Da La Repubblica del 26/08/2005
Vent'anni fa venne ucciso l'avvocato milanese
Giorgio Ambrosoli l'uomo che sfidò Sindona e la mafia
di Giorgio Bocca
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Sono passati venti anni dal giorno in cui "un eroe borghese" è stato assassinato a Milano. Questo è il titolo che Corrado Stajano ha dato alla biografia di Giorgio Ambrosoli l'avvocato milanese ucciso con tre colpi di rivoltella, l'11 luglio del 1979, da un sicario del banchiere mafioso Michele Sindona. Assassinato sulla porta di casa al termine di una lotta impari durata cinque anni fra quel "borghese", o si potrebbe dire fra quel cittadino quasi solo, e la grande rete di poteri sommersi che proteggevano Sindona, la Mafia, la P2, la finanza vaticana dello Ior, la Democrazia cristiana di Andreotti, gli ufficiali e i magistrati corrotti, i circoli americani più reazionari. Un avvocato di Milano serio, intransigente di "brutto carattere" come dicevano quelli che non riuscivano a comprarlo. Una di quelle persone che da sole contraddicono la società in cui vivono, i suoi vizi, le sue paure. E che non fanno disperare nella pianta storta dell'uomo.
Cinque anni di lotta impari in cui l'avvocato milanese sa che la sua vita è appesa a un filo. La moglie Annalori un giorno ha trovato fra le sue carte una lettera testamento. "Qualunque cosa succeda, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia e nel senso trascendente che io ho verso il paese, si chiami Italia si chiami Europa. Riuscirai benissimo ne sono certo perché tu sei molto brava e perché i tre ragazzi sono uno meglio dell'altro. Sarà per te una vita dura ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai sempre il tuo dovere".
Un avvocato milanese che si occupa di ispezioni bancarie, vissuto nelle intricate e anche sporche vicende dell'alta finanza, ma in questa sua lettera c'è il tono alto, il distacco etico, anche se è difficile dirlo di questi tempi, dei condannati a morte della Resistenza. Di eroi veri ce ne sono pochi in giro, di eroi borghesi pochissimi. Perché Giorgio Ambrosoli teme di venir assassinato? Perché nel settembre del '74 il governatore della Banca di Italia Guido Carli lo ha scelto come commissario liquidatore della Banca privata italiana, una delle banche di Michele Sindona. Perché lui e non altri? Forse per il buon lavoro fatto per il fallimento della Sfi una finanziaria milanese, forse su suggerimento del banchiere Tancredi Bianchi.
Lo sconosciuto avvocato Giorgio Ambrosoli contro uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo... Si potrebbe dire un uomo normale se gli uomini come lui non fossero una rarità. Sindona è uno dei siciliani che hanno fatto fortuna a Milano perché la Milano dei soldi sa come crescere anche certi uomini arrivati dal profondo sud con i sandali ai piedi come Virgillito, uomini intelligenti, tranquillamente amorali pronti a trovare con i loro pari affinità elettive automatiche, anche se non trasparenti. Pronti ad aprire nuove strade speculative anche per i rispettabili cumenda dell'"Ambrogino d'oro". E con l' intelligenza spregiudicata che non guarda in faccia nessuno, che mira a un unico scopo: fare denaro, farlo in fretta, farlo con l'astuzia e con le protezioni che occorrono. C'è una intervista di Sindona a un giornalista americano in cui dettagliatamente, senza nessuna esitazione moralistica, spiega come si possa depositare del denaro sporco a Hong Kong dove giocando sul cambio dello Yen, "un uomo che abbia una certa esperienza di questo sistema può in pratica rendere puliti centinaia di milioni di dollari in un tempo relativamente breve".
Milano scopre Sindona quando Time esce con la sua fotografia in copertina e in una lunga intervista lui spiega come stia diventando il maggior venditore mondiale di succhi di frutta. Sindona è un siciliano arrivato, a Milano e gli Stati Uniti, i due luoghi del potere e del successo del "business" degli uomini di onore. L'uomo è riservato, segreto, non è facile avvicinarlo, ascolta in silenzio con il suo volto pallido, lo sguardo da faina e continua con le sue mani a fare dei complicati giochini di carta. Di certo ha messo assieme una immensa fortuna, la Banca Unione e la Banca privata a Milano, la banca Franklin a New York e la Fasco una finanziaria padrona di centinaia di aziende.
