Da IGN del 13/07/2005
Mafia, giudici: ''Dell'Utri tramite tra boss e Berlusconi''
Depositata oggi la sentenza di 1.800 pagine del Tribunale di Palermo
''Non solo ha oggettivamente consentito a Cosa Nostra di percepire un vantaggio, ma questo risultato si è potuto raggiungere grazie e solo grazie a lui''
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La condotta del senatore Marcello Dell'Utri è stata quella ''di tramite tra gli interessi della mafia e quelli di Berlusconi''. Non solo. Il premier avrebbe rappresentato per il politico una ''sirena al cui richiamo non aveva saputo resistere rinunciando ad un sicuro posto in banca ed allontanandosi definitivamente dalla natia Palermo''. Ecco alcuni passi della sentenza fiume, lunga quasi 1.800 pagine, depositata oggi dai giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Palermo, a distanza di sette mesi dalla condanna a nove anni di reclusione del politico accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Sgadari e Gabriella Di Marco, sostengono che Dell'Utri ''rappresentava presso i mafiosi gli interessi del gruppo, per conto di Silvio Berlusconi''. Il senatore di Forza Italia era, insomma, per i togati, ''un manager dotato di altissima autonomia e di capacità decisionali, non un qualunque sottoposto al quale non restava altro che eseguire le decisioni del proprietario dell'azienda, in ipotesi impostegli''. ''E' significativo che Dell'Utri - scrivono i giudici - anziché astenersi dal trattare con la mafia (come la sua autonomia decisionale dal proprietario ed il suo livello culturale avrebbero potuto consentirgli, sempre nell'indimostrata ipotesi che fosse stato lo stesso Berlusconi a chiederglielo), ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguenze, di mediare tra gli interessi di Cosa nostra e gli interessi imprenditoriali di Berlusconi (un industriale, come si è visto, disposto a pagare pur di stare tranquillo)''. Dunque, Marcello Dell'Utri, secondo i giudici palermitani che lo hanno condannato a nove anni di carcere, ha ''non solo oggettivamente consentito a Cosa nostra di percepire un vantaggio, ma questo risultato si è potuto raggiungere grazie e solo grazie a lui''.
Parlando poi delle holding della Fininvest, che secondo il racconto di alcuni pentiti di mafia sarebbero servite per ''riciclare denaro sporco'', per i giudici ''non è stato possibile, da parte di entrambi i consulenti, risalire, in termini di assoluta certezza e chiarezza, all'origine, qualunque essa fosse, lecita od illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holdings del gruppo Fininvest''. E, ancora, ricordando la decisione del Presidente del Consiglio di avvalersi della facoltà di non rispondere, nell'udienza che si doveva tenere proprio a Palazzo Chigi, i giudici scrivono: ''L'onorevole Berlusconi ha esercitato legittimamente un diritto riconosciuto dal codice di rito ma, ad avviso del Tribunale, si è lasciato sfuggire l'imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone e con ben altra autorevolezza e capacità di convincimento, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio''.
I giudici della seconda sezione penale dedicano poi ampio spazio alla figura di Vittorio Mangano, lo 'stalliere' di Arcore che era stato assunto da Berlusconi proprio grazie a Marcello Dell'Utri. Mangano sarebbe servito al futuro premier come ''garanzia''. ''E' stato lo stesso Dell'Utri - scrivono - a ricordare in dibattimento che era il Mangano, e non altri, ad accompagnare a scuola i figli di Silvio Berlusconi, ad implicita conferma del ruolo di ''garanzia'' e ''protezione'' costantemente svolto dal predetto e non già da guardie private''. E ricordano una dichiarazione dell'imputato: ''...Era un uomo di fiducia assoluta, tant'è che Berlusconi faceva accompagnare i bambini a scuola solo da lui, neanche dal suo autista, accompagnava qualche volta addirittura la moglie in città, a Milano, quindi una persona che fu rispettata''.
Parlando poi delle holding della Fininvest, che secondo il racconto di alcuni pentiti di mafia sarebbero servite per ''riciclare denaro sporco'', per i giudici ''non è stato possibile, da parte di entrambi i consulenti, risalire, in termini di assoluta certezza e chiarezza, all'origine, qualunque essa fosse, lecita od illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holdings del gruppo Fininvest''. E, ancora, ricordando la decisione del Presidente del Consiglio di avvalersi della facoltà di non rispondere, nell'udienza che si doveva tenere proprio a Palazzo Chigi, i giudici scrivono: ''L'onorevole Berlusconi ha esercitato legittimamente un diritto riconosciuto dal codice di rito ma, ad avviso del Tribunale, si è lasciato sfuggire l'imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone e con ben altra autorevolezza e capacità di convincimento, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio''.
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