Da Tibereide del 14/12/2003

Chi ha bloccato l'inchiesta sulla morte del maresciallo Li Causi?

Tornano i fantasmi della missione Ibis in Somalia

di Maria Lina Veca

E' stato Antonio Maria Mira, giornalista de "L'Avvenire" che già si era lungamente occupato dei molti "misteri" legati alla missione in Somalia, a far riesplodere gli interrogativi su una delle morti più oscure che hanno segnato la presenza italiana nella disgraziata missione IBIS.
Il maresciallo Li Causi, ucciso in Somalia da una "pallottola vagante" il 12 novembre 1993 (scortava un camion civile che trasportava "civili somali", ma non si è mai saputo chi stesse veramente scortando; ci fu anche una prima versione che parlava di "agguato di banditi somali") e poi insignito di medaglia d'oro (per la pallottola vagante?) non era un militare "qualunque": era un agente superspecializzato del Sismi, era istruttore di Gladio, dirigeva il Centro Scorpione a Trapani, uno dei punti più importanti di "Stay Behind", era stato attivato nella ricerca del Generale americano Dozier, rapito dalle B.R., inviato da Craxi in Perù nel corso dell'Operazione Lima. Sulla sua morte, su quella pallottola vagante, c'è sempre stato un muro totale di silenzio: ora uno squarcio, aperto dalle dichiarazioni del sostituto procuratore Franco Ionta, ascoltato recentemente dalla commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nel corso dell'indagine sui possibili legami fra traffici illeciti di rifiuti tra Italia e Somalia e la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
La rivelazione di Mira è legata a quanto avrebbe rivelato il sostituto Ionta sull'indagine Li Causi: "il P.M. Ionta, il 26 giugno 1999, ha "dovuto" chiedere l'archiviazione del caso. E il termine "dovuto" -scrive Mira - non è casuale. Infatti, per ben due volte, il magistrato, come si legge nel documento di archiviazione, ha chiesto "al Ministro di Grazia e Giustizia" determinazioni per procedere in Italia" secondo quanto previsto dall'art. 10 del Codice Penale, "ricevendo risposta negativa". " Quindi per l'omicidio Li Causi il Guardasigilli ha negato l'autorizzazione ad indagare sul presunto assassino. Quale Guardasigilli? prima Flick, poi Diliberto. Eppure il nome dell'assassino (presunto) era noto al P.M. Inoltre Ionta afferma che ci furono altri strani "stop" nella vicenda Li Causi: ad esempio, la notte stessa dell'omicidio, i militari italiani non attuarono alcun rastrellamento nella zona in cui era avvenuto il fatto. Lo testimoniano i responsabili del G2 (la cellula informativa e di intelligence) il Colonnello Carmelo Ventaglio e il Tenente Colonnello Giuseppe Attanasio.
Quando si concluse il processo d'appello per la morte di Ilaria Alpi, Frattini, allora Ministro della Funzione Pubblica, dichiarò a gran voce la volontà governativa di fare luce sulla sanguinosa vicenda somala: "Il Governo intende fare chiarezza sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avvenuto nel 1994 a Mogadiscio, ma non può imporre ai servizi segreti o alla polizia giudiziaria di rivelare una fonte quando essi ritengano di non rivelarla." Così parlò alla Camera dei Deputati Franco Frattini. A che si riferiva Frattini? In primo luogo, al Direttore del SISDE, prefetto Mario Mori, che, durante il processo per "l'esecuzione" di Ilaria e Miran davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Roma –conclusosi con la condanna del somalo Hassan, uno degli "esecutori", a 26 anni di carcere, ma senza nessuna identificazione dei "mandanti"- aveva confermato l'esistenza di rapporti del SISDE, nei quali si faceva riferimento all'organizzazione dei due omicidi da parte di un gruppo di mandanti. A Mori era stato chiesto se intendesse rivelare la fonte delle notizie: il prefetto aveva rifiutato "per motivi di sicurezza", rifacendosi all'Art. 203 del Codice