Da La Repubblica del 01/11/2005

"Non penso che perdonerei Sofri"

Nel libro di Vespa parla Luigi Calabresi jr che non ha mai conosciuto il padre ucciso nel ‘72

ROMA - «Non penso che riuscirò mai a perdonare». Lo dice Luigi Calabresi junior, il figlio del commissario assassinato nel 1972, nell´ultimo libro di Bruno Vespa.
Luigi Calabresi jr., 33 anni, sposato e padre di una bimba di due anni, non ha mai conosciuto il padre: la madre era incinta di lui all´epoca dell´omicidio. «Lo ammetto - dice - ho più rabbia dei miei fratelli. Sono nato dopo che mio padre era stato ammazzato e non l´ho mai visto. Porto il suo nome, ma non ho mai avuto una carezza e forse questo mi ha lasciato un segno diverso».
«Il perdono è un sentimento privato e individuale - spiega - che matura nel tempo, ma io non sono riuscito a elaborarlo. Non lo ritengo possibile per me. Non penso che riuscirò mai a perdonare. Non solo perché è stato assassinato mio padre, e la mia vita è stata ancora prima di cominciare segnata. Ma anche perché non mi è mai piaciuto l´atteggiamento che Adriano Sofri ha avuto nei nostri confronti al processo. Per come lo ricordo io, era un atteggiamento sfrontato e provocatorio. Ho sofferto moltissimo in quegli anni, in quelle aule di tribunale. E non perdono a lui, come a Bompressi e Pietrostefani, di aver eluso le loro responsabilità». Luigi Calabresi jr, aggiunge che ciò che ricorda con gratitudine di questi anni «è stata la scelta del presidente della Repubblica di conferire la medaglia d oro alla memoria di papà».
«La nascita di mia figlia e l´aver fatto famiglia mi ha aiutato a pensare di più alla mia vita, a quella da costruire, al futuro, e meno a quello che ci è successo - aggiunge - . Mi ha in parte rasserenato, liberandomi da un dolore che spesso mi soffocava. Guardare mia figlia Chiara mi aiuta ad avere speranza e mi dà forza». E conclude: «La solidarietà che ho avvertito e che avverto intorno a noi mi aiuta, ma nel fondo del mio cuore, purtroppo, rimane una rabbia profonda per quel padre che non ho mai conosciuto e per il dolore che ho provato. E non credo che riuscirò a cancellarla».

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