Da L'Unità del 19/04/1978

Editoriale

Un uomo torturato.

L'animo con cui siamo costretti a riprodurre - per un dovere di cronaca - la foto di Aldo Moro nelle mani dei suoi carcerieri è molto triste. Lo facciamo con il ribrezzo di chi tocca un documento maneggiato da assassini di mestiere. Queste sono belve che è perfino difficile paragonare ai fascisti. Dietro questa immagine, come dietro altre analoghe immagini conosciute negli anni scorsi, c'è un gioco ripugnante di ferocia e di cinismo, un pugno di fanatici manovrati da forze che stanno molto in alto, probabilmente anche al di fuori del nostro paese. Costoro non attentano solo alle pubbliche libertà ma a ciò che l'uomo ha di più suo: la dignità, il diritto di non essere considerato una cosa, una cavia. Guardate questa foto. E' l'immagine di un uomo che i suoi rapitori si ripromettono di martirizzare, in una di quelle tragiche farse cui danno i nomi di processi; e ciò per far durare più a lungo la sfida alla democrazia italiana e all'onore di questa Repubblica. Ma per far questo non hanno bisogno che giornali e TV si trasformino in casse di risonanza dei loro farneticanti messaggi. Ieri questo è, purtroppo, accaduto. Alcuni giornali hanno riempito le loro prime pagine di queste foto e di questi messaggi ripugnanti senza trovare il modo di dire una parola, una condanna. E noi - dobbiamo dirlo - siamo rimasti più che stupefatti avviliti. Osano persino, queste belve, scrivere nei loro messaggi la parola “popolo”. E' tra tante parole deliranti quella che, in bocca loro, suona come la più oscena. Che cosa c'entrano essi con il popolo? Il popolo è buono, è umano, è giusto. Il popolo si è raccolto ieri attorno alle bare degli agenti e dei carabinieri assassinati. Chiede di essere liberato dalle bande terroristiche. Vuole vivere, e progredire in pace.

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