Da Corriere della Sera del 24/09/2005
Critiche dall'UE. Una piccola università ospiterà l'incontro a Instambul
Genocidio armeno. Il convegno è vietato
No dei giudici turchi, ma Erdogan protesta
di Antonio Ferrari
Articolo presente nelle categorie:
Affrontare una scomoda verità e chiudere i conti con il proprio passato è sempre difficile, spesso doloroso. Ma soffocare di bugie la memoria, accusando di tradimento tutti coloro che non intendono dimenticare e invocano il diritto alla ricerca storica, non è soltanto gravissimo. E’ sciocco. La decisione di un tribunale turco di impedire lo svolgimento di una conferenza universitaria, puramente accademica, sul genocidio degli armeni, una delle pagine più buie della storia del Paese, pare uno schiaffo sul volto della stessa Turchia democratica, che il 3 ottobre comincerà i negoziati per la futura adesione all’Unione europea. Che ha subito manifestato la propria irritazione.
La conferenza doveva cominciare ieri, all’università di Bogazici (la celebre Bosphorus University), ma un avvocato nazionalista, vicino all’estreme destra, e probabilmente ai lupi grigi cui apparteneva Mehmet Alì Agca, l’uomo che sparò al Papa Giovanni Paolo II, è riuscito ad ottenerne la cancellazione dal tribunale civile. Decisione tanto infausta quanto risibile. Il provvedimento riguarda infatti i due maggiori atenei di Istanbul, “Bosphorus” e “Sabanci”, e gli organizzatori dell’incontro, attesa l’ora di chiusura degli uffici giudiziari, hanno annunciato che la conferenza inizierà ugualmente, nella più piccola università “Biligi”, con un programma ridotto nel tempo (2 giorni invece di 3) ma salvo nella sostanza. Anzi reso molto più interessante dalla censura giudiziaria e dagli insulti, quasi minacce, degli ultra-nazionalisti.
Una sfida aperta, quella degli organizzatori della conferenza, non tanto al governo di Ankara, visto che il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha deplorato l’annullamento sostenendo che la decisione del tribunale “non ha nulla a che vedere con la democrazia”, e che il ministro degli esteri Abdullah Gul gli ha fatto eco “Nessuno meglio di noi è capace di farsi del male”. Sfida piuttosto a quei poteri (“lo stato profondo”), rappresentati dalle parte più rigida delle forze armate e dai kemalisti intransigenti che ritengono il revisionismo storico un insulto alla memoria di Ataturk, fondatore della Turchia moderna.
Da anni, illustri accademici chiedono di far luce sul periodo 1912-1915, quando la Turchia ottomana compì il genocidio degli armeni. Che denunciarono 1 milione e mezzo di morti, mentre le autorità di Ankara sostennero che negli “scontri” (evidente eufemismo) ne caddero 300.000. Il tema, per troppo tempo, è stato taciuto, anche all’estero, nel nome di un indiscutibile “realismo diplomatico”, ma ora è affiorato prepotentemente nel parlamento francese, in quello tedesco, al Congresso americano e nella stessa Turchia. Lo scrittore Orhan Pamuk, candidato al Nobel, rischia 3 anni di carcere soltanto per aver parlato apertamente del genocidio.
Non è certo un viatico rassicurante per la Turchia che chiede una poltrona a Bruxelles e che deve fronteggiare la crescente diffidenza di numerosi Paesi europei. “Però, attenzione: bisogna riconoscere che il governo di Erdogan è molto più aperto di certe strutture del Paese”, dice Elif Shafak, nota scrittrice turca, che insegna all’università dell’Arizona, e che è fra gli organizzatori dell’incontro. Tutto vero. Però Erdogan è stato assai piratesco quando, il 25 maggio scorso, la conferenza sul genocidio degli armeni era stata cancellata per la prima volta.
Riaffiorano insomma le ambiguità di sempre. E con esse la mancanza di coraggio politico. L’equilibrista Erdogan potrebbe ricordare che le colpe di ieri non ricadono sulla Turchia di oggi. Invece tutti restano in mezzo al guado, spaventati da un gruppo di accademici che si limitano, pacatamente, a discutere su una pagina del passato, respingendo l’idea che la storia sia un tabù.
