Da La Repubblica del 20/02/2006

Prosciolti il direttore del Sisde e il colonnello Di Caprio i due uomini chiave nella cattura del boss nel 1993

Covo Riina, assolti Mori e 'Ultimo'. "Non favorirono Cosa Nostra"

Già i pm si erano pronunciati a favore della loro innocenza

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Storia del crimine organizzato in Italia1. Mafia
PALERMO - Il Tribunale di Palermo, presieduto da Raimondo Lo Forti, ha assolto il direttore del Sisde, prefetto Mario Mori, e il colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il capitano 'Ultimo', imputati di favoreggiamento aggravato (in favore di Cosa Nostra) per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, subito dopo l'arresto del boss il 15 gennaio del 1993.

La sentenza, ampiamente attesa, è stata pronunciata dopo poco meno di due ore e mezzo di camera di consiglio. Né Mori (all'epoca della cattura di Riina era a capo del Ros) né di Caprio (il carabiniere che eseguì il blitz che portò all'arresto) erano presenti in aula. Ma l'ex "Ultimo" esprime la sua soddisfazione, parlando a telefono col suo legale: "Va bene così - dice - è una sentenza favorevole che mi restituisce la felicità turbata".

I giudici si erano ritirati per decidere pochi minuti prima delle 13, a conclusione delle arringhe dei difensori, gli avvocati Piero Milio per Mori, e Francesco Romito per De Caprio. I legali avevano chiesto "una sentenza definitiva, chiara, che fughi le ombre che non ci sono" e che "attesti che questi uomini egregi sono immuni da sospetti".

Lunedì scorso anche i pm Antonio Ingroia e Michele Prestipino avevano chiesto l'assoluzione perché il fatto non sussiste dall'accusa più grave: quella di favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra. E la prescrizione per le restanti imputazioni.

I due imputati erano stati rinviati a giudizio
dal gup di Palermo Marco Mazzeo un anno fa, il 18 febbraio del 2005. In quella occasione, il giudice per l'udienza preliminare non aveva accolto la richiesta dei pm, che già all'epoca avevano chiesto il proscioglimento "perché il fatto non costituisce reato".

Secondo i pubblici ministeri mancava, infatti, l'elemento psicologico del reato. In pratica, a loro giudizio, l'allora capo del Ros e il capitano 'Ultimo', nel non perquisire il covo non pensavano affatto di favorire Cosa nostra. Sarebbe stato - era questa la tesi della Procura - più che altro un errore. In subordine, i pm avevano chiesto che fosse dichiarata la prescrizione, perché si sarebbe trattato di un favoreggiamento semplice e non aggravato dalla finalità di agevolare la mafia.

La lussuosa villa di via Bernini, a Palermo - in cui dove Riina abitava in clandestinità con la famiglia - fu perquisita dai carabinieri solo molti giorni dopo l'arresto del capomafia corleonese: nel frattempo era stata svuotata e ripulita dai mafiosi, che avevano anche smontato la cassaforte e imbiancato le pareti per cancellare ogni traccia.

Nei concitati momenti seguiti alla cattura del boss, era stato deciso di non procedere alla perquisizione mentre i carabinieri avrebbero assicurato "servizi di osservazione" dell'immobile per raccogliere così elementi utili a ulteriori indagini sulla latitanza di Riina. Ma questi servizi di fatto vennero presto sospesi e alla Procura ne venne data comunicazione solo diversi giorni più tardi. Da qui i sospetti e il processo. Fino all'assoluzione di oggi.

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