Quando Ambrosoli entra per la prima volta nello studio privato di Sindona, nel settembre del ' 74, incomincia a capire il personaggio, la sua megalomania, il piacere dei grandi banchieri di apparire raffinati nel giro delle speculazioni, staccati dalla volgarità del tempo, imbattibili nelle cose concrete ma con gusti eleganti: Raffaele Mattioli il signore della Commerciale edita testi critici della letteratura italiana, con il plauso di Togliatti anche lui cultore del Dolce stil nuovo. Lo studio è nel cuore del capitalismo italiano di fronte alla Banca commerciale, vicino al Banco Ambrosiano e alla Mediobanca di Cuccia. E' il suo santuario: una statuetta lignea di Francesco Laurana, un busto del Pollaiolo, un fratino del sedicesimo secolo come scrivania e lui magro e pallido come un trappista. In fondo una porticina che conduce in un sottotetto dove per anni sono state nascoste le carte più delicate. Ma dentro, quando arriva Ambrosoli il commissario liquidatore, non c'è più niente, le carte sono sparite. Sindona è un uomo misterioso anche perché chi dovrebbe scoprire i suoi segreti finge di non sapere, di non vedere.
Nel '72 è arrivata alla questura di Milano una informativa del Criminal police office di New York in cui si dice che Sindona è in stretti rapporti di affari con un certo Daniel Anthony Porco per un traffico di stupefacenti. Ma Sindona è uomo al di sopra di ogni sospetto: è stato invitato da Paolo VI a rimettere ordine nelle finanze vaticane; durante un ricevimento al Saint Regis di New York, Andreotti lo ha salutato come "il salvatore della lira". Più è nei guai, più la revisione di Ambrosoli dimostra che le banche di Sindona sono prossime all'insolvenza e più i suoi difensori trovano ascolto presso il nostro governo: due italo-americani amici di Gelli vengono ricevuti da Andreotti, parlano con lui un ora e mezzo, sono i rappresentanti degli italo-americani cari al nostro capo del governo. Sono preoccupati che un così illustre e benefico concittadino venga messo sotto accusa dai "comunisti".
Veramente Ambrosoli è il figlio di un conservatore monarchico e lui è un cattolico amico di cattolici ma lo si dipinge come un sovversivo. E intanto il banchiere Sindona già colpito da un mandato di cattura con richiesta di estradizione dagli Stati Uniti scrive ad Andreotti da una suite del Waldorf Astoria: "Illustre presidente, nel momento più difficile della mia vita sento il bisogno di rivolgermi direttamente a lei per ringraziarla dei rinnovati sentimenti di stima che ella ha recentemente manifestato". Segue un elenco di tutto ciò che il governo italiano deve fare per coprire la bancarotta e i debiti ed evitargli le grane giudiziarie. Come se nulla fosse, Sindona continua a tener conferenze nelle università americane impartendo lezioni di moralità e di oculatezza. Ma Ambrosoli non si lascia intimidire. Presenta alla Banca d'Italia la sua prima relazione sul passivo della Banca privata italiana: 417 miliardi più un prestito di seicento miliardi della Germania federale garantito dalla Banca di Italia. L'isolamento di Ambrosoli aumenta, trova solo persone che gli danno suggerimenti vaghi, assicurazioni generiche. Un giorno dice a un amico: "Mi vogliono bruciare, mi vogliono far fuori? Vogliono uno che non riesca a mettere le mani e gli occhi dove vanno messi?".