di procedura penale, che consente ad ufficiali di polizia di mantenere il segreto sulle fonti informative. Ancora una volta, il nodo di tutto è una gestione "malata" del segreto, un appello indiscriminato alla "ragion di Stato", per perpetuare una cortina di silenzio e di depistaggi. Ed ecco Frattini, assicurare che "il Governo è fermamente intenzionato a porre in essere ogni azione necessaria a fare chiarezza sull'omicidio. In tal senso – prosegue Frattini – il Presidente del Consiglio non ha mai ritenuto di apporre il segreto di Stato nell'ambito del processo penale in corso. E il Governo intende affermare che, ove necessario, provvederà a rimuovere vincoli di segretezza che possano frapporsi al perseguimento della verità, e dei quali, in base alla normativa vigente, può assumersi la piena responsabilità politica." E' quell'inciso "ove necessario" – che lascia pensierosi: chissà se si ravvisa "necessario" rimuovere gli ostacoli al raggiungimento di una verità che, dal 20 marzo 1994, è offuscata da un mare di "non ricordo", "parlerò quando sarò in pensione", da versioni ufficiali smentite da fatti e testimoni, da ricostruzioni lacunose e bugiarde…Frattini diceva ancora: " Il segreto cui si fa riferimento è stato apposto sia dal SISDE che dalla polizia giudiziaria di Udine, in base all'applicazione dell'Art. 203 del Codice di procedura penale. Si tratta di una disposizione che affida l'apposizione del segreto sull'identità della fonte alla esclusiva discrezionalità del servizio informativo o della polizia giudiziaria, senza che l'autorità politica o i superiori gerarchici possano obbligare un diverso comportamento." Commenta Falco Accame: " La questione del diritto a non rivelare le fonti non è così semplice come la mette Frattini!" e continua così "…Se si conoscono, e da anni, i nomi dei mandanti, perché non sono state fatte indagini per confermare o meno l'attendibilità delle fonti? Comunque il problema è di conoscere chi sono i mandanti, e ciò indipendentemente dalle fonti che li hanno rivelati…"
Ma c'è la possibilità che quei mandanti non appartengano ad una storia lontana, ma abbiano radici ed interessi attuali in Somalia, c'è la possibilità che trincerarsi dietro "la ragion di Stato" serva ancora a coprire una rete di "affari" che parte da lontano e arriva fino ai nostri giorni…all'epoca di IBIS, ci fu chi volle a tutti i costi che l'Italia entrasse nella missione, forse anche alla ricerca di un'operazione di immagine, nel quadro di un allargamento dei paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, tesa anche a riscattare definitivamente Roma dall'ombra della passata complicità con Siad Barre. Ricordiamo qualche passaggio che portò alla missione IBIS. Gli italiani si trovarono dapprima a rincorrere gli americani per acquistare "con versamenti in dollari" la benevolenza del capo degli Habr gedir Aidid, poi - con la fase UNOSOM II e il passaggio del comando americano dal filo-Aidid Oakley all'Ammiraglio Howe, furono ancora una volta spiazzati dal nuovo corso della missione che si apre "appunto con l'intimazione alle bande tribali di consegnare i fucili". realtà, UNOSOM II ereditò tutti i problemi non risolti dalla prima fase, "Restore Hope": non furono intaccati gli interessi economici dei "signori della guerra" , non venne bloccato il traffico delle armi né il sistema delle estorsioni, né la conflittualità fra bande. La situazione degenerò il 5 giugno 93, quando un reparto di caschi blu pakistani cadde in un'imboscata dei miliziani di Aidid nei pressi di Radio Mogadiscio. "Accerchiati -scrive Mauro Merosi- chiedono aiuto alla base UNOSOM . Questa incarica il contingente italiano di gettarsi nel combattimento. E' a questo punto che avviene il disastro e che si consuma la frattura- che poi diverrà insanabile- tra l'ONU e la missione