Da La Repubblica del 22/04/1978

I vescovi, spiegano perché hanno i firmato l'appello proposto da "Febbraio '74" e pubblicato da Lotta continua

Lo Stato ora scelga il primato della vita

di Domenico Del Rio

"HO CREDUTO di interpretare esattamente l'impegno per la non violenza della nostra associazione", dice il vescovo d'Ivrea, "lo stesso impegno che viene espresso da Amnesty International e che conduce alla considerazione della centralità della vita umana. Non scendo ai particolari, i modi concreti non li saprei indicare, ma il nostro appello vuol dire un invito allo Stato Italiano a trovare il modo, pur nella salvaguardia delle sue strutture, di non sacrificare una vita umana. Questo non lo chiediamo per Moro il politico, lo statista, ma per l'uomo Moro, che in questo momento vediamo come simbolo di tutte le vite umane. Ma su questo punto, il nostro è anche un appello alle Brigate rosse. A loro che affermano di avere una visione diversa del futuro noi diciamo che una diversità non ci potrà essere se non terranno presente la centralità della vita umana". Filippo Franceschi, vescovo di Ferrara, dichiara, invece, di aver firmato per un "motivo affettivo". "La mia adesione nasce più dal cuore che dalla fredda ragione", afferma il vescovo ferrarese, "Se non avessi conosciuto il fratello di Moro, durante la mia permanenza a Roma, forse la mia pena non sarebbe così grande. Non conosco e non sento motivi politici. Questi sono estranei al mio stile di vescovo. Sono sulla stessa linea umanitaria e morale su cui si muove tutto l'episcopato italiano". Marlo Magrassi, il nuovo arcivescovo di Bari, dopo la partenza per Torino di Alberto Ballestrero, capeggia per autorità il gruppo dei vescovi firmatari pugliesi, ma è stato esitante prima di sottoscrivere. Aveva già rifiutato di firmare un analogo documento di Bari perché lo aveva giudicato troppo politico. Poi l'ha convinto il fatto che, pur partendo da diverse posizioni ideologiche, si convergeva in un atto urnanitario. Magrassi dice che il dilemma che viene posto allo Stato, "capitolare o no", è un dilemma che si pone anche dentro di lui come un'acuta sofferenza. Tuttavia, sostiene il vescovo di Bari, "è troppo drastico ridurre tutta la questione all'affermazione che lo Stato non deve cedere. E' dovere dello Stato anche non rinunciare a salvare l'uomo". Aldo Garzia, vescovo di Molfetta, ha già aderito con un telegramma a un altro appello pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno". A questo secondo appello ha aderito "per solidarietà umana e cristiana". "Non posso approvare questo assolutismo di Stato", prosegue il vescovo, "per me ciò che è importante è che si salvi una vita umana. Come, ciò in concreto si possa fare, io non lo so, ma ci saranno pure le persone adatte che sapranno risolvere questa drammatica situazione". "E' importante porsi sulla via delle trattative", sostiene Salvatore Isgrò, vescovo di Gravina, fratello di un ex deputato sardo moroteo, "senza, tuttavia, cedere a ricatti assurdi". Quali potrebbero essere i ricatti assurdi? "Quello, per esempio, di un riconoscimento ufficiale delle Brigate rosse da parte dello Stato. Ma se chiedessero denaro, immunità per qualcuno, ospitalità in altri paesi, non vedo perché non si dovrebbe trattare". Giuseppe Carata, vescovo di Trani e Barletta, da giorni gira i grossi centri della sua diocesi per organizzare riunioni di preghiere per la salvezza della vita di Moro. "Oltre tutto, è mio concittadino" dichiara il vescovo, "bisogna trovare una via privata, amichevole, per esempio la Santa Sede". La posizione del vescovo Carata è, infatti, intransigente per quanto riguarda l'atteggiamento dello Stato: "Lo Stato non deve trattare col suo personale nemico. Qui siamo di fronte a forze occulte, misteriose, che non usano la ragione, ma che mettono a repentaglio la vita della nazione. Lo Stato devo difendersi, perché lo Stato siamo tutti noi". Anche Michele Mincuzzi, vescovo di Santa Maria di Leuca, sostiene la non abdicazione dello Stato, ma a un certo punto il suo discorso prende una direzione tutta particolare, quella della giustificazione cristiana del sacrificio di una vita umana. "Gli italiani sono famosi per trovare sempre soluzioni brillanti", commenta il vescovo, "ma questa volta ci troviamo tutti a brancolare nel buio. E' chiaro, per me, che lo Stato non deve trattare. Si tratta tra eguali, tra chi ha la stessa dignità, non con chi si pone contro la nazione, con chi ferisce la comunità nazionale. E, tuttavia, io spero ancora di ottenere l'impossibile, forse l'inimmaginabile. Ma anche se ciò non avvenisse, cerco di capire questo mistero. Conosco Moro da 35 anni, il Moro cristiano che celebrava l'eucarestia tutti i giorni, cioè celebrava la passione di Cristo, e quindi sapeva portare dentro di sé questa dimensione drammatica cristiana. Io adesso immagino di dialogare con lui, con l'uomo intatto, non manipolato dalle Brigate rosse, e mi sento chiedere da lui come deve comportarsi, e io non so suggerirgli altro che la parola di Cristo: non c'è amore più grande che donare la vita per i propri fratelli. Io sono sicuro che la risposta a tutte le domande laceranti che ci poniamo in questo momento si trova nel cuore stesso di Moro. Se lui potesse parlare liberamente, direbbe: non pensate a me, io sono pronto al sacrificio, pensate al bene del popolo, continuate voi a vivere". Sul Moro manipolato e pronto al sacrifIcio non sembra, invece, d'accordo Gianni Baget Bozzo, uno dei più noti firmatari dell'appello, che sulla trattativa sta costruendo una sua filosofia politica. "Condurre le Br sul terreno della trattativa, non avendo ora alcun mezzo per isolarle e batterle militarmente", sostiene il teologo genovese "è una scelta politica, che rientra nei compiti e nella figura dello Stato. Aldo Moro si è sforzato di fare comprendere questa logica: e ritengo una menzogna il tentativo di fare passare delle tesi lucide mere estorsioni di una pesonalità moralmente distrutta. Rifiutare di trattare vuol dire dividere in due il paese, su un piano di principio. E i principi che si oppongono sono, da un lato, una concezione astratta dello Stato, che non può non isolarsi nella veste insostituibile del suo ordinamento, nato dalla Resistenza, dalla "ribellione per amore", e fondato sul primato della persona".

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