Se cerca di sapere qualcosa sullo Ior, la banca vaticana, incontra un muro di gomma. Nell'ottobre del '75 riesce però a mettere le mani sulle carte della Fasco e questa volta Sindona si infuria, lo denuncia alla magistratura e all'Ordine degli avvocati della Banca d'Italia, accusandolo di avere rubato le azioni della finanziaria e incomincia a mandargli i suoi messaggi di morte: "La vendetta e più bella quando è lontana". Un giornalista chiede a Ambrosoli: "Perché si parla di lei come del nemico di Sindona?" Risponde: "E' molto semplice mi pare, sono diventato il nemico di Sindona ma non l'amico dei potenti. Ho dovuto pestare i piedi a troppa gente che sta nel Palazzo. Per esempio ecco l'ultima pratica. Qualche giorno fa mi sono rivolto al tribunale per farmi restituire dall'Irades i dieci milioni che ebbe da Sindona. Vuol sapere chi è il presidente di questo istituto di studi sociologici? E' l'onorevole Piccoli che i dieci milioni li ebbe direttamente da Sindona, ma che ora dice di non doverli restituire".
Così poco Ambrosoli si fida dei nostri governanti che dovendo consegnare la relazione sul crak Sindona a una decina di uffici, temendo che ci sia una fuga di notizie fa scrivere in ogni copia un errore di battitura diverso e conserva le varianti in luogo sicuro. Alla fine del dicembre '78 incominciano le telefonate con minacce di morte. Il 26 Ambrosoli annota: "Mi cerca quattro volte al telefono, in studio prima e in banca poi, tale Cuccia. Lamenta che in Usa non avrei detto la verità su Michele Sindona. Devi tornare là entro il 4 gennaio con i documenti veri perché se Michele Sindona viene estradato tu non campi". E il 5 gennaio del '79: "Ritelefona due volte il soggetto che si è presentato a nome Cuccia. Stavolta a nome Sarcinelli. Insiste perché vada in Usa e dice che il 15 gennaio può intervenire l'estradizione. Altre telefonate in cui "il Picciotto" dice che Andreotti trama contro di me. Entra in funzione il controllo telefonico ma credo che ci sia poco da contarci". L'ultima telefonata è del 12 gennaio del 79 e così la riferisce Stajano nel suo Un eroe borghese: ""Pronto avvocato". Ambrosoli: "Buon giorno". "L'altro giorno ha voluto fare il furbo? Ha fatto registrare la telefonata". A: "Chi glielo ha detto?" "Eh sono fatti miei chi me lo ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più". A: "Non mi salva più?" "Non la salvo perché lei è degno di morire ammazzato come un cornuto. Lei è un cornuto e bastardo"".
Le telefonate cessano, Sindona ha deciso di far uccidere Ambrosoli. E qualcosa trapela ai figli: il più piccolo, Beto, dice di aver sentito una notte una di quelle telefonate e scoppia in pianto. Ambrosoli cerca di tranquillizzarlo: "Stai tranquillo Beto io morirò vecchietto nel mio letto di Ronco". Il 13 giugno del '79 un commesso della Banca privata scende in cantina dove è conservata una parte dell'archivio e trova una rivoltella, pezzi di una rivoltella segati. E' un segnale? Pochi giorni dopo arrivano a Milano i giudici americani che si occupano di Sindona. Ambrosoli viene inquisito come se fosse lui il bancarottiere. Risponde preciso, con calma.
Intanto il killer William J. Aricò e già arrivato a Milano. Aricò è stato presentato a Sindona da Robert Venetucci un trafficante di eroina. Aricò ha preso alloggio all' hotel Splendido vicino alla stazione centrale. La mattina dell'11 luglio Aricò noleggia una Fiat 127 targato Roma. A bordo di quella macchina Aricò aspetta per ore davanti al portone di via Morozzo della Rocca che Ambrosoli esca. Tre colpi di pistola rimbombano a mezzanotte. Aricò restituisce la macchina il giorno dopo all'agenzia Maggiore e paga con una carta di credito americana. Sarà arrestato l'8 dicembre mentre rapina una gioielleria di New York. Aricò muore il 19 febbraio dell'84 mentre sta tentando di evadere dal carcere. Poco prima ha confessato a un giudice americano di essere l'assassino di Ambrosoli. Il prezzo pagato da Sindona è di venticinquemila dollari versati poco prima del delitto e novantamila accreditati su una banca di Lugano.
