveva ricevuto pieni poteri era ormai fuori gioco: la mattanza era finita, e per la mafia sarebbe stato piu’ facile riorganizzarsi.
Quell’ulteriore omicidio getto’ una citta’ nel panico e nella costernazione: seguiva a pochi mesi un altro omicidio eccellente, quello del segretario nazionale del PCI Pio La Torre, eliminato il 30 di aprile dello stesso anno di fuoco.
Ma Burrafato non era ne’ prefetto ne’ uomo di partito: non era neanche un mafioso, che se lo fosse stato la sua morte avrebbe fatto notizia piu’ di quanta non ne fece invece la morte di un uomo onesto, di un lavoratore senza ombre nella vita.
Tutte le attenzioni, i riflettori e le capacita’ investigative erano rivolte altrove : per gli ” anonimi” servitori dello Stato neanche una commemorazione, ne’ una menzione.
Ma non doveva essere questa la sorte di Antonino Burrafato : e a far si che a quell’uomo venisse riconosciuto lo status di vittima della mafia ci ha pensato per anni ed anni il figlio Salvatore, confortato nel ricordo e nel dolore da mamma Domenica - vedova del vicebrigadiere - e dallo zio Giuseppe, fratello di papa’ Antonino.
Fino alla costituzione di parte civile al processo contro il sicario del congiunto.
Ma Salvatore Burrafato in questa sua legittima e disperata ricerca di giustizia non e’ stato da solo : Vincenzo Bonadonna - un cronista di giudiziaria di primo piano nel panorama palermitano nonche’ ultimo direttore del quotidiano L’Ora - non si e’ mai dato per vinto.
Ha fatto ricerche, ha ascoltato,sentito, indagato per come un giornalista puo’ indagare: facendo quante piu’ domande sia possibile. Bonadonna sull’argomento ha anche scritto un libro.
Ho intervistato Salvatore Burrafato, tre anni fa: vi ripropongo oggi quell’intervista così pregna di amarezza e di rimpianto. Vi dico anche che in tre anni non è cambiato niente: quell’uomo probo morto per servire il suo Stato, è fuori dalla memoria di tutti. Di lui non parla nessuno: nessuna stele, nessuna insegna. Un eroe destinato all’oblio che io qui voglio rievocare perchè lo ritengo non soltanto giusto, ma doveroso.
Alessandra Verzera
Di lui e della sua morte si erano a suo tempo occupati ben pochi: venti anni fa, il 29 giugno del 1982, il Vicebrigadiere degli agenti di custodia in servizio al carcere dei Cavallacci di Termini Imerese, fu freddato da un sicario con un colpo di pistola mentre si recava a lavoro.
Burrafato aveva 49 anni, un passato assolutamente cristallino ed una famiglia: che non si e’ data pace.
Non se ne e’ data al punto da riuscire a costituirsi parte civile nei confronti di alcuni boss di prima grandezza, nel corso dell’udienza preliminare del processo che si sarebbe celebrato contro boss del rango di Leoluca Bagarella, Salvatore Cucuzza, Giuseppe Lucchese ed Antonio Marchese.
Tutto cio’ accade nel 2001, quando uno dei collaboratori della giustizia tira il ballo il nome del vicebrigadiere dimenticato dicendo che era stata cosa nostra a decidere della sua morte: il nome del suo killer risponde a quello di Salvatore Cucuzza, che per l’omicidio del vicebrigadiere e’ stato condannato a tredici anni e quattro mesi di reclusione.
La morte di Burrafato si colloca in un momento storico di grande tensione sociale: e’ in atto una delle piu’ sanguinose guerre di mafia ed i morti si contano ormai a decine.
La mafia cerca nuovi assetti, i ruoli devono essere attribuiti e si combatte senza esclusione di colpi una guerra senza quartiere: ma i mafiosi preda di mire egemoniche non si ammazzavano soltanto tra di loro: miravano piu’ in alto.
Erano i giorni della Prefettura del Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa: di quei famosi ” cento giorni” scanditi con ossessiva precisione da almeno un morto ammazzato al giorno; fino all’omicidio ultimo, quello che chiudeva il cerchio e chiudeva i conti, arrvando al ” cento”; e cioe’ l’assassinio dello stesso prefetto Dalla Chiesa, crivellato di colpi insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro all’interno della piccola Autobianchi A112 di ritorno da una cena a Mondello: era la sera del 3 settembre del 1982.
Il Prefetto che aveva ricevuto pieni poteri era ormai fuori gioco: la mattanza era finita, e per la mafia sarebbe stato piu’ facile riorganizzarsi.
Quell’ulteriore omicidio getto’ una citta’ nel panico e nella costernazione: seguiva a pochi mesi un altro omicidio eccellente, quello del segretario nazionale del PCI Pio La Torre, eliminato il 30 di aprile dello stesso anno di fuoco.
Ma Burrafato non era ne’ prefetto ne’ uomo di partito: non era neanche un mafioso, che se lo fosse stato la sua morte avrebbe fatto notizia piu’ di quanta non ne fece invece la morte di un uomo onesto, di un lavoratore senza ombre nella vita.
Tutte le attenzioni, i riflettori e le capacita’ investigative erano rivolte altrove : per gli ” anonimi” servitori dello Stato neanche una commemorazione, ne’ una menzione.
Ma non doveva essere questa la sorte di Antonino Burrafato : e a far si che a quell’uomo venisse riconosciuto lo status di vittima della mafia ci ha pensato per anni ed anni il figlio Salvatore, confortato nel ricordo e nel dolore da mamma Domenica - vedova del vicebrigadiere - e dallo zio Giuseppe, fratello di papa’ Antonino.
Fino alla costituzione di parte civile al processo contro il sicario del congiunto.
Ma Salvatore Burrafato in questa sua legittima e disperata ricerca di giustizia non e’ stato da solo : Vincenzo Bonadonna - un cronista di giudiziaria di primo piano nel panorama palermitano nonche’ ultimo direttore del quotidiano L’Ora - non si e’ mai dato per vinto.
Ha fatto ricerche, ha ascoltato,sentito, indagato per come un giornalista puo’ indagare: facendo quante piu’ domande sia possibile. Bonadonna sull’argomento ha anche scritto un libro.
Ho intervistato Salvatore Burrafato, tre anni fa: vi ripropongo oggi quell’intervista così pregna di amarezza e di rimpianto. Vi dico anche che in tre anni non è cambiato niente: quell’uomo probo morto per servire il suo Stato, è fuori dalla memoria di tutti. Di lui non parla nessuno: nessuna stele, nessuna insegna. Un eroe destinato all’oblio che io qui voglio rievocare perchè lo ritengo non soltanto giusto, ma doveroso.
Alessandra Verzera
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