Da Corriere della Sera del 12/03/2006
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/03_Marzo/12/mafia.shtml
Il 21 marzo l'iniziativa in ricordo delle vittime: dalla prima, un ex sindaco assassinato nel 1893, alle stragi degli Anni '90
Morti di mafia, 656 nomi per ricordare
Giornata della memoria. «Vorrei incontrare il giudice Palermo, la mamma e i miei fratellini uccisi per lui»
«Quand'ero piccola dicevo sempre "è stata colpa sua". Ero una bambina, che potevo saperne di mafia e attentati? Sapevo solo che i miei fratellini e la mia mamma erano morti e la bomba che li aveva uccisi era per quel signore, non per loro». Margherita Asta oggi ha la stessa età che aveva sua madre quando è stata dilaniata dall'esplosione, 31 anni, e ha visto «quel signore» una volta sola, tanti anni fa. Ricorda due parole di saluto, niente di più. «Io credo che il giudice Palermo eviti di incontrarmi perché nei miei confronti ha un grande senso di colpa. Mi dispiace. Io invece l'ho cercato e non mi arrendo, vorrei tanto fare una chiacchierata con lui».
Forse stavolta l'ormai ex giudice Carlo Palermo si convincerà. Margherita ci spera. Vorrebbe tanto vederlo arrivare, assieme alla primavera, il 21 marzo a Torino, città scelta quest'anno per l'«undicesima Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie». Lei ci sarà, accanto ai parenti delle vittime, al procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso; a Rino Monaco, commissario straordinario antiracket e antiusura; a Giancarlo Caselli, procuratore generale di Torino e, certo non ultimo, accanto a don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera, l'associazione di movimenti antimafia che per l'undicesima volta ha organizzato la sua «primavera dell'impegno », per aiutare i ricordi a germogliare e a diventare forza contro ogni sopraffazione.
I bambini, speranza del futuro che verrà, leggeranno l'elenco delle vittime della violenza mafiosa. Un rosario di 656 nomi e cognomi amplificati al megafono. A ciascuno corrisponde una storia, una data, una vita spezzata.
Quei nomi risuoneranno lungo le vie di un corteo che da Piazza Vittorio Veneto arriverà a Piazza San Carlo. E fluttueranno nell'aria, scritti ciascuno su una bandiera di Libera, tutti lì a ricordare anche le altre vittime, quelle «di cui non siamo ancora riusciti a trovare informazioni sufficienti» si scusano gli organizzatori.
«C'è il rischio di dimenticare il sacrificio di tutta questa gente — riflette Don Ciotti — e la nostra scommessa, ormai da 11 anni, è proprio questa: mantenere in vita la memoria degli innocenti che sono caduti per mano delle mafie. Dobbiamo alimentare la cultura del fare, bisogna che tutti facciano di più, che la giustizia sociale trionfi. Perché chiunque può diventare la prossima Barbara Asta».
Barbara era la madre di Margherita. La mattina del 2 aprile '85 stava accompagnando a scuola i suoi gemellini, Giuseppe e Salvatore, sei anni appena compiuti. Il destino ha voluto che la sua auto, a Pizzo Lungo, incrociasse nel momento sbagliato quella dell'allora pubblico ministero Carlo Palermo, da poco approdato al Palazzo di giustizia di Trapani, dopo anni da giudice istruttore a Trento. La mafia aveva piazzato una bomba per sbarazzarsi di «quel signore», come poi lo chiamò a lungo Margherita.
E la macchina della donna fece da scudo nell'esplosione. Per Barbara e i due bambini non ci fu scampo. Margherita invece si salvò perché quella mattina decise di andare a scuola con una compagna, invece che con la mamma, come faceva sempre. «Solo un paio d'anni fa ho avuto il coraggio di guardare le fotografie della strage, di leggere gli atti giudiziari. In un passaggio si diceva che il busto di uno dei miei fratellini era diventato tutt'uno con il sedile...».