Michele Sindona e Robert Venetucci sono stati condannati all'ergastolo.
Ho assistito a quel processo a Milano: Sindona indossava un abito scuro, aveva un'aria spiritata, i pochi capelli ritti in testa. Entrò nella gabbia dove già si trovava il suo complice e mormorò un "How are you Venetucci"? L'altro non rispose. Lo osservavo da pochi metri: aveva un suo taccuino in pelle scura e vi scriveva continuamente chi sa cosa, come se potesse fare qualcosa contro le prove schiaccianti. Nessuno ha spiegato la morte di Aricò, invece la morte di Sindona è un mistero senza misteri nella esecuzione: è stato avvelenato con un caffè nel carcere, il secondino che gli ha portato il caffè non è stato inquisito, era arrivato pochi giorni prima da un istituto di pena siciliano. I potenti si sono tolti dai piedi un testimone pericoloso uno che avrebbe potuto raccontare molte cose sul loro conto.
Nel delitto Ambrosoli si ritrovano alcuni personaggi di oscure vicende italiane: Licio Gelli, Giulio Andreotti, Franco Evangelisti, il giornalista ricattatore di Op. Il professor Marco Vitale ha scritto in morte di Ambrosoli: "L'assassinio di Ambrosoli è il culmine di un certo modo di fare finanza, di un certo modo di far politica, di un certo modo di fare economia. I magistrati inseguono esecutori e mandanti del delitto, ma dietro ci sono i responsabili, i responsabili politici. E questi sono tutti coloro che hanno permesso che la malavita crescesse e occupasse spazi sempre più larghi nella nostra vita economica e finanziaria, e questi sono gli uomini politici che definirono Sindona salvatore della lira, sono i governatori della Banca di Italia che permisero che i Sindona penetrassero tanto profondamente nel tessuto bancario italiano, pur avendo il potere e il dovere di fermarli per tempo; sono i partiti che presero tangenti formate da denari rubati ai depositanti sapendo esattamente che di questo si trattava: sono quelli il cui nome è scritto nella lista dei cinquecento che hanno nascosto i soldi oltre frontiera, tutti quelli che da venti anni al vertice della politica e della economia hanno perso persino il senso di cosa sia la professionalità, cioè il subordinare la propria fetta di potere piccola o grande che sia, agli scopi dell'ordinamento, delle istituzioni, della propria arte o professione, all'interesse pubblico".
L'avvocato Ambrosoli ha vinto o perso la sua scommessa sulla onestà? Personalmente l'ha vinta, storicamente l'ha persa. Negli anni passati dalla sua morte l'integrazione nel male, la "facilità del male" sono aumentate non diminuite.
Cinque anni di lotta impari in cui l'avvocato milanese sa che la sua vita è appesa a un filo. La moglie Annalori un giorno ha trovato fra le sue carte una lettera testamento. "Qualunque cosa succeda, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia e nel senso trascendente che io ho verso il paese, si chiami Italia si chiami Europa. Riuscirai benissimo ne sono certo perché tu sei molto brava e perché i tre ragazzi sono uno meglio dell'altro. Sarà per te una vita dura ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai sempre il tuo dovere".
Un avvocato milanese che si occupa di ispezioni bancarie, vissuto nelle intricate e anche sporche vicende dell'alta finanza, ma in questa sua lettera c'è il tono alto, il distacco etico, anche se è difficile dirlo di questi tempi, dei condannati a morte della Resistenza. Di eroi veri ce ne sono pochi in giro, di eroi borghesi pochissimi. Perché Giorgio Ambrosoli teme di venir assassinato? Perché nel settembre del '74 il governatore della Banca di Italia Guido Carli lo ha scelto come commissario liquidatore della Banca privata italiana, una delle banche di Michele Sindona. Perché lui e non altri? Forse per il buon lavoro fatto per il fallimento della Sfi una finanziaria milanese, forse su suggerimento del banchiere Tancredi Bianchi.
