Da Reuters del 16/06/2005
Reuters Italia
Omicidio Biagi: giallo risolto con segugi hi tech, rivela libro
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Poteva essere un "delitto perfetto", commesso da insospettabili svaniti nel nulla.
Se l'omicidio Biagi, punito in primo grado con cinque ergastoli, non è più un mistero, il merito è di un lavoro investigativo di proporzioni impressionanti, di un colpo di fortuna e... di un software.
E' quanto rivela Maurizio Dianese, autore di "Codice 955 - l'inchiesta impossibile sull'omicidio Biagi" (Dossier Nuova Dimensione). Il libro, che viene presentato oggi a Milano (Libreria Rizzoli, Galleria Vittorio Emanuele alle 18), è uscito poco prima che la Corte di Assise di Bologna, lo scorso primo giugno, condannasse al carcere a vita cinque presunti brigatisti rossi, Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Beccaccini, ritenuti responsabili del mortale agguato a Marco Biagi, giuslavorista collaboratore del ministero del Lavoro, assassinato il 19 marzo 2002.
"MISSIONE IMPOSSIBILE" SVOLTA DA SPECIALISTI CON UN SOFTWARE
Anche se senza l'arresto di Nadia Desdemona Lioce, dopo la sparatoria ad Arezzo del 2 marzo 2003, in cui l'agente Emanuele Petri fu ucciso dal brigatista Mario Galesi, a sua volta deceduto, "l'indagine non sarebbe arrivata da nessuna parte", ammette Dianese, giornalista veneziano, già autore di "La strage" e "Petrolkiller" (Feltrinelli) dedicati a Piazza Fontana ed al processo sul Petrolchimico di Porto Marghera.
"Sino ad allora, gli inquirenti avevano individuato soltanto Paolo Broccatelli imputato nel processo per l'omicidio di Massimo D'Antona", spiega a Reuters Dianese, riferendosi al giuslavorista ucciso a Roma il 20 maggio 1999, altro delitto attribuito alle Br.
Proprio perché non avevano nulla in mano, dice il libro, gli investigatori avevano indagato ad ampio spettro, ricostruendo minuto per minuto gli ultimi giorni della vittima. E approntando strumenti tecnologici tali da diventare fondamentali per arrivare rapidamente ai responsabili, un anno dopo, quando arrivarono gli elementi raccolti con l'arresto della Lioce.
Il punto di partenza era sconfortante, ricorda Dianese: 100 milioni di telefonate e 52mila ore di video da controllare. Una sola certezza, la rivendicazione inviata via email a 533 indirizzi da un cellulare era attendibile: questo è il primo omicidio a firma digitale.
I DETECTIVE? "MOBILIERI", "DIGOSAURI" E "SMANETTATORI"
Una "missione impossibile", ricorda il giornalista, affidata ad un'inedita squadra mista: "Mobilieri", uomini della Squadra Mobile di mezz'Italia, abituati a indagare sulla strada, e "Digosauri" esperti della Digos capaci di scavar segreti studiando documenti alla scrivania.
Una cinquantina di segugi anolmali guidati da Vittorio Rizzi, capo della Mobile di Venezia. Tra loro, un gruppo di giovani "Smanettatori", patiti di informatica che nelle stanze spoglie della questura di Bologna predispongono "un computer bestiale, roba da far impallidire Bill Gates", dice Dianese.
Dagli zainetti di Lioce e Galesi, tra palmari, microcamera, floppy disc e appunti, un pezzetto di carta, biglietto di una società informatica di Roma: sarà la chiave del mistero. Documenti e dipendenti dell'azienda vengono inutilmente passati ai raggi X.
Poi la svolta. "A Luisa, poliziotta del gruppo Biagi, viene in mente di controllare una ad una anche le schede di entrata delle riparazioni", ricorda Dianese. Una ha un numero di matricola "quasi" identico a quello del palmare della Lioce, un "7" trascritto "T" aveva eluso i controlli informatici. Col nome fittizio, la Lioce ha lasciato un numero di telefono, finisce in "955".
Eccolo, il Codice. Che dopo un immane controllo incrociato fra dati non omogenei di 100.000 chiamate fatte da 40.000 schede, consente di arrivare a 609 telefonate effettuate da aprile 1999 a febbraio 2002: le schede Sim "955" e "958" erano utilizzate dalle Br.
L'inchiesta "tecnologica al 90%", in cui maghi del software che non hanno mai visto un brigatista hanno lavorato al buio su numeri, date e orari, inchioda degli insospettabili.
"Gente normale con stipendio e un posto di lavoro, che nei ritagli di tempo esce dall'ombra, spara, uccide e torna nell'ombra: nessuno è più pericoloso", dice Dianese. Che ricostruita l'indagine "impossibile", formula una sua conclusione. "Partiti dal buio totale, zero assoluto, con i migliori investigatori, tutti i mezzi richiesti: quando lo Stato vuole arrivare, arriva. Credo che anche a Palermo (nella lotta alla mafia) se si volesse... nessuno mi può convincere che non ci si possa riuscire".
di Roberto Bonzio
Se l'omicidio Biagi, punito in primo grado con cinque ergastoli, non è più un mistero, il merito è di un lavoro investigativo di proporzioni impressionanti, di un colpo di fortuna e... di un software.
