Da Corriere della Sera del 06/04/1978

Pomarici: in casi estremi si può usare il "siero della verità" per Curcio

di Leo Valiani

Adriano Sollazzo, Corriere della Sera 7 aprile Milano - Imposto dal rapimento di Moro, il tema della lotta ai terroristi e, in particolare, dei mezzi più idonei per far breccia nel muro di omertà che fa scudo agli organizzatori e agli esecutori del tragico agguato di via Fani è oggetto di accese discussioni al palazzo di giustizia. Ci si chiede, specificamente, se esistono mezzi efficaci per ricavare da Renato Curcio e dagli altri brigatisti attualmente sotto processo a Torino tutte quelle informazioni che possono rivelarsi utili per identificare i "cervelli" che manovrano le fila delle Br, scoprire la loro centrale operativa, arrivare magari a individuare il luogo dove l'esponente Dc è tenuto prigioniero, dato per scontato che Curcio e compagni sappiano la verità in proposito. Il tutto valendosi anche di mezzi che apparentemente potrebbero sembrare un ricorso all'eccezione, ma che in realtà rimangono inquadrati nel più rigoroso ambito legale. Tra questi espedienti potrebbe rientrare il ricorso al cosiddetto "siero della verità", utilizzato come estremo tentativo per far confessare ai terroristi quello che altrimenti non direbbero mai. Va detto subito che l'uso del "lie-detector" per ottenere le confessioni degli imputati o dei testi, consentito in altri paesi, non è ammesso dalla legge italiana. Ad esso, tuttavia, si potrebbe ricorrere in caso di estrema necessità, stati di necessità esplicitamente previsti dal nostro codice penale. Ecco, in proposito, cosa ne pensa il sostituto procuratore della Repubblica Ferdinando Pomarici, uno dei giudici italiani più esperti in fatto di sequestri di persona, noto, tra l'altro, per avere per primo adottato la cosiddetta "linea dura" tendente a bloccare i denari destinati ai ricatti. "Innanzi tutto - spiega Pomarici - c'è un problema di carattere giuridico. L'inoculazione del cosiddetto "siero della verità" non è prevista, né esplicitamente consentita da alcuna norma del codice processuale. Per altro, ove ricorressero determinati presupposti, si potrebbe teoricamente arrivare a tale soluzione applicando l'articolo 54 del Codice Penale. Se ad esempio - rileva il giudice - vi fossero elementi tali da poter ritenere con certezza che Curcio o altri siano a conoscenza di elementi la cui rivelazione potrebbe consentire di liberare il prigioniero, l'inoculazione di tale siero - che costituirebbe astrattamente reato - sarebbe appunto consentita perché per l'articolo 54 l'autore di tale fatto non sarebbe punibile per averlo compiuto a seguito della necessità di salvare l'onorevole Moro dal pericolo attuale di un danno grave alla persona". "In pratica, cioè - spiega il PM - eventuali reati di violenza privata e altro verrebbero eliminati da tale norma processuale. E' chiaro, però, che si tratterebbe di un precedente molto pericoloso, anche perché bisognerebbe preventivamente accertarsi della reale efficacia e della effettiva innocuità del farmaco da usare, per cui, senza dubbio, occorrerebbe molto coraggio da parte del magistrato o dell'ufficiale di polizia giudiziaria che decidesse in tale senso perché sicuramente si scatenerebbero polemiche di grande portata". Al di là dell'eventuale uso del "siero della verità" (sul poter, concreto, da un punto di vista strettamente scientifico, della narcoanalisi i pareri degli esperti sono discordi, anche se i più ritengono che sia possibile, con questo farmaco, esplorare la psiche umana e ottenere che il paziente si confessi senza riserve o inibizioni), rimane la possibilità, sempre in base all'articolo 54 del codice, di interrogare con il metodo abituale Curcio e gli altri brigatisti e farli parlare sul rapimento di Moro.

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