Lo sconosciuto avvocato Giorgio Ambrosoli contro uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo... Si potrebbe dire un uomo normale se gli uomini come lui non fossero una rarità. Sindona è uno dei siciliani che hanno fatto fortuna a Milano perché la Milano dei soldi sa come crescere anche certi uomini arrivati dal profondo sud con i sandali ai piedi come Virgillito, uomini intelligenti, tranquillamente amorali pronti a trovare con i loro pari affinità elettive automatiche, anche se non trasparenti. Pronti ad aprire nuove strade speculative anche per i rispettabili cumenda dell'"Ambrogino d'oro". E con l' intelligenza spregiudicata che non guarda in faccia nessuno, che mira a un unico scopo: fare denaro, farlo in fretta, farlo con l'astuzia e con le protezioni che occorrono. C'è una intervista di Sindona a un giornalista americano in cui dettagliatamente, senza nessuna esitazione moralistica, spiega come si possa depositare del denaro sporco a Hong Kong dove giocando sul cambio dello Yen, "un uomo che abbia una certa esperienza di questo sistema può in pratica rendere puliti centinaia di milioni di dollari in un tempo relativamente breve".
Milano scopre Sindona quando Time esce con la sua fotografia in copertina e in una lunga intervista lui spiega come stia diventando il maggior venditore mondiale di succhi di frutta. Sindona è un siciliano arrivato, a Milano e gli Stati Uniti, i due luoghi del potere e del successo del "business" degli uomini di onore. L'uomo è riservato, segreto, non è facile avvicinarlo, ascolta in silenzio con il suo volto pallido, lo sguardo da faina e continua con le sue mani a fare dei complicati giochini di carta. Di certo ha messo assieme una immensa fortuna, la Banca Unione e la Banca privata a Milano, la banca Franklin a New York e la Fasco una finanziaria padrona di centinaia di aziende.
Quando Ambrosoli entra per la prima volta nello studio privato di Sindona, nel settembre del ' 74, incomincia a capire il personaggio, la sua megalomania, il piacere dei grandi banchieri di apparire raffinati nel giro delle speculazioni, staccati dalla volgarità del tempo, imbattibili nelle cose concrete ma con gusti eleganti: Raffaele Mattioli il signore della Commerciale edita testi critici della letteratura italiana, con il plauso di Togliatti anche lui cultore del Dolce stil nuovo. Lo studio è nel cuore del capitalismo italiano di fronte alla Banca commerciale, vicino al Banco Ambrosiano e alla Mediobanca di Cuccia. E' il suo santuario: una statuetta lignea di Francesco Laurana, un busto del Pollaiolo, un fratino del sedicesimo secolo come scrivania e lui magro e pallido come un trappista. In fondo una porticina che conduce in un sottotetto dove per anni sono state nascoste le carte più delicate. Ma dentro, quando arriva Ambrosoli il commissario liquidatore, non c'è più niente, le carte sono sparite. Sindona è un uomo misterioso anche perché chi dovrebbe scoprire i suoi segreti finge di non sapere, di non vedere.
Nel '72 è arrivata alla questura di Milano una informativa del Criminal police office di New York in cui si dice che Sindona è in stretti rapporti di affari con un certo Daniel Anthony Porco per un traffico di stupefacenti. Ma Sindona è uomo al di sopra di ogni sospetto: è stato invitato da Paolo VI a rimettere ordine nelle finanze vaticane; durante un ricevimento al Saint Regis di New York, Andreotti lo ha salutato come "il salvatore della lira". Più è nei guai, più la revisione di Ambrosoli dimostra che le banche di Sindona sono prossime all'insolvenza e più i suoi difensori trovano ascolto presso il nostro governo: due italo-americani amici di Gelli vengono ricevuti da Andreotti, parlano con lui un ora e mezzo, sono i rappresentanti degli italo-americani cari al nostro capo del governo. Sono preoccupati che un così illustre e benefico concittadino venga messo sotto accusa dai "comunisti".
