Da Ansa del 23/10/2005
TERRORISMO: LA PENTITA BANELLI, UN GIORNO LE BR POTREBBERO TORNARE
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''Non ho mai pensato di fare la rivoluzione, ma di riproporre il patrimonio politico-teorico delle Br, la strategia della lotta armata a prescindere da una lotta di classe diffusa. Penso che un giorno le Br potrebbero tornare. Non oggi ne' domani, ma un giorno... E' possibile''. Lo afferma in un lungo colloquio con il ''Corriere della Sera'' Cinzia Banelli, ex Br pentita, condannata a 20 anni per il delitto D'Antona e a 16 per il delitto Biagi.
Ora vive ai domiciliari con la sua famiglia e per la prima volta racconta la storia delle nuove Brigate Rosse fuori da un'aula di giustizia
A cominciare da quando, all'universita' di Siena, il 20 ottobre 2003, quattro giorni prima dell'arresto, con in tasca un diploma da tecnico di laboratorio da convertire in laurea di primo livello, Banelli sostenne l'esame scritto in Diritto del lavoro, preparato sui libri del professor Marco Biagi, e rispose a una delle domande sul contenuto della cosiddetta 'legge Biagi' sul lavoro subordinato, la collaborazione coordinata continuativa. ''Sono una traditrice per i miei ex compagni, un'opportunista per l'opinione pubblica e non so che cosa per lo Stato ?dice nell'intervista realizzata tramite il suo avvocato parlando della sua decisione di collaborare con la giustizia? ma rifarei ugualmente questa scelta''.
La vita di Cinzia Banelli e' cambiata una mattina di maggio del 1999, quando prese un treno per Roma e partecipo' all'assassinio di Massimo D'Antona, la prima vittima delle nuove Br.
''Durante il viaggio d'andata pensavo solo a cio' che avrei dovuto fare nell'azione ? racconta l'ex brigatista ? ripetevo le frasi da dire via radio, come dovevo muovermi. C'era una preparazione meticolosa emilitare, senza il tempo per altri pensieri. Ero convinta di andare a compiere un'operazione politica, non un omicidio''.
Massimo D'Antona, consulente del ministro del Lavoro Antonio Bassolino, il 20 maggio 99 mori' ammazzato da sei colpi di pistola.
''Dopo il delitto mi sono allontanata secondo il programma prestabilito -spiega la Banelli- Sul treno del ritorno a casa il peso e la responsabilita' di cio' che avevamo appena fatto si fecero sentire. Io avevo votato per l'eliminazione dell'obiettivo, pur senza aver sparato avevo portato il mio compagno Mario Galesi a farlo. Ebbi la sensazione di aver provocato qualcosa che cambiava non solo la vita di altre persone, ma pure la mia. Per sempre''.
L'ex Br racconta del suo avvicinamento alla politica, alla fine degli anni Ottanta, quando giunse a Pisa da Grosseto: ''Avevo gia' 26 anni e cominciai a frequentare ambienti e discorsi di un certo tipo.
Tutto ancora nell'ambito della legalita', con toni estremisti ma mai violenti. Io non sono mai stata attratta dalla violenza diffusa ne' la violenza diffusa c'entra con la lotta armata''. In quegli ambienti cominciarono a circolare gli scritti dei ''prigionieri politici'' delle Br, gli irriducibili chiusi in carcere. ''Dalla lettura di quei testi s'avvio' un dibattito che poi e' proseguito in ambito piu' ristretto''. Da li' nacquero i Nuclei comunisti combattenti, poi divenuti Brigate rosse con l'omicidio D'Antona.
''Abbiamo ripreso il discorso la' dove s'era interrotto, nel 1988 con l'omicidio Ruffilli, quando gia' quel contesto non c'era piu' ?spiega la Banelli ?. Conta la strategia, che si fa testimonianza: la volonta' di tenere accesa una fiaccola, di dire che c'e' ancora spazio per un'opposizione combattente anche se non arrivera' alla vittoria. Io non ho mai pensato di fare la rivoluzione, ma di riproporre il patrimonio politico-teorico delle Br, la strategia della lotta armata a prescindere di una lotta di classe diffusa''.
