Da Il Manifesto del 04/05/1978

"Un giorno dopo l'altro"

di Luigi Pintor

Più durerà la prigionia di Aldo Moro, più la vita democratica del paese si frantumerà. E' come se, col sequestro di Aldo Moro, un ordigno micidiale e invisibile fosse stato innescato, una bomba a biglie che spara in tutte le direzioni, e una bomba a tempo che esplode ogni giorno. E il peggio è che le cose possono continuare così per un tempo indefinito. Una prima considerazione riguarda le indagini della polizia. Non si tratta di polemizzare o chiedere le dimissioni di qualcuno. Tuttavia c'è qualcosa di inverosimile nel fatto che una banda, per quanto organizzata, possa restare senza volto e dominare il campo per tanto tempo. Resta infatti senza volto, nel senso che non se ne ha la più piccola traccia, e che non ne è stata fornita neppure una identificazione politica. E domina il campo, calibrando senza inciampi i propri movimenti segreti e pubblici. L'immaginazione della gente ne è colpita, la sfiducia nei poteri pubblici ne viene ingigantita. Un apparato dello stato ridotto così andrebbe riciclato da cima a fondo, in senso democratico. Una seconda considerazione riguarda i comportamenti delle forze politiche. L'intransigenza che tuttora prevale si spiega in molti modi, alcuni nobili e altri meno, ma si spiega soprattutto con la convinzione che un cedimento anche parziale non sarebbe che l'inizio di una frana generale. Gli intransigenti hanno insomma voluto opporre ai terroristi una trincea, innalzare una diga. Senonchè, risolvendo in questo modo il problema politico della risposta da dare ai brigatisti, hanno cancellato il problema altrettanto politico di come sottrarre Aldo Moro alla prigionia e alla morte. Hanno dichiarato guerra ai terroristi, ma non li hanno disarmati. Hanno negato riconoscimento al nemico, ma ne subiscono ogni giorno l'impresa. Hanno alzato la diga a valle, ma non sono intervenuti a monte. La conseguenza è che, anche a valle, la diga si incrina. La distinzione fra umano e politico si rivela fragile, perché con le lettere del prigioniero e con l'intervento della sua famiglia l'umano si fa politico e il politico si fa astratto; la difesa a testuggine regge male l'assedio, perché col partito socialista che si differenzia anche la maggioranza di governo vacilla. Una terza considerazione riguarda il clima psicologico che si diffonde. Tra gli effetti destabilizzanti raggiunti dalle Br, c'è quello di aver fatto perdere il senno o almeno l'equilibrio, a molti uomini pubblici e qualche direttore di giornale. La piaga nazionale delle contrapposizioni di bandiera, guelfi e ghibellini, bianchi e neri, falchi e colombe, dilaga. O il segretario del Psi è un avventuriero, o il presidente del Pri è un forcaiolo: chi non è con noi è contro di noi. Aldo Moro è oggetto di giudizi impetuosi quanto i suoi carcerieri, il suo nome è ormai per alcuni uno pseudonimo delle Brigate Rosse. Ogni cosa è degradata alla sua parodia, e il dramma degenera in intrigo. Così si diffonde la convinzione che i socialisti siano mossi solo dal calcolo elettorale, o la convinzione opposta che democristiani e comunisti profittino delle circostanze per stringere i tempi del compromesso storico in un quadro autoritario. E' peggio che seminare vento. Un'ultima considerazione riguarda l'incertezza di prospettiva. Se Moro tornerà libero, non si sa in che condizioni ciò avverrà, quali effetti produrrà, se e come tutta questa vicenda potrà essere riassorbita. Non si sfugge all'impressione che qualcuno, pur senza giungere ad augurarsi la morte del leader democristiano, pensi tuttavia che un rischio politico di un suo ritorno in circolazione sia, a questo punto, troppo alto. Ma se Moro fosse invece ucciso? Pochi sembrano credere a questa eventualità, ora che lo scenario sanguinoso di via Fani è distante. Mi auguro che questo ottimismo sia fondato, anche se non mi convince. Ma se così non fosse, non ci vuole molta immaginazione per capire che le ripercussioni di un così tragico epilogo sconvolgerebbero del tutto di quanto resta in piedi dell'ordine democratico. Può darsi che tutte queste conseguenze negative, una volta innescata la bomba del sequestro di Moro, fossero fatali. Può darsi che nessun artificiere potesse disinnescare un simile ordigno. Può darsi che non esistesse un'iniziativa possibile, che la via di una trattativa non si potesse imboccare e che si sarebbe rivelata altrettanto sterile o negativa. Dopo cinquanta giorni, tuttavia, mi sembra più evidente che mai che se il potere politico si fosse proposto, fin dall'inizio, di prendere il toro per entrambe le corna - il dovere di difendere le prerogative di questo stato, ma anche il dovere di farsi carico in termini politici della vita e della dignità di un cittadino e di un rappresentante di questo stato - avrebbe dato di sé un'immagine più convincente, più generosa e civile. E avrebbe forse evitato, se non una sconfitta, quell'ipnosi, quella schizofrenia e quelle lacerazioni cui un po' tutti siamo oggi preda.

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