Veramente Ambrosoli è il figlio di un conservatore monarchico e lui è un cattolico amico di cattolici ma lo si dipinge come un sovversivo. E intanto il banchiere Sindona già colpito da un mandato di cattura con richiesta di estradizione dagli Stati Uniti scrive ad Andreotti da una suite del Waldorf Astoria: "Illustre presidente, nel momento più difficile della mia vita sento il bisogno di rivolgermi direttamente a lei per ringraziarla dei rinnovati sentimenti di stima che ella ha recentemente manifestato". Segue un elenco di tutto ciò che il governo italiano deve fare per coprire la bancarotta e i debiti ed evitargli le grane giudiziarie. Come se nulla fosse, Sindona continua a tener conferenze nelle università americane impartendo lezioni di moralità e di oculatezza. Ma Ambrosoli non si lascia intimidire. Presenta alla Banca d'Italia la sua prima relazione sul passivo della Banca privata italiana: 417 miliardi più un prestito di seicento miliardi della Germania federale garantito dalla Banca di Italia. L'isolamento di Ambrosoli aumenta, trova solo persone che gli danno suggerimenti vaghi, assicurazioni generiche. Un giorno dice a un amico: "Mi vogliono bruciare, mi vogliono far fuori? Vogliono uno che non riesca a mettere le mani e gli occhi dove vanno messi?".
Se cerca di sapere qualcosa sullo Ior, la banca vaticana, incontra un muro di gomma. Nell'ottobre del '75 riesce però a mettere le mani sulle carte della Fasco e questa volta Sindona si infuria, lo denuncia alla magistratura e all'Ordine degli avvocati della Banca d'Italia, accusandolo di avere rubato le azioni della finanziaria e incomincia a mandargli i suoi messaggi di morte: "La vendetta e più bella quando è lontana". Un giornalista chiede a Ambrosoli: "Perché si parla di lei come del nemico di Sindona?" Risponde: "E' molto semplice mi pare, sono diventato il nemico di Sindona ma non l'amico dei potenti. Ho dovuto pestare i piedi a troppa gente che sta nel Palazzo. Per esempio ecco l'ultima pratica. Qualche giorno fa mi sono rivolto al tribunale per farmi restituire dall'Irades i dieci milioni che ebbe da Sindona. Vuol sapere chi è il presidente di questo istituto di studi sociologici? E' l'onorevole Piccoli che i dieci milioni li ebbe direttamente da Sindona, ma che ora dice di non doverli restituire".
Così poco Ambrosoli si fida dei nostri governanti che dovendo consegnare la relazione sul crak Sindona a una decina di uffici, temendo che ci sia una fuga di notizie fa scrivere in ogni copia un errore di battitura diverso e conserva le varianti in luogo sicuro. Alla fine del dicembre '78 incominciano le telefonate con minacce di morte. Il 26 Ambrosoli annota: "Mi cerca quattro volte al telefono, in studio prima e in banca poi, tale Cuccia. Lamenta che in Usa non avrei detto la verità su Michele Sindona. Devi tornare là entro il 4 gennaio con i documenti veri perché se Michele Sindona viene estradato tu non campi". E il 5 gennaio del '79: "Ritelefona due volte il soggetto che si è presentato a nome Cuccia. Stavolta a nome Sarcinelli. Insiste perché vada in Usa e dice che il 15 gennaio può intervenire l'estradizione. Altre telefonate in cui "il Picciotto" dice che Andreotti trama contro di me. Entra in funzione il controllo telefonico ma credo che ci sia poco da contarci". L'ultima telefonata è del 12 gennaio del 79 e così la riferisce Stajano nel suo Un eroe borghese: ""Pronto avvocato". Ambrosoli: "Buon giorno". "L'altro giorno ha voluto fare il furbo? Ha fatto registrare la telefonata". A: "Chi glielo ha detto?" "Eh sono fatti miei chi me lo ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più". A: "Non mi salva più?" "Non la salvo perché lei è degno di morire ammazzato come un cornuto. Lei è un cornuto e bastardo"".
