Da Il Resto del Carlino del 30/03/2006
Strage di Bologna: Ciavardini: 'Incastrato da Izzo'
Parla l'ex Nar, in attesa della sentenza della Cassazione sulla condanna a 30 anni: 'Un castello di falsità su una ipotesi del mostro del Circeo'
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Bologna, 19 marzo 2006 - È pronto ad accettare «con serenità» un'eventuale condanna ma non intende rinunciare alla battaglia per avere «un futuro».
Soprattutto, lui, incastrato dal massacratore del Circeo Angelo Izzo e da un alibi «ingombrante» condiviso con Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, non vuole rassegnarsi alla definitiva «ufficializzazione» di una «falsa verità su uno degli episodi più bui della storia italiana», la strage di Bologna.
Così si sente Luigi Ciavardini (nella foto), 43 anni, 18 dei quali trascorsi tra carcere e semilibertà. Ha saldato i suoi debiti con la giustizia, ha pagato anche per un delitto per cui si dichiara innocente, l'omicidio del giudice Mario Amato, «ma non importa - dice all'ADNKRONOS -, va bene così, non ho rancori, nè rimpianti. Con il passato ho chiuso i conti. Mi interessa solo il futuro».
Un futuro che oggi, però, a 26 anni dalla strage di Bologna, è ancora sotto ipoteca. Per quell'eccidio, infatti, Ciavardini è stato condannato in appello a 30 anni di carcere, una sentenza sulla quale deve ancora pronunciarsi la Corte di Cassazione.
A 17 anni rimane implicato nell'omicidio del poliziotto Franco Evangelisti. È il 28 maggio 1980 quando 'Serpico' viene ucciso dai Nar davanti al liceo 'Giulio Cesare' di Roma e per Ciavardini, che nell'azione rimane ferito allo zigomo sinistro, inizia ufficialmente la latitanza.
Meno di un mese dopo, il 23 giugno 1980, i Nar fredderanno un altro uomo dello Stato, il giudice Mario Amato. Un delitto al quale Ciavardini ha sempre negato di avere partecipato, ma per il quale verrà condannato a 10 anni di carcere.
Due mesi dopo, il 2 agosto 1980, una bomba esplode alla stazione di Bologna causando 85 morti e 200 feriti. Bastano pochi giorni perché gli investigatori indirizzino le indagini con sempre maggiore convinzione verso l'ipotesi di una strage fascista. E dunque attribuibile ai Nar, il gruppo in quel momento più attivo.
Ciavardini viene catturato il 4 ottobre del 1980 a Roma insieme all'amico Nanni De Angelis, che morirà in carcere quella stessa notte.
Dopo una richiesta di archiviazione da parte dello stesso pm che lo aveva perseguito per l'omicidio Amato e un'assoluzione in primo grado, Ciavardini, condannato in appello con una sentenza che sarà però annullata con rinvio dalla Cassazione, è stato nuovamente condannato in II grado e ora è in attesa di un'altra pronuncia della Suprema Corte.
Per lui è l'ultima chance, ma ci tiene a farsi vedere «assolutamente sereno». Sorride, sgrana gli occhi azzurri, assicura di «non provare rabbia», di «essere solo attonito per l'assurdità di quella sentenza».
Una storia giudiziaria il cui primo tassello è stato messo da Angelo Izzo, uno dei tre massacratori del Circeo che l'anno scorso è tornato in carcere dopo aver commesso un altro delitto a Campobasso, l'omicidio di Maria Carmela Linciano e della figlia, Valentina Maiorano.
Era il 1986, e Izzo che, 'pentitosi' due anni prima aveva già parlato su molti dei grandi misteri italiani, tirò in ballo Ciavardini per la strage di Bologna sulla base di indiscrezioni sentite in carcere. «Io 'deduco' che Ciavardini è coinvolto perché nell'ambiente si parla di 'ragazzini' quali esecutori materiali della strage di Bologna e indiscutibilmente il capofila dei 'ragazzini' della banda Nar-Fioravanti è Luigi Ciavardini», disse ai magistrati.
«Su quell'affermazione, su quella che cioè non era altro che una pura ipotesi formulata da qualcuno che aveva cercato in ogni modo di guadagnarsi uno sconto di pena - afferma Ciavardini - fu costruito un castello di falsità. Senza che mai in tutti questi anni si sia trovata una qualunque prova della mia presenza a Bologna in quei giorni. Non c'è nessun riscontro, nessun testimone diretto. Sono rimasto incastrato da un alibi, che è diventato una condanna perché una condanna con lo stesso alibi c'era già stata», spiega l'ex Nar, facendo riferimento all'elemento che tiene legati a un unico filo rispetto alla strage lui, Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, appunto l'alibi comune, quella trasferta del 2 agosto a Padova, insieme a Gilberto Cavallini, che lui aveva confermato a favore della Mambro nel 1983, tre anni prima di rimanere coinvolto nella vicenda.
«Piuttosto che accusarmi di falsa testimonianza, hanno preferito sostenere che siccome loro erano a Bologna e sono stati condannati per questo, anche io dovevo esserci», chiarisce.
