Da Peace Reporter del 05/10/2005
2 anni fa l'uccisione in Somalia
Annalena Tonelli: la storia e le testimonianze
di Valeria Confalonieri
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"Negli ultimi trent'anni, e in particolare in questi tempi tormentati e in continuo cambiamento, la sua tranquilla devozione nell'aiutare le persone che hanno bisogno è la prova vivente che gli individui possono fare una enorme differenza". Sono parole di Ruud Lubbers, dell' Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), pronunciate a metà aprile dello scorso anni a Nairobi. Il soggetto dell'affermazione è Annalena Tonelli, uccisa a sangue freddo con un colpo alla nuca nella notte del 5 ottobre del 2003 a Borama, nella regione a Nord Ovest della Somalia (il Somaliland). Il motivo del discorso di Lubbers era la nomina per il Nansen Refugee Award, premio conferito annualmente a persone o organizzazioni che si sono distinte per il loro lavoro a favore dei rifugiati. Anche in quell'occasione, Annalena aveva dato prova del suo carattere schivo e modesto, recandosi a Ginevra il 25 giungo del 2003 per ricevere il premio solo perché sperava sarebbe stato utile per rifocalizzare l'attenzione del mondo sulle sofferenze della Somalia: "Per questa ragione sono grata all'UNHCR per la decisione, che ha riportato l'attenzione sulla mia amata Somalia. Io posso essere ora una voce più forte per un popolo che non ha voce".
Lei, che da sola, senza avere alle spalle nessuna organizzazione o struttura precostituita, ha fatto la differenza, incoraggia ad andare avanti e sperare: "Ho sperimentato più volte nel corso della mia ormai lunga esistenza che non c'è male che non venga portato alla luce, non c'è verità che non venga svelata, l'importante è continuare a lottare come se la verità fosse già fatta, i soprusi non ci toccassero e il male non trionfasse" ha detto. Anche le sue parole alla consegna del Premio Nansen sono un invito alla speranza, pur nella consapevolezza delle terribili sofferenze e crudeltà che caratterizzano il mondo. Annalena Tonelli infatti non era certo una sognatrice fuori dalla realtà: "Sono stata in mezzo a guerre e conflitti. Sono stata testimone di carestie devastanti, di violazioni dei diritti umani e di genocidio. Ho sentito che non avrei mai più potuto sorridere ancora nella mia vita se fossi sopravvissuta a queste catastrofi". Ma è andata avanti, non si è arresa per "le necessità del popolo somalo e la mia invincibile fede nell'umanità, la mia incrollabile speranza che gli uomini e le donne di buona volontà da ogni angolo del mondo come te e me decidano di combattere e continuare a lottare per coloro ai quali misteriosamente non è stata data l'opportunità di vivere una vita degna di essere chiamata vita".
""L'attività in Africa di Annalena Tonelli è iniziata quando aveva 27 anni ed è proseguita senza interruzioni per altri 33. Partita per il Kenia come insegnante nelle regioni del Nord Est, in una zona con popolazione di etnia somala, ha iniziato quasi subito a seguire le persone più sofferenti e rifiutate dalla società. Si è avvicinata così ai malati di tubercolosi e per meglio seguire chi aveva più bisogno, ha preso diplomi in medicina tropicale, controllo della tubercolosi e della lebbra, medicina di comunità. Scappata dal Kenia a metà degli anni ottanta, per il suo tentativo di fermare i massacri nei confronti della popolazione somala in territorio keniota, è arrivata in Somalia, a Mogadiscio, durante la guerra civile, dandosi da fare nella distribuzione del cibo, e ancora una volta, nel Sud, per i malati di tubercolosi. Sempre per motivi di sicurezza, in seguito a minacce e violenze nei suoi confronti, si è poi spostata a Nord Ovest, nel Somaliland, e più precisamente a Borama. Lì è riuscita a seguire e rendere funzionante un ospedale, fino a ospitare 200 letti e dove è stata uccisa due anni fa.
Nel campo della tubercolosi, negli anni settanta è stata una pioniera della terapia breve, che ha permesso il passaggio da schemi terapeutici di un anno e oltre, a trattamenti di soli sei mesi, quindi con maggiori probabilità di essere seguiti dai pazienti e non interrotti a metà, come spesso succedeva con esiti disastrosi. E' diventata così resposabile di un progetto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la cura delle tubercolosi fra i nomadi. Annalena è riuscita a convincere i malati ad accamparsi nelle vicinanze di un Centro di riabilitazione per disabili dove lavorava per tutti i mesi necessari alla terapia, per poi ricongiungersi alla propria famiglia o gruppo una volta guariti.
A Borama ha continuato la sua lotta contro la tubercolosi, ed è arrivata a seguire 400 pazienti al giorno, di cui la metà ricoverati e l'altra metà in ambulatorio. Ma è riuscita anche ad assistere e aiutare altri reietti e isolati della società, come i bambini sordi, per i quali ha costruito una scuola; gli epilettici, i malati di mente, o ancora le persone rese cieche per la cataratta, per i quali ha organizzato due volte l'anno la visita di chirurghi, che con l'intervento hanno ridato la vista a 3.700 persone. Il suo impegno è stato instancabile anche su tematiche di difficile gestione, su cui la consapevolezza e l'importanze delle parole giuste hanno un peso particolare, come le mutilazioni genitali femminili o, negli ultimi anni, l'AIDS, inevitabilmente collegata alla tubercolosi, suo primo impegno.