italiana…fino ad arrivare a venerdì 2 luglio 1993, "il venerdì nero dell'Ibis", del quale giorni fa si è celebrato il 9° anniversario, con cerimonie e commemorazioni in tutta Italia per ricordare i tre militari italiani morti al Check-point "Pasta", il sottotenente dei Lancieri Andrea Millevoi, il Sergente Maggiore degli Incursori Stafano Paolicchi, il paracadutista Baccaro. Così lo raccontano Porzio e Simoni in "Inferno Somalia": "una normale operazione di rastrellamento che coinvolge 800 soldati si trasforma, all'improvviso, in un'azione di guerra. Si combatte nelle strade sterrate intorno al pastificio: gli uomini armati si riparano dietro donne e bambini. Un'imboscata in piena regola. Allo stupore seguono momenti di sbandamento. Dal comando arrivano ordini contraddittori: avanzate, ritiratevi. I paracadutisti sparano i lacrimogeni, ma i miliziani usano armi pesanti e kalashnikov. La notizia arriva in Italia come una bomba": tre soldati sono rimasti uccisi negli scontri, gli italiani hanno perso due posti di blocco, il Pasta e il Ferro, che recupereranno solo dopo alcuni giorni di trattative". più di un testimone me lo confermato… era la prima volta che le nostre forze militari si trovavano impegnate a livello operativo, e i comandi erano impreparati, sia il comando UNOSOM che quello italiano. Le polemiche scoppiate intorno alla missione IBIS 2 coinvolsero tutti gli schieramenti politici, dando vita anche ad accesi dibattiti nell'ambito delle Commissioni parlamentari: e la storia potrebbe ripetersi, perché anche adesso, si parla di interventi per fini militari ma, anche, e soprattutto, umanitari…la stessa cosa che si disse nel 92/93, e sappiamo che la missione umanitaria, anche allora, si è trasformata in una vera e propria missione di guerra, che nessun sollievo ha portato alla popolazione civile…anzi! La Somalia è ancora, come allora, un inferno, dove domina l'odore della morte, dove si uccide per una bottiglia d'acqua, dove si baratta tutto e tutto si compra per pochi dollari, dove i pozzi sono proprietà privata, dove parlare di assistenza sanitaria è una follia, e quel poco che esiste è affidato all'eroismo di organizzazioni di volontari. Le polemiche su Ibis esplosero anni dopo la nostra presenza in Somalia, presenza che causò contrasti accesi con il contingente americano. questo riguardo, citiamo ancora Merosi che dice espressamente " l'atteggiamento che caratterizza la partita italiana in Somalia è il costante spiazzamento di fronte ai comportamenti dei due principali giocatori USA e ONU. momento dello sbarco ( 4 gennaio 1993 n.d.A.) i capi della nostra missione sono convinti di dover imporre il disarmo delle bande armate , condizione indispensabile per ogni ricomposizione di un tessuto di convivenza e di sviluppo civile. L'Italia si trova invece immessa in un gioco che ha già trovato le sue regole . dire che Oakley , il rappresentante americano, parteggia chiaramente per ".Somalia si trova tuttora fra gli ultimi Paesi del mondo nella classifica relativa all'indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite.
Si aprirà qualche spiraglio di verità sui tanti misteri di IBIS, a cominciare da quelli che avvolgono l'esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, lo strano omicidio del "gladiatore" maresciallo Li Causi? "Il Governo è intenzionato - aveva dichiarato Frattini - se vi siano documenti, elementi o qualsiasi fatto conosciuto dai nostri servizi e non ancora acquisito o trasmesso alla Magistratura , a segnalare immediatamente tramite il Cesis, la necessità che nessun archivio esistente possa contenere elementi utili e non ancora noti alla Magistratura. Ciò al fine di un indispensabile accertamento della verità…". E allora chi ha bloccato le indagini sulla morte di Li Causi?

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