Per Ciavardini, dunque, la sua condanna sarebbe «strumentale rispetto all'affermazione di una verità definitiva sull'eccidio». Anche se, manda a dire ai giudici, «assolvermi, visto l'assoluta mancanza di prove nei miei confronti, non cambierebbe proprio nulla, sarebbe solo un atto di giustizia».
Soprattutto, lui, incastrato dal massacratore del Circeo Angelo Izzo e da un alibi «ingombrante» condiviso con Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, non vuole rassegnarsi alla definitiva «ufficializzazione» di una «falsa verità su uno degli episodi più bui della storia italiana», la strage di Bologna.
Così si sente Luigi Ciavardini (nella foto), 43 anni, 18 dei quali trascorsi tra carcere e semilibertà. Ha saldato i suoi debiti con la giustizia, ha pagato anche per un delitto per cui si dichiara innocente, l'omicidio del giudice Mario Amato, «ma non importa - dice all'ADNKRONOS -, va bene così, non ho rancori, nè rimpianti. Con il passato ho chiuso i conti. Mi interessa solo il futuro».
Un futuro che oggi, però, a 26 anni dalla strage di Bologna, è ancora sotto ipoteca. Per quell'eccidio, infatti, Ciavardini è stato condannato in appello a 30 anni di carcere, una sentenza sulla quale deve ancora pronunciarsi la Corte di Cassazione.
A 17 anni rimane implicato nell'omicidio del poliziotto Franco Evangelisti. È il 28 maggio 1980 quando 'Serpico' viene ucciso dai Nar davanti al liceo 'Giulio Cesare' di Roma e per Ciavardini, che nell'azione rimane ferito allo zigomo sinistro, inizia ufficialmente la latitanza.
Meno di un mese dopo, il 23 giugno 1980, i Nar fredderanno un altro uomo dello Stato, il giudice Mario Amato. Un delitto al quale Ciavardini ha sempre negato di avere partecipato, ma per il quale verrà condannato a 10 anni di carcere.
Due mesi dopo, il 2 agosto 1980, una bomba esplode alla stazione di Bologna causando 85 morti e 200 feriti. Bastano pochi giorni perché gli investigatori indirizzino le indagini con sempre maggiore convinzione verso l'ipotesi di una strage fascista. E dunque attribuibile ai Nar, il gruppo in quel momento più attivo.
Ciavardini viene catturato il 4 ottobre del 1980 a Roma insieme all'amico Nanni De Angelis, che morirà in carcere quella stessa notte.
Dopo una richiesta di archiviazione da parte dello stesso pm che lo aveva perseguito per l'omicidio Amato e un'assoluzione in primo grado, Ciavardini, condannato in appello con una sentenza che sarà però annullata con rinvio dalla Cassazione, è stato nuovamente condannato in II grado e ora è in attesa di un'altra pronuncia della Suprema Corte.
Per lui è l'ultima chance, ma ci tiene a farsi vedere «assolutamente sereno». Sorride, sgrana gli occhi azzurri, assicura di «non provare rabbia», di «essere solo attonito per l'assurdità di quella sentenza».
Una storia giudiziaria il cui primo tassello è stato messo da Angelo Izzo, uno dei tre massacratori del Circeo che l'anno scorso è tornato in carcere dopo aver commesso un altro delitto a Campobasso, l'omicidio di Maria Carmela Linciano e della figlia, Valentina Maiorano.
Era il 1986, e Izzo che, 'pentitosi' due anni prima aveva già parlato su molti dei grandi misteri italiani, tirò in ballo Ciavardini per la strage di Bologna sulla base di indiscrezioni sentite in carcere. «Io 'deduco' che Ciavardini è coinvolto perché nell'ambiente si parla di 'ragazzini' quali esecutori materiali della strage di Bologna e indiscutibilmente il capofila dei 'ragazzini' della banda Nar-Fioravanti è Luigi Ciavardini», disse ai magistrati.
«Su quell'affermazione, su quella che cioè non era altro che una pura ipotesi formulata da qualcuno che aveva cercato in ogni modo di guadagnarsi uno sconto di pena - afferma Ciavardini - fu costruito un castello di falsità. Senza che mai in tutti questi anni si sia trovata una qualunque prova della mia presenza a Bologna in quei giorni. Non c'è nessun riscontro, nessun testimone diretto. Sono rimasto incastrato da un alibi, che è diventato una condanna perché una condanna con lo stesso alibi c'era già stata», spiega l'ex Nar, facendo riferimento all'elemento che tiene legati a un unico filo rispetto alla strage lui, Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, appunto l'alibi comune, quella trasferta del 2 agosto a Padova, insieme a Gilberto Cavallini, che lui aveva confermato a favore della Mambro nel 1983, tre anni prima di rimanere coinvolto nella vicenda.
«Piuttosto che accusarmi di falsa testimonianza, hanno preferito sostenere che siccome loro erano a Bologna e sono stati condannati per questo, anche io dovevo esserci», chiarisce.
Per Ciavardini, dunque, la sua condanna sarebbe «strumentale rispetto all'affermazione di una verità definitiva sull'eccidio». Anche se, manda a dire ai giudici, «assolvermi, visto l'assoluta mancanza di prove nei miei confronti, non cambierebbe proprio nulla, sarebbe solo un atto di giustizia».
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