Tre anni dopo D'Antona tocco' a Marco Biagi, consulente del ministro del lavoro Maroni. La preparazione del delitto Biagi, ''deciso in un'ultima riunione tenutasi in un American bar di viale dei Mille a Firenze, con i tavolini all'interno'', coinvolse direttamente la Banelli che faceva parte del commando e come sempre aveva il problema di non far sorgere sospetti nei suoi familiari:
''Era la festa del papa' e in quell'occasione telefonavo sempre a mio padre. Lo feci anche quel giorno, da Porretta Terme, altrimenti si sarebbe chiesto come mai non gli avevo fatto gli auguri. Poi pensai che stavo uccidendo un padre... Ti senti un verme, ma l'idea che lo fai per un fine che consideri piu' alto ti porta a superare anche questo... Purtroppo e' cosi'. Solo al di fuori del progetto brigatista la vita umana riacquista il suo valore''.
Ora vive ai domiciliari con la sua famiglia e per la prima volta racconta la storia delle nuove Brigate Rosse fuori da un'aula di giustizia
A cominciare da quando, all'universita' di Siena, il 20 ottobre 2003, quattro giorni prima dell'arresto, con in tasca un diploma da tecnico di laboratorio da convertire in laurea di primo livello, Banelli sostenne l'esame scritto in Diritto del lavoro, preparato sui libri del professor Marco Biagi, e rispose a una delle domande sul contenuto della cosiddetta 'legge Biagi' sul lavoro subordinato, la collaborazione coordinata continuativa. ''Sono una traditrice per i miei ex compagni, un'opportunista per l'opinione pubblica e non so che cosa per lo Stato ?dice nell'intervista realizzata tramite il suo avvocato parlando della sua decisione di collaborare con la giustizia? ma rifarei ugualmente questa scelta''.
La vita di Cinzia Banelli e' cambiata una mattina di maggio del 1999, quando prese un treno per Roma e partecipo' all'assassinio di Massimo D'Antona, la prima vittima delle nuove Br.
''Durante il viaggio d'andata pensavo solo a cio' che avrei dovuto fare nell'azione ? racconta l'ex brigatista ? ripetevo le frasi da dire via radio, come dovevo muovermi. C'era una preparazione meticolosa emilitare, senza il tempo per altri pensieri. Ero convinta di andare a compiere un'operazione politica, non un omicidio''.
Massimo D'Antona, consulente del ministro del Lavoro Antonio Bassolino, il 20 maggio 99 mori' ammazzato da sei colpi di pistola.
''Dopo il delitto mi sono allontanata secondo il programma prestabilito -spiega la Banelli- Sul treno del ritorno a casa il peso e la responsabilita' di cio' che avevamo appena fatto si fecero sentire. Io avevo votato per l'eliminazione dell'obiettivo, pur senza aver sparato avevo portato il mio compagno Mario Galesi a farlo. Ebbi la sensazione di aver provocato qualcosa che cambiava non solo la vita di altre persone, ma pure la mia. Per sempre''.
L'ex Br racconta del suo avvicinamento alla politica, alla fine degli anni Ottanta, quando giunse a Pisa da Grosseto: ''Avevo gia' 26 anni e cominciai a frequentare ambienti e discorsi di un certo tipo.
Tutto ancora nell'ambito della legalita', con toni estremisti ma mai violenti. Io non sono mai stata attratta dalla violenza diffusa ne' la violenza diffusa c'entra con la lotta armata''. In quegli ambienti cominciarono a circolare gli scritti dei ''prigionieri politici'' delle Br, gli irriducibili chiusi in carcere. ''Dalla lettura di quei testi s'avvio' un dibattito che poi e' proseguito in ambito piu' ristretto''. Da li' nacquero i Nuclei comunisti combattenti, poi divenuti Brigate rosse con l'omicidio D'Antona.
''Abbiamo ripreso il discorso la' dove s'era interrotto, nel 1988 con l'omicidio Ruffilli, quando gia' quel contesto non c'era piu' ?spiega la Banelli ?. Conta la strategia, che si fa testimonianza: la volonta' di tenere accesa una fiaccola, di dire che c'e' ancora spazio per un'opposizione combattente anche se non arrivera' alla vittoria. Io non ho mai pensato di fare la rivoluzione, ma di riproporre il patrimonio politico-teorico delle Br, la strategia della lotta armata a prescindere di una lotta di classe diffusa''.
Tre anni dopo D'Antona tocco' a Marco Biagi, consulente del ministro del lavoro Maroni. La preparazione del delitto Biagi, ''deciso in un'ultima riunione tenutasi in un American bar di viale dei Mille a Firenze, con i tavolini all'interno'', coinvolse direttamente la Banelli che faceva parte del commando e come sempre aveva il problema di non far sorgere sospetti nei suoi familiari:
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