Roma, 5 maggio 1982. Discorso pronunciato come Vice Comandante dell'Arma uscente
L'ultimo saluto
Documento aggiornato al 04/09/2006
Comandante, permettimi due parole; è la prima volta che parlo leggendo, ovvero affidandomi alla lettura. E pur volendo essere breve, temo di non reggere fino in fondo, anche se ad un soldato non si addice commozione che traspaia verso altri soldati. Gli è che lascio oggi la carica di Vice Comandante dell’Arma – con l’orgoglio e la fierezza di aver servito per quaranta anni la nostra Istituzione – ma con l’animo in tumulto, con l’emozione che batte su questa uniforme di vecchio soldato.
Sono ora a raccogliere tanti e tanti ricordi, tante e tante fisionomie, per dir loro la mia gratitudine.
Ho sentito dire da qualcuno che non si dice “grazie” a chi adempie al proprio dovere, ed ho incontrato qualche altro che riteneva di essere egli, e soltanto lui, la “vestale dell’Arma”.
Ebbene, questo è il momento dell’umiltà!
Quelle fisionomie lontane, sono qui; stemperate dal tempo ma non dalla gratitudine. Mi riporto a quando, poco più che ventenne, mi affacciavo alla mia prima Tenenza e schierati erano dodici, fra Brigadieri e Marescialli, tutti con il colletto bianco inamidato, i guanti calzati, la sciabola, alcuni con gli stivaloni; a quando, cioè, senza far pesare, con molto garbo, senza incidere sul mio amor proprio, mi resero consapevole della mia pochezza! Ebbene, io, a questa generosità, a questo garbo, sono sempre riandato nel mio procedere, mentre nessuna remora mi ha mai colto nell’attingere ai consigli ed ai suggerimenti dei semplici Appuntati; anche da loro la saggezza e l’esperienza poteva essere raccolta, soprattutto perché lo facevano senza nulla chiedere o sperare.
Vecchi cari collaboratori di allora! Fra i primi non posso non ricordare il Brigadiere Fileni ed il Maresciallo Nardone e, tra i secondi, il vecchio Appuntato Ceci, oggi tutti nel cielo degli eroi dell’Arma.
E perché non dovrei avvertire gratitudine per quanti sempre, e poi, mi hanno insegnato (oltre che donato, oltre che dato) e perché non dovrei considerare loro e soltanto loro le “vestali dell’Arma”?
E, nel tempo avanti ai miei Maestri, cui rivolgo un deferente, memore pensiero, perché non dovrei dire grazie anche a mio padre per avermi offerto la sua fede ed i suoi Alamari?
Oggi sono quindi qui ad esprimere gratitudine a lui, ai tanti Maestri ed a tutti i collaboratori che, a migliaia e migliaia, in questo momento si affollano, come fedeli radunati nell’immenso Tempio della nostra Bandiera.
Qui io non sarei – e qui tutti non saremmo – se loro non ci avessero preceduto e non avessero donato ben al di là del “dovere compiuto”|
E grazie anche a te, mio Comandante, mio ultimo Comandante, per quanto hai voluto generosamente dire oggi a voce ed affidare nel tuo Ordine del giorno; un Ordine del giorno che mi riempie di fierezza e di orgoglio. Ma grazie per avermi invitato alla cerimonia dell’imposizione degli Alamari a Chieti; era la prima volta in quaranta anni, ed essendo anche l’ultima, la coincidenza ha voluto che, affidando gli Alamari ad un giovane carabiniere, con un po’ di enfasi, sì, d’accordo, io gli potessi dire: “E’ come se ti passassi i miei!”. E perché non dirti grazie di avermi consentito di rappresentarti a Pastrengo, nella cerimonia di quella battaglia, di quella carica? Ne sono uscito ricco di emozione e di fede; sì, ancora di quella fede di cui ho bisogno, ho tanto bisogno per affrontare la nuova strada.
Ma grazie anche di avermi voluto ieri al tuo fianco a Monreale; avrei dovuto esservi sì in virtù delle funzioni espletate; ma mi hai tenuto vicino, anche perché in quel momento era onorata la memoria di un Capitano Medaglia d’oro, il Capitano Basile, mio vecchio dipendente.
E quando stamattina ho reso visita, omaggio alla nostra “urna dei forti”, alla nostra Bandiera, al primo Istituto, al massimo Istituto d’istruzione, bene, tutto è divenuto un incalzare tale di emozioni, di fronte alle quali è prepotente ed incontenibile ormai la commozione.
Ecco perché mi fermo. Ma non senza aver rivolto un caloroso saluto ai commilitoni valorosi dell’Arma in congedo, che ci hanno preceduto su questa stessa strada e non senza rivolgere un pensiero altrettanto commosso alle nostre famiglie, a quelle che, con noi tutti, hanno diviso i sacrifici, i tormenti, le ansie, giacchè anche da loro – è bene non dimenticarlo – l’Istituzione ha avuto un alto, un grande contributo.
Grazie Comandante ed in te ringrazio l’Arma!
