Da redazione del 06/02/2005

Comunità di Sant'Egidio

Come i bambini di Scampia danno una lezione ai boss

Nel quartiere dove l'arresto di un camorrista provoca la rivolta, la Comunità di Sant'Egidio punta sui più piccoli. Spingendoli a occuparsi degli altri Come nella Scuola della pace, dove i ragazzini fanno da maestri ai coetanei rom
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Storia del crimine organizzato in Italia2. Camorra
I killer di camorra che lì « oggi sparano sono i muschilli, gli spacciatori bambini di dieci anni fa: la città paga la sua indifferenza». Sono parole dure quelle che pronunzia Giuseppe Brancaccio, della Comunità di Sant'Egidio. Le scandisce senza enfasi in mezzo ai bambini, agli anziani, ai barboni ed ai rom che al piano terra della Torre T2 in via Bakù, nel deserto metropolitano di Scampia, mangiano tacchino e lasagne, durante un pranzo di solidarietà. A poca distanza due giovani vendono eroina. Tutto intorno il vuoto degli stradoni, campo di battaglia della faida tra il clan di Paolo Di Lauro - Ciruzzo ‘o milionario’ - e gli affiliati che gli hanno voltato le spalle - gli scissionisti - cinquanta morti in pochi mesi. Qui l'arresto di Cosimo Di Lauro, il rampollo del boss ha provocato un paio di settimane fa una rivolta popolare contro la polizia: donne in strada contro gli agenti e cassonetti rovesciati. Mondi lontani dal sogno della solidarietà che la Comunità di Sant'Egidio realizza a Secondigliano dal 1978.

“Qui abbiamo iniziato promuovendo la scuola popolare” racconta Brancaccio. “Adesso si chiama Scuola della pace, lo spirito non è cambiato. Nasce dalla consapevolezza che la miscela tra sradicamento sociale e culturale, modello di benessere consumistico e deficienze del sistema educativo producono nei bambini problemi seri. Insegniamo ai piccoli a stare insieme, a relazionarsi, a prendersi cura degli altri». Bambini e adolescenti di Scampia diventano perciò i maestri dei coetanei rom del vicino campo nomadi, disegnano, giocano, visitano gli anziani ai quali non bada nessuno.

«Attraverso il rapporto con gli altri si liberano dall'identità negativa e dallo stigma della devianza affibbiati loro dagli adulti», prosegue Brancaccio. «Proviamo a trasmettere ai bambini del quartiere valori: per noi significa criticare il modello consumistico, quello di chi uccide per un giubbotto firmato, ma anche di chi vive per accumulare soldi, come se esistesse solo lui a questo mondo».

Accanto al momenti di studio, di impegno, nella Comunità ci sono però quelli di svago, di festa. Come questo pranzo solidale: uno dei volontari suona la chitarra e Valentina, 12 anni, racconta: «Vengo qui da quando ero piccola. Le ragazze e i ragazzi della comunità mi aiutavano per i compiti, mi facevano giocare, mi insegnavano a disegnare. Ogni mercoledì, ora, sono io che faccio scuola di italiano a uno zingarello». Stefania, una bambina con i capelli biondi e lunghi, parla con orgoglio di Antonietta, un'anziana signora che vive in una casa di riposo a Villaricca, nell'hinterland, e chiede sempre di lei. Luigi, 16 anni, organizza una tombolata e ricorda: «La prima volta che ho messo piede alla scuola popolare ero un bambino, frequentavo le elementari».

La festa prosegue: i ragazzi «difficili» di dieci anni fa, quelli che hanno avuto un' opportunità ad altri negata, servono il dolce ai tavoli: Vincenzo Farinaro, 32 anni, che è operaio in una fabbrica di suole e ha due bambine, e Antonio Zovasco, che fa cornici.

Non tutte le storie però sono a lieto fine. «Ricordo come fosse oggi Gigi, un bambino di Poggioreale che seguivamo da vicino», racconta Antonio Mattone, uno dei volontari. «Veniva quasi ogni giorno, bussava alla porta, si informava sulle attività. È stato ucciso durante una sparatoria».

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