Dopo 21 anni, Margherita è una coordinatrice di Libera. Si è data molto da fare per questa edizione della «Giornata della memoria e dell'impegno».
Soprattutto ha cercato di mettere assieme quanti più familiari delle vittime ha potuto. Si ritroveranno in 150, forse più, il pomeriggio del 20 marzo, sempre a Torino. Saranno ore di riflessione e poi di preghiera, nel Duomo, assieme al cardinale Severino Poletto. Saranno memoria e impegno, aspettando una primavera senza mafie.
Giusi Fasano
Forse stavolta l'ormai ex giudice Carlo Palermo si convincerà. Margherita ci spera. Vorrebbe tanto vederlo arrivare, assieme alla primavera, il 21 marzo a Torino, città scelta quest'anno per l'«undicesima Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie». Lei ci sarà, accanto ai parenti delle vittime, al procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso; a Rino Monaco, commissario straordinario antiracket e antiusura; a Giancarlo Caselli, procuratore generale di Torino e, certo non ultimo, accanto a don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera, l'associazione di movimenti antimafia che per l'undicesima volta ha organizzato la sua «primavera dell'impegno », per aiutare i ricordi a germogliare e a diventare forza contro ogni sopraffazione.
I bambini, speranza del futuro che verrà, leggeranno l'elenco delle vittime della violenza mafiosa. Un rosario di 656 nomi e cognomi amplificati al megafono. A ciascuno corrisponde una storia, una data, una vita spezzata.
Quei nomi risuoneranno lungo le vie di un corteo che da Piazza Vittorio Veneto arriverà a Piazza San Carlo. E fluttueranno nell'aria, scritti ciascuno su una bandiera di Libera, tutti lì a ricordare anche le altre vittime, quelle «di cui non siamo ancora riusciti a trovare informazioni sufficienti» si scusano gli organizzatori.
«C'è il rischio di dimenticare il sacrificio di tutta questa gente — riflette Don Ciotti — e la nostra scommessa, ormai da 11 anni, è proprio questa: mantenere in vita la memoria degli innocenti che sono caduti per mano delle mafie. Dobbiamo alimentare la cultura del fare, bisogna che tutti facciano di più, che la giustizia sociale trionfi. Perché chiunque può diventare la prossima Barbara Asta».
Barbara era la madre di Margherita. La mattina del 2 aprile '85 stava accompagnando a scuola i suoi gemellini, Giuseppe e Salvatore, sei anni appena compiuti. Il destino ha voluto che la sua auto, a Pizzo Lungo, incrociasse nel momento sbagliato quella dell'allora pubblico ministero Carlo Palermo, da poco approdato al Palazzo di giustizia di Trapani, dopo anni da giudice istruttore a Trento. La mafia aveva piazzato una bomba per sbarazzarsi di «quel signore», come poi lo chiamò a lungo Margherita.
E la macchina della donna fece da scudo nell'esplosione. Per Barbara e i due bambini non ci fu scampo. Margherita invece si salvò perché quella mattina decise di andare a scuola con una compagna, invece che con la mamma, come faceva sempre. «Solo un paio d'anni fa ho avuto il coraggio di guardare le fotografie della strage, di leggere gli atti giudiziari. In un passaggio si diceva che il busto di uno dei miei fratellini era diventato tutt'uno con il sedile...».
Dopo 21 anni, Margherita è una coordinatrice di Libera. Si è data molto da fare per questa edizione della «Giornata della memoria e dell'impegno».
Soprattutto ha cercato di mettere assieme quanti più familiari delle vittime ha potuto. Si ritroveranno in 150, forse più, il pomeriggio del 20 marzo, sempre a Torino. Saranno ore di riflessione e poi di preghiera, nel Duomo, assieme al cardinale Severino Poletto. Saranno memoria e impegno, aspettando una primavera senza mafie.
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