Con me sarà sempre l’impegno perché anche nella nuova fatica sia il bottone dell’Arma a brillare di questa sua luce autentica, di questa sua luce che è genuina, che è trasparente, che rifiuta calcoli, come dicevo l’altra volta, e le riserve mentali. E mi auguro che la sorte mi conceda di garantire a questa mia provenienza, quella fiducia che mi è stata data e con la quale sono partito.
Viva l’Arma! Viva l’Italia!
Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
Sono ora a raccogliere tanti e tanti ricordi, tante e tante fisionomie, per dir loro la mia gratitudine.
Ho sentito dire da qualcuno che non si dice “grazie” a chi adempie al proprio dovere, ed ho incontrato qualche altro che riteneva di essere egli, e soltanto lui, la “vestale dell’Arma”.
Ebbene, questo è il momento dell’umiltà!
Quelle fisionomie lontane, sono qui; stemperate dal tempo ma non dalla gratitudine. Mi riporto a quando, poco più che ventenne, mi affacciavo alla mia prima Tenenza e schierati erano dodici, fra Brigadieri e Marescialli, tutti con il colletto bianco inamidato, i guanti calzati, la sciabola, alcuni con gli stivaloni; a quando, cioè, senza far pesare, con molto garbo, senza incidere sul mio amor proprio, mi resero consapevole della mia pochezza! Ebbene, io, a questa generosità, a questo garbo, sono sempre riandato nel mio procedere, mentre nessuna remora mi ha mai colto nell’attingere ai consigli ed ai suggerimenti dei semplici Appuntati; anche da loro la saggezza e l’esperienza poteva essere raccolta, soprattutto perché lo facevano senza nulla chiedere o sperare.
Vecchi cari collaboratori di allora! Fra i primi non posso non ricordare il Brigadiere Fileni ed il Maresciallo Nardone e, tra i secondi, il vecchio Appuntato Ceci, oggi tutti nel cielo degli eroi dell’Arma.
E perché non dovrei avvertire gratitudine per quanti sempre, e poi, mi hanno insegnato (oltre che donato, oltre che dato) e perché non dovrei considerare loro e soltanto loro le “vestali dell’Arma”?
E, nel tempo avanti ai miei Maestri, cui rivolgo un deferente, memore pensiero, perché non dovrei dire grazie anche a mio padre per avermi offerto la sua fede ed i suoi Alamari?
Oggi sono quindi qui ad esprimere gratitudine a lui, ai tanti Maestri ed a tutti i collaboratori che, a migliaia e migliaia, in questo momento si affollano, come fedeli radunati nell’immenso Tempio della nostra Bandiera.
Qui io non sarei – e qui tutti non saremmo – se loro non ci avessero preceduto e non avessero donato ben al di là del “dovere compiuto”|
E grazie anche a te, mio Comandante, mio ultimo Comandante, per quanto hai voluto generosamente dire oggi a voce ed affidare nel tuo Ordine del giorno; un Ordine del giorno che mi riempie di fierezza e di orgoglio. Ma grazie per avermi invitato alla cerimonia dell’imposizione degli Alamari a Chieti; era la prima volta in quaranta anni, ed essendo anche l’ultima, la coincidenza ha voluto che, affidando gli Alamari ad un giovane carabiniere, con un po’ di enfasi, sì, d’accordo, io gli potessi dire: “E’ come se ti passassi i miei!”. E perché non dirti grazie di avermi consentito di rappresentarti a Pastrengo, nella cerimonia di quella battaglia, di quella carica? Ne sono uscito ricco di emozione e di fede; sì, ancora di quella fede di cui ho bisogno, ho tanto bisogno per affrontare la nuova strada.
Ma grazie anche di avermi voluto ieri al tuo fianco a Monreale; avrei dovuto esservi sì in virtù delle funzioni espletate; ma mi hai tenuto vicino, anche perché in quel momento era onorata la memoria di un Capitano Medaglia d’oro, il Capitano Basile, mio vecchio dipendente.
E quando stamattina ho reso visita, omaggio alla nostra “urna dei forti”, alla nostra Bandiera, al primo Istituto, al massimo Istituto d’istruzione, bene, tutto è divenuto un incalzare tale di emozioni, di fronte alle quali è prepotente ed incontenibile ormai la commozione.
Ecco perché mi fermo. Ma non senza aver rivolto un caloroso saluto ai commilitoni valorosi dell’Arma in congedo, che ci hanno preceduto su questa stessa strada e non senza rivolgere un pensiero altrettanto commosso alle nostre famiglie, a quelle che, con noi tutti, hanno diviso i sacrifici, i tormenti, le ansie, giacchè anche da loro – è bene non dimenticarlo – l’Istituzione ha avuto un alto, un grande contributo.
Grazie Comandante ed in te ringrazio l’Arma!
Con me sarà sempre l’impegno perché anche nella nuova fatica sia il bottone dell’Arma a brillare di questa sua luce autentica, di questa sua luce che è genuina, che è trasparente, che rifiuta calcoli, come dicevo l’altra volta, e le riserve mentali. E mi auguro che la sorte mi conceda di garantire a questa mia provenienza, quella fiducia che mi è stata data e con la quale sono partito.
Viva l’Arma! Viva l’Italia!
Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
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