Da L'Ora del 03/11/1972

C'è una "trama nera" dietro il delitto di Ragusa

Inquietanti retroscena, misteriose confessioni e tanti elementi fanno pensare ad abili e cinici registi. Il giovane omicida strumento dell'"organizzazione"?

di Mario Genco

Il meccanismo di autodistruzione insito nella strategia - il figlio 32enne del presidente del tribunale di Ragusa che ha ucciso il corrispondente de l'ORA e de l'Unità, Giovanni Spampinato -, come esso era trapelato dopo l'interrogatorio di mercoledì, è già scattato per la prima volta ieri.

Il sostituto procuratore generale della Corte d'Appello di Catania, il cui ufficio sta conducendo, come è noto, l'istruttoria, ha ritoccato infatti l'originario, e per certe omissioni sconcertante, ordine di cattura spiccato contro Campria e vi ha aggiunto due significative aggravanti. Che sono: la premeditazione e le "condizioni di minore difesa pubblica e privata" (omicidio avvebuto di notte, con la vittima nella impossibilità assoluta di difendersi).

La seconda di queste aggravanti è prevalentemente tecnica: la prima può definirsi invece programmatica e spazza via con un colpo solo la montagna di "non ricordo", "non so" sotto cui Roberto Campria ha tentato di celare il motivo vero per il quale ha ucciso Giovanni Spampinato.

Di quella doppia raffica di pistolettate, Roberto Campria ha cercato di dare una spiegazione, come dire autonoma: " La macchina s'è fermata, io sono sceso ed ho incominciato a sparare". Perché? Non lo sa, ha detto, svincolando così l'omicidio da qualsiasi riferimento prossimo o remoto con la sua vittima, i rapporti che con essa aveva avuto in passato e quelli che aveva in quei igiorni, i riferimenti inevitabili alla sua ambigua posizione nel delitto dell'ing. Angelo Tumino.

Nulla di tutto ciò: solo la molla impazzita scattata nel suo cervello dissestato sotto l'influsso dei tranquillanti.

La mossa è solo apparentemente insensata, ed anzi attinge una sua sinistra efficacia proprio da tale sua incredibilità, spinta ai limiti dell'assurdo.

In sintesi: la tesi difensiva è tanto apparentemente insostenibile che può raggiungere lo scopo prefissosi, almeno a livello di opinione pubblica.

A livello giudiziario, non c'è dubbio che potrebbe ammagliare un'inchiesta condotta con metodi di routine. Ma tale non sembra quella cominciata dal dottor Auletta, sulla base del lungo interrogatorio al quale ieri il magistrato ha sottoposto Roberto Campria.

Le domande insistenti sul contrabbando, sulla droga, sui suoi rapporti con l'ingegner Tumino, che era sì un play boy ma era anche un esponente missino eletto al consiglio comunale nella lista del MSI; le domande sui rapporti, negati, con Vittorio Quintavalle, che fu interrogato la stessa sera della scoperta dell'omicidio Tumino e subito dopo scomparve da Ragusa per diversi mesi (ha troppi legami attuali, questo personaggio col suo passato di marò della Decima Mas del principe Borghese per non essere quanto meno sospetta la sua presenza a Ragusa, e la sua frequenza con Tumino ed altri neofascisti d'assalto).

Tutto ciò si colloca abbastanza ordinatamente nei risultati