Da Nigrizia del 18/03/2004

“Vogliamo i nomi dei mandanti”

I genitori sono convinti che dietro il delitto ci sono precise responsabilità somale e italiane. Affidano le loro speranze di verità alla commissione d’inchiesta che ha iniziato ad operare lo scorso febbraio.
Somalia, 2 / Parlano Giorgio e Luciana Alpi

di Raffaello Zordan

Una commissione monocamerale d’inchiesta sull’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, dieci anni dopo quel 20 marzo 1994: i lavori sono iniziati l’11 febbraio con la vostra audizione. Com’è andata e che cosa vi aspettate?

Questa commissione è stata richiesta dall’onorevole Valerio Calzolaio dei Democratici di sinistra. Va sottolineato che quando il presidente della Camera, Pierferdinanado Casini, l’ha presentata, è stata approvata all’unanimità: 404 voti. Questo è un segnale importante che si è ripetuto durante la prima audizione. Il presidente della commissione, Carlo Taormina di Forza Italia, ha dichiarato che bisogna mettere al bando le idee politiche ma cercare soltanto la verità. Siamo stati ascoltati con molta attenzione, mia moglie ed io abbiamo presentato una relazione e abbiamo notato che i componenti della commissione erano molto informati sulla vicenda, hanno fatto domande molto precise e documentate. Abbiamo ricordato ai commissari che per noi questa è l’ultima spiaggia, sono dieci anni che lottiamo per avere la verità sulla morte di Ilaria e di Miran Hrovatin. Ci auguriamo che sia un buon inizio e che continui.

Qual è il vostro parere sulla verità processuale?

Finora una sola persona, Omar Hashi Hassan, è stato processato e condannato. Non siamo dei giudici e non cerchiamo vendetta. Abbiamo sempre detto che i dati presentati al processo non sono, secondo noi, sufficienti per condannare questo ragazzo somalo. Il quale, fra le altre cose non è neanche sceso dal mezzo e non ha sparato; sarebbe stato solamente presente sul mezzo su cui erano i sicari. Chiaro, non spetta a noi questo giudizio. Tuttavia bisogna ricordare che nel primo processo il giudice aveva concluso dicendo che l’imputato era una vittima sacrificale. Non vogliamo dare giudizi, vogliamo sapere chi sono i mandanti di questa uccisione. E sappiamo che sono mandanti somali e italiani. Vogliamo i nomi.

Nel libro L’esecuzione scritto da voi, da Mariangela Gritta Grainer (già membro della commissione parlamentare d’inchiesta sulla cooperazione) e dal giornalista Rai Maurizio Torrealta, è espresso un punto di vista molto netto sulla vicenda: non è stata una fatalità, una casualità. Oggi quel punto di vista è cambiato o si è rafforzato?

Siamo rimasti fermi. E ormai nessuno mette più in dubbio che Ilaria stesse conducendo un’inchiesta sui rifiuti tossici e sui traffici d’armi. Ora vedrà la commissione. Ricordiamo che è in corso anche un’altra commissione, quella sui rifiuti tossici, che ci ha già ascoltati. Sappiamo che questa commissione è già molto avanti nelle sue ricerche. Qualche tempo fa, Famiglia Cristiana, che ci è stata vicina in modo particolare, ha sentito l’ingegnere che costruì la strada Garoe-Bosaso (realizzata dalla cooperazione italiana e terminata nel 1990 con un costo di 260 miliardi di lire: Nigrizia, 1/93, 30, ndr), il quale parla di richieste fatte all’epoca perché si interrassero rifiuti tossici lungo il percorso della strada, che è poi la strada Ilaria ha fatto per andare a Bosso.

L’inchiesta condotta in questi anni da tre giornalisti di Famiglia Cristiana e il libro (Ilaria Alpi. Un omicidio al crocevia dei traffici) che ne è scaturito hanno introdotto un altro elemento nello scenario somalo: la mafia dei rifiuti. Che cosa ne pensate?

Questi tre giornalisti hanno tirato fuori informazioni molto interessanti. Hanno fatto delle inchieste molto dettagliate correndo anche dei rischi personali, sono andati a Mogadiscio. Vorrei ricordare che padre Alex Zanotelli quando morì Ilaria disse una frase tremenda: ricordatevi che forse uno dei proiettili che ha colpito Ilaria era italiano. E quella frase di padre Alex, con quale abbiamo un rapporto di stima e di affetto, credo che, purtroppo, racchiuda una verità.

Dieci anni non sono trascorsi nel silenzio. Ci sono state appunto inchieste, libri, film, una certa mobilitazione dell’opinione pubblica; c’è il premio giornalistico intitolato ad Ilaria. Qual è il vostro bilancio?

Sono stati dieci anni difficili per noi, anni di lotta continua, di notizie che arrivavano spezzettate e che riaprivano ferite. Ma quello che ci ha sostenuto – e non voglio enfatizzare – è stata l’opinione pubblica. Ancora adesso mia moglie ed io siamo fermati per la strada, ci dicono “non fermatevi”, “non rinunciate”, “continuate”.

Avete contatti con i famigliari di Miran Hrovatin?

Inizialmente sì, ma poi non l’abbiamo più sentita. La moglie di Hrovatin preferisce non parlare più di questa cosa. Anche lei è sta interrogata dalla commissione monocamerale.

Che idea vi siete fatti del film Il più crudele dei giorni di Ferdinando Vicentini Orgnani, tratto dal vostro libro?

Abbiamo vissuto la storia di questo film man mano che si svolgeva. In fondo eravamo un po’ dei consulenti. Secondo noi è un’opera molto veritiera e molto seria, nel senso che è molto vicina a quello che è lo spirito di Ilaria. Giovanna Mezzogiorno si è impossessata perfettamente della figura di Ilaria, a tal punto che vedendo il film rivedevamo Ilaria in molti momenti. A noi è piaciuto molto. Prima di abbassare la cornetta, Giorgio Alpi aggiunge: «Voglio dirvi grazie a nome mio e di Luciana. Grazie perché, dato l’amore che Ilaria aveva per l’Africa e per la Somalia, avere vicino voi di Nigrizia è stata una cosa molto importante. Vi ringraziamo e vi abbracciamo».

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