Le telefonate cessano, Sindona ha deciso di far uccidere Ambrosoli. E qualcosa trapela ai figli: il più piccolo, Beto, dice di aver sentito una notte una di quelle telefonate e scoppia in pianto. Ambrosoli cerca di tranquillizzarlo: "Stai tranquillo Beto io morirò vecchietto nel mio letto di Ronco". Il 13 giugno del '79 un commesso della Banca privata scende in cantina dove è conservata una parte dell'archivio e trova una rivoltella, pezzi di una rivoltella segati. E' un segnale? Pochi giorni dopo arrivano a Milano i giudici americani che si occupano di Sindona. Ambrosoli viene inquisito come se fosse lui il bancarottiere. Risponde preciso, con calma.
Intanto il killer William J. Aricò e già arrivato a Milano. Aricò è stato presentato a Sindona da Robert Venetucci un trafficante di eroina. Aricò ha preso alloggio all' hotel Splendido vicino alla stazione centrale. La mattina dell'11 luglio Aricò noleggia una Fiat 127 targato Roma. A bordo di quella macchina Aricò aspetta per ore davanti al portone di via Morozzo della Rocca che Ambrosoli esca. Tre colpi di pistola rimbombano a mezzanotte. Aricò restituisce la macchina il giorno dopo all'agenzia Maggiore e paga con una carta di credito americana. Sarà arrestato l'8 dicembre mentre rapina una gioielleria di New York. Aricò muore il 19 febbraio dell'84 mentre sta tentando di evadere dal carcere. Poco prima ha confessato a un giudice americano di essere l'assassino di Ambrosoli. Il prezzo pagato da Sindona è di venticinquemila dollari versati poco prima del delitto e novantamila accreditati su una banca di Lugano.
Michele Sindona e Robert Venetucci sono stati condannati all'ergastolo.
Ho assistito a quel processo a Milano: Sindona indossava un abito scuro, aveva un'aria spiritata, i pochi capelli ritti in testa. Entrò nella gabbia dove già si trovava il suo complice e mormorò un "How are you Venetucci"? L'altro non rispose. Lo osservavo da pochi metri: aveva un suo taccuino in pelle scura e vi scriveva continuamente chi sa cosa, come se potesse fare qualcosa contro le prove schiaccianti. Nessuno ha spiegato la morte di Aricò, invece la morte di Sindona è un mistero senza misteri nella esecuzione: è stato avvelenato con un caffè nel carcere, il secondino che gli ha portato il caffè non è stato inquisito, era arrivato pochi giorni prima da un istituto di pena siciliano. I potenti si sono tolti dai piedi un testimone pericoloso uno che avrebbe potuto raccontare molte cose sul loro conto.
Nel delitto Ambrosoli si ritrovano alcuni personaggi di oscure vicende italiane: Licio Gelli, Giulio Andreotti, Franco Evangelisti, il giornalista ricattatore di Op. Il professor Marco Vitale ha scritto in morte di Ambrosoli: "L'assassinio di Ambrosoli è il culmine di un certo modo di fare finanza, di un certo modo di far politica, di un certo modo di fare economia. I magistrati inseguono esecutori e mandanti del delitto, ma dietro ci sono i responsabili, i responsabili politici. E questi sono tutti coloro che hanno permesso che la malavita crescesse e occupasse spazi sempre più larghi nella nostra vita economica e finanziaria, e questi sono gli uomini politici che definirono Sindona salvatore della lira, sono i governatori della Banca di Italia che permisero che i Sindona penetrassero tanto profondamente nel tessuto bancario italiano, pur avendo il potere e il dovere di fermarli per tempo; sono i partiti che presero tangenti formate da denari rubati ai depositanti sapendo esattamente che di questo si trattava: sono quelli il cui nome è scritto nella lista dei cinquecento che hanno nascosto i soldi oltre frontiera, tutti quelli che da venti anni al vertice della politica e della economia hanno perso persino il senso di cosa sia la professionalità, cioè il subordinare la propria fetta di potere piccola o grande che sia, agli scopi dell'ordinamento, delle istituzioni, della propria arte o professione, all'interesse pubblico".
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