Da La Repubblica del 18/03/1978

Queste ore tristissime

Quarantotto angosciose e tristissime ore sono passate dal massacro di Monte Mario e dal rapimento di Aldo Moro, durante le quali l'analisi delle conseguenze politiche di quel fatto ha ceduto il campo all'emozione, agli appelli alla concordia nazionale, alla necessità di una ferma reazione nei confronti degli eversori d'ogni risma, calibro e specie. Ma la politica, dopo un sia pur breve intervallo, spunta di nuovo e chiede il suo spazio. E spunta sotto la forma di almeno quattro questioni, che sarebbe difficile elencare in ordine d'importanza, tanto sono concatenate l'una all'altra e tutte di eguale peso sulla nostra situazione attuale. Le quattro questioni sono: 1) La nuova maggioranza parlamentare dopo il trauma del rapimento di Aldo Moro. 2) Le eventuali misure eccezionali di ordine pubblico che il governo dovrebbe prendere. 3) La Dc senza la guida del suo leader. 4) La risposta del governo all'eventuale richiesta d'uno scambio di prigionieri da parte delle Br. La nuova maggioranza. In realtà essa è nata soltanto pochi minuti dopo che si era diffusa la notizia dell'agguato. Fino a quel momento si era trattato di un accordo di vertice, raggiunto con procedure e contenuti assai discutibili e discussi. In seno alla Dc le opposizioni erano tutt'altro che placate ed alcuni parlamentari di quel partito erano fermamente decisi a rompere la disciplina nel voto di fiducia. Ma anche dentro al Pci gli umori, dopo lo "sgorbio" della lista ministeriale, erano tutt'altro che lieti, tant'è che la direzione del partito allargata ai direttivi dei gruppi parlamentari era stata convocata per le due del pomeriggio, subito dopo il discorso del presidente del consiglio e non era affatto garantito che la fiducia sarebbe stata concessa. Questo era lo stato dei fatti fino alle nove del mattino di giovedì. Alla base poi gli umori erano ancor più contrastanti e i dissensi più vivi. La notizia dell'agguato a Moro ha spazzato via d'un colpo le perplessità ed ha unito le forze politiche, al vertice e alla base, ancora una volta. Era uno spettacolo assai insolito vedere giovedì pomeriggio, nell'immensa piazza di San Giovanni in Laterano, a Roma, un mare di bandiere rosse e un mare di bandiere bianche democristiane sventolare insieme. Questi accostamenti non sono mai soltanto scenici, prova ne sia che fino a quel giorno una scenografia di quel genere non l'avevamo mai vista. In sostanza: la nuova maggioranza esce rafforzata dal terribile episodio e col proposito di lavorare a fondo, sul serio, con uno stile nuovo. Il perché è evidente: se così non avvenisse, la nuova maggioranza e tutta la classe politica sanno di essere condannate e, insieme con loro, la democrazia in Italia. Seconda questione: le misure eccezionali. Tutti sono persuasi che l'apparato di prevenzione e di repressione del terrorismo debba essere radicalmente riorganizzato. E tutti sono altrettanto convinti che le norme processuali che regolano questo tipo di giudizi debbano essere riviste affinché non lascino appigli pretestuosi all'ostruzionismo di chi del processo vuole servirsi come di una macchina contro lo Stato. Ma a questo punto, l'unanimità dei consensi s'interrompe e le opinioni si divaricano tra coloro che invocano misure eccezionali e innovative delle garanzie costituzionali e coloro che a tali misure sono decisamente contrari. Noi siamo tra quelli che riterrebbero estremamente pericoloso imboccare la via delle misure eccezionali, che nessun concreto risultato possono produrre nella lotta contro nemici clandestini e inafferrabili, rischiando invece di far "imbarbarire" le istituzioni, che è per l'appunto uno degli obiettivi su cui puntano i terroristi. Su questa stessa posizione abbiamo il conforto di veder schierati tutti i partiti di sinistra, la maggior parte della Dc e il governo al completo. Terza questione: lo stato della Democrazia cristiana senza Moro. Gli italiani, senza distinzione di classe e di opinioni, si augurano che Moro sia presto liberato e torni alle sue incombenze politiche. Ma nessuno si nasconde che l'assenza potrebbe essere lunga e molti temono il peggio. All'interno della Dc, in questo momento, c'è un solo uomo che possa sostituire Moro nella sua funzione di raccordo, di moderazione e al tempo stesso di stimolo, ed è Andreotti. Ma Andreotti è debole nel partito. Se Moro dovesse mancare a lungo, le forze centrifughe nella Dc rischierebbero d'accrescersi, con danno non soltanto di quel partito, ma per tutto il paese. Il vero punto nero della situazione politica attuale è soprattutto questo. Infine il problema dei prigionieri. Ieri ne abbiamo appena accennato. Non era ancora un problema attuale, si ignorava addirittura se Moro fosse vivo, non sembrava il caso di introdurre prematuramente nel dibattito un tema così crudele. Oggi però cominciano ad arrivare messaggi più attendibili dai rapitori. E' dunque venuto il momento di parlare con chiarezza su una questione così umana e così politica al tempo stesso, affinché su di essa non si creino dolorose lacerazioni. Lo scambio dei prigionieri non soltanto è impossibile, ma è addirittura improponibile. Le ragioni sono molte. Ma, almeno per ora, sembra superfluo elencarle tutte. Ne basti una sola, che non è neppure di principio ma di fatto: lo Stato rifiutò lo scambio quando fu chiesto per il giudice Sossi. Non può usare per il presidente della Dc un trattamento diverso da quello che fu deciso per un semplice magistrato.

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