Durante la sua instancabile attività ha subito minacce di morte, un rapimento; è stata picchiata. Ha faticato non poco prima di farsi accettare da una popolazione di una cultura apparentemente diversa, in quanto donna sola, giovane (quando ha cominciato), cristiana, non sposata. Ma alla fine ha prevalso la sua dedizione disinteressata e il suo amore per gli altri, dimostrato fin dagli anni passati in Kenia, quando ha rischiato in prima persona, fino a essere arrestata, per difendere il popolo somalo.
In un discorso pronunciato nel dicembre del 2001 in Vaticano, ha detto: "In senso molto più largo, il dialogo con le altre religioni è questo. E' condivisione. Non c'è bisogno di parole. Il dialogo è vita vissuta; e meglio (almeno io lo vivo così) se è senza parole". Una cosa ha tenuto a precisare, parlando della sua vita, interrotta brutalmente due anni fa: "Non è sacrificio. E' pura felicità. Chi altro sulla Terra ha una vita così bella?".
Lei, che da sola, senza avere alle spalle nessuna organizzazione o struttura precostituita, ha fatto la differenza, incoraggia ad andare avanti e sperare: "Ho sperimentato più volte nel corso della mia ormai lunga esistenza che non c'è male che non venga portato alla luce, non c'è verità che non venga svelata, l'importante è continuare a lottare come se la verità fosse già fatta, i soprusi non ci toccassero e il male non trionfasse" ha detto. Anche le sue parole alla consegna del Premio Nansen sono un invito alla speranza, pur nella consapevolezza delle terribili sofferenze e crudeltà che caratterizzano il mondo. Annalena Tonelli infatti non era certo una sognatrice fuori dalla realtà: "Sono stata in mezzo a guerre e conflitti. Sono stata testimone di carestie devastanti, di violazioni dei diritti umani e di genocidio. Ho sentito che non avrei mai più potuto sorridere ancora nella mia vita se fossi sopravvissuta a queste catastrofi". Ma è andata avanti, non si è arresa per "le necessità del popolo somalo e la mia invincibile fede nell'umanità, la mia incrollabile speranza che gli uomini e le donne di buona volontà da ogni angolo del mondo come te e me decidano di combattere e continuare a lottare per coloro ai quali misteriosamente non è stata data l'opportunità di vivere una vita degna di essere chiamata vita".
""L'attività in Africa di Annalena Tonelli è iniziata quando aveva 27 anni ed è proseguita senza interruzioni per altri 33. Partita per il Kenia come insegnante nelle regioni del Nord Est, in una zona con popolazione di etnia somala, ha iniziato quasi subito a seguire le persone più sofferenti e rifiutate dalla società. Si è avvicinata così ai malati di tubercolosi e per meglio seguire chi aveva più bisogno, ha preso diplomi in medicina tropicale, controllo della tubercolosi e della lebbra, medicina di comunità. Scappata dal Kenia a metà degli anni ottanta, per il suo tentativo di fermare i massacri nei confronti della popolazione somala in territorio keniota, è arrivata in Somalia, a Mogadiscio, durante la guerra civile, dandosi da fare nella distribuzione del cibo, e ancora una volta, nel Sud, per i malati di tubercolosi. Sempre per motivi di sicurezza, in seguito a minacce e violenze nei suoi confronti, si è poi spostata a Nord Ovest, nel Somaliland, e più precisamente a Borama. Lì è riuscita a seguire e rendere funzionante un ospedale, fino a ospitare 200 letti e dove è stata uccisa due anni fa.
Nel campo della tubercolosi, negli anni settanta è stata una pioniera della terapia breve, che ha permesso il passaggio da schemi terapeutici di un anno e oltre, a trattamenti di soli sei mesi, quindi con maggiori probabilità di essere seguiti dai pazienti e non interrotti a metà, come spesso succedeva con esiti disastrosi. E' diventata così resposabile di un progetto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la cura delle tubercolosi fra i nomadi. Annalena è riuscita a convincere i malati ad accamparsi nelle vicinanze di un Centro di riabilitazione per disabili dove lavorava per tutti i mesi necessari alla terapia, per poi ricongiungersi alla propria famiglia o gruppo una volta guariti.
A Borama ha continuato la sua lotta contro la tubercolosi, ed è arrivata a seguire 400 pazienti al giorno, di cui la metà ricoverati e l'altra metà in ambulatorio. Ma è riuscita anche ad assistere e aiutare altri reietti e isolati della società, come i bambini sordi, per i quali ha costruito una scuola; gli epilettici, i malati di mente, o ancora le persone rese cieche per la cataratta, per i quali ha organizzato due volte l'anno la visita di chirurghi, che con l'intervento hanno ridato la vista a 3.700 persone. Il suo impegno è stato instancabile anche su tematiche di difficile gestione, su cui la consapevolezza e l'importanze delle parole giuste hanno un peso particolare, come le mutilazioni genitali femminili o, negli ultimi anni, l'AIDS, inevitabilmente collegata alla tubercolosi, suo primo impegno.
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