La conferenza doveva cominciare ieri, all’università di Bogazici (la celebre Bosphorus University), ma un avvocato nazionalista, vicino all’estreme destra, e probabilmente ai lupi grigi cui apparteneva Mehmet Alì Agca, l’uomo che sparò al Papa Giovanni Paolo II, è riuscito ad ottenerne la cancellazione dal tribunale civile. Decisione tanto infausta quanto risibile. Il provvedimento riguarda infatti i due maggiori atenei di Istanbul, “Bosphorus” e “Sabanci”, e gli organizzatori dell’incontro, attesa l’ora di chiusura degli uffici giudiziari, hanno annunciato che la conferenza inizierà ugualmente, nella più piccola università “Biligi”, con un programma ridotto nel tempo (2 giorni invece di 3) ma salvo nella sostanza. Anzi reso molto più interessante dalla censura giudiziaria e dagli insulti, quasi minacce, degli ultra-nazionalisti.
Una sfida aperta, quella degli organizzatori della conferenza, non tanto al governo di Ankara, visto che il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha deplorato l’annullamento sostenendo che la decisione del tribunale “non ha nulla a che vedere con la democrazia”, e che il ministro degli esteri Abdullah Gul gli ha fatto eco “Nessuno meglio di noi è capace di farsi del male”. Sfida piuttosto a quei poteri (“lo stato profondo”), rappresentati dalle parte più rigida delle forze armate e dai kemalisti intransigenti che ritengono il revisionismo storico un insulto alla memoria di Ataturk, fondatore della Turchia moderna.
Da anni, illustri accademici chiedono di far luce sul periodo 1912-1915, quando la Turchia ottomana compì il genocidio degli armeni. Che denunciarono 1 milione e mezzo di morti, mentre le autorità di Ankara sostennero che negli “scontri” (evidente eufemismo) ne caddero 300.000. Il tema, per troppo tempo, è stato taciuto, anche all’estero, nel nome di un indiscutibile “realismo diplomatico”, ma ora è affiorato prepotentemente nel parlamento francese, in quello tedesco, al Congresso americano e nella stessa Turchia. Lo scrittore Orhan Pamuk, candidato al Nobel, rischia 3 anni di carcere soltanto per aver parlato apertamente del genocidio.
Non è certo un viatico rassicurante per la Turchia che chiede una poltrona a Bruxelles e che deve fronteggiare la crescente diffidenza di numerosi Paesi europei. “Però, attenzione: bisogna riconoscere che il governo di Erdogan è molto più aperto di certe strutture del Paese”, dice Elif Shafak, nota scrittrice turca, che insegna all’università dell’Arizona, e che è fra gli organizzatori dell’incontro. Tutto vero. Però Erdogan è stato assai piratesco quando, il 25 maggio scorso, la conferenza sul genocidio degli armeni era stata cancellata per la prima volta.
Riaffiorano insomma le ambiguità di sempre. E con esse la mancanza di coraggio politico. L’equilibrista Erdogan potrebbe ricordare che le colpe di ieri non ricadono sulla Turchia di oggi. Invece tutti restano in mezzo al guado, spaventati da un gruppo di accademici che si limitano, pacatamente, a discutere su una pagina del passato, respingendo l’idea che la storia sia un tabù.
Altri articoli in archivio
di Sukru Elekdag su Hürriyet del 15/04/2005
|
Il dibattito sul genocidio del 1915 divide i turchi e scava un fossato tra Ankara e l'Unione europea. Il parere delllo storico Halil Berktay
La verità e gli armeni di Hail Berktay su Milliyet del 15/04/2005
|
Libri consigliati
di Yves Ternon edito da Rizzoli, 2003
|
di Marco Impagliazzo edito da Guerini e Associati, 2000
|
Sullo stesso argomento
Articoli in archivio
di Gavino Pala su Archivio '900 del 10/04/2012
di Paolo Simoncelli su Avvenire del 06/02/2012
di Bernard-Henry Levy su Corriere della Sera del 29/01/2007
News in archivio
su La Repubblica del 22/09/2005
In biblioteca
di Alfredo Viglieri
Mursia, 2009
Mursia, 2009