Da La Repubblica del 25/11/2006

La storia

Tra killer e complotti

di Frederick Forsyth

Per capire chi ha ucciso Aleksandr Litvinenko dobbiamo fare, come in una spy-story, un passo indietro. La maggior parte degli assassinii politici sono opera di dilettanti. L' assassino viene quasi sempre scoperto, catturato e ucciso, spesso un istante dopo aver commesso il delitto. Pensiamo all' omicidio di Indira Gandhi, o di suo figlio Raij Gandhi: una guardia del corpo o un militante estremista, che si avvicinano alla vittima e la eliminano a bruciapelo. Lo stesso è accaduto al primo ministro israeliano Yithzak Rabin: assassinato da un fanatico, da due passi di distanza, con il killer subito acciuffato. Quando invece dietro l' assassinio c' è un complotto, la distanza si allunga. Il killer può usare un fucile di precisione, come nel caso di Oswald con John Kennedy. Oppure usare una bomba che viene fatta esplodere da un congegno a orologeria o telecomandato: magari messa su un aereo, come si è sempre sospettato che avvenne per il presidente dell' Eni Enrico Mattei. L' autobomba è un classico, come nel recente assassinio del presidente libanese Hariri. O l' auto raggiunta in corsa, bloccata e crivellata di colpi, come nell' omicidio ancora fresco di sangue, sempre in Libano, di Pierre Gemayel. Esiste un terzo metodo che tradisce la presenza di un complotto, e dunque di un gruppo organizzato come mandante: l' avvelenamento. Il caso più celebre rimane quello del dissidente bulgaro Georgij Markov, ucciso con una puntura d' ombrello su un ponte di Londra nel 1978. Ora abbiamo un nuovo esempio: la morte dell' ex-colonnello del Kgb Aleksandr Litvinenko. Perché sostengo che la sua morte è un complotto, quasi certamente un complotto di stato, molto probabilmente di uno stato agguerrito e potente come la Russia di Putin? Per una serie di indizi convincenti. Il primo, come ho appena notato, è il metodo: l' avvelenamento. Un dilettante ti pugnala alla schiena o ti spara nello stomaco. Anche il crimine organizzato, la mafia, fanno complotti: l' autobomba è una loro specialità. Ma solo il servizio segreto di un governo ricorre a un metodo sofisticato e complesso come l' avvelenamento. Nel caso di Litvinenko c' è l' aggravante della sostanza usata: polonio 210. Un isotopo radioattivo. Qualcosa che non si compra in farmacia, né si fabbrica nella cucina. Una sostanza rarissima, difficilissima da procurarsi. A rigor di logica, soltanto una potenza nucleare può averla. Quante potenze nucleari ci sono al mondo? Diciamo una decina. Su dieci, quante detestavano Litvinenko e potevano avere interesse a eliminarlo: soltanto una, la Russia. Per farlo tacere, per spaventare qualcun altro, per motivi più oscuri. Il mio ragionamento non contiene alcuna prova, solo indizi. Ma sono convinto che questi indizi, presentati a una giuria, otterrebbero un verdetto di colpevolezza: per la semplice ragione che non può essere stato nessun altro a uccidere Litvinenko. Putin ha sdegnosamente negato, questo è vero. Vige una regola, nel mondo dello spionaggio: se un governo si limita a un «no comment», o alla smentita di un portavoce, potrebbe essere colpevole; se la smentita viene da un presidente o da un premier, può darsi che costui sia sincero. Infatti, se in seguito venisse sbugiardato, perderebbe ogni traccia di credibilità. Ma questa regola, a mio parere, non vale per Putin. Il presidente russo se ne frega della credibilità. Ha il gas e il petrolio di cui l' Occidente ha disperato bisogno. La Gran Bretagna è inginocchiata davanti a lui per avere l' energia che le serve per tenere accesa la luce nei palazzi affacciati al Tamigi. Perciò Putin sente di poter fare ciò che vuole. Temo che abbia ragione: difficilmente Blair lo accuserà della morte di Litvinenko. Solo se i russi un giorno lo faranno cadere, conosceremo la verità. E allora dai suoi armadi usciranno gli scheletri. (testo raccolto da un nostro redattore)

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