E' quanto rivela Maurizio Dianese, autore di "Codice 955 - l'inchiesta impossibile sull'omicidio Biagi" (Dossier Nuova Dimensione). Il libro, che viene presentato oggi a Milano (Libreria Rizzoli, Galleria Vittorio Emanuele alle 18), è uscito poco prima che la Corte di Assise di Bologna, lo scorso primo giugno, condannasse al carcere a vita cinque presunti brigatisti rossi, Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Beccaccini, ritenuti responsabili del mortale agguato a Marco Biagi, giuslavorista collaboratore del ministero del Lavoro, assassinato il 19 marzo 2002.
"MISSIONE IMPOSSIBILE" SVOLTA DA SPECIALISTI CON UN SOFTWARE
Anche se senza l'arresto di Nadia Desdemona Lioce, dopo la sparatoria ad Arezzo del 2 marzo 2003, in cui l'agente Emanuele Petri fu ucciso dal brigatista Mario Galesi, a sua volta deceduto, "l'indagine non sarebbe arrivata da nessuna parte", ammette Dianese, giornalista veneziano, già autore di "La strage" e "Petrolkiller" (Feltrinelli) dedicati a Piazza Fontana ed al processo sul Petrolchimico di Porto Marghera.
"Sino ad allora, gli inquirenti avevano individuato soltanto Paolo Broccatelli imputato nel processo per l'omicidio di Massimo D'Antona", spiega a Reuters Dianese, riferendosi al giuslavorista ucciso a Roma il 20 maggio 1999, altro delitto attribuito alle Br.
Proprio perché non avevano nulla in mano, dice il libro, gli investigatori avevano indagato ad ampio spettro, ricostruendo minuto per minuto gli ultimi giorni della vittima. E approntando strumenti tecnologici tali da diventare fondamentali per arrivare rapidamente ai responsabili, un anno dopo, quando arrivarono gli elementi raccolti con l'arresto della Lioce.
Il punto di partenza era sconfortante, ricorda Dianese: 100 milioni di telefonate e 52mila ore di video da controllare. Una sola certezza, la rivendicazione inviata via email a 533 indirizzi da un cellulare era attendibile: questo è il primo omicidio a firma digitale.
I DETECTIVE? "MOBILIERI", "DIGOSAURI" E "SMANETTATORI"
Una "missione impossibile", ricorda il giornalista, affidata ad un'inedita squadra mista: "Mobilieri", uomini della Squadra Mobile di mezz'Italia, abituati a indagare sulla strada, e "Digosauri" esperti della Digos capaci di scavar segreti studiando documenti alla scrivania.
Una cinquantina di segugi anolmali guidati da Vittorio Rizzi, capo della Mobile di Venezia. Tra loro, un gruppo di giovani "Smanettatori", patiti di informatica che nelle stanze spoglie della questura di Bologna predispongono "un computer bestiale, roba da far impallidire Bill Gates", dice Dianese.
Dagli zainetti di Lioce e Galesi, tra palmari, microcamera, floppy disc e appunti, un pezzetto di carta, biglietto di una società informatica di Roma: sarà la chiave del mistero. Documenti e dipendenti dell'azienda vengono inutilmente passati ai raggi X.
Poi la svolta. "A Luisa, poliziotta del gruppo Biagi, viene in mente di controllare una ad una anche le schede di entrata delle riparazioni", ricorda Dianese. Una ha un numero di matricola "quasi" identico a quello del palmare della Lioce, un "7" trascritto "T" aveva eluso i controlli informatici. Col nome fittizio, la Lioce ha lasciato un numero di telefono, finisce in "955".
Eccolo, il Codice. Che dopo un immane controllo incrociato fra dati non omogenei di 100.000 chiamate fatte da 40.000 schede, consente di arrivare a 609 telefonate effettuate da aprile 1999 a febbraio 2002: le schede Sim "955" e "958" erano utilizzate dalle Br.
L'inchiesta "tecnologica al 90%", in cui maghi del software che non hanno mai visto un brigatista hanno lavorato al buio su numeri, date e orari, inchioda degli insospettabili.
"Gente normale con stipendio e un posto di lavoro, che nei ritagli di tempo esce dall'ombra, spara, uccide e torna nell'ombra: nessuno è più pericoloso", dice Dianese. Che ricostruita l'indagine "impossibile", formula una sua conclusione. "Partiti dal buio totale, zero assoluto, con i migliori investigatori, tutti i mezzi richiesti: quando lo Stato vuole arrivare, arriva. Credo che anche a Palermo (nella lotta alla mafia) se si volesse... nessuno mi può convincere che non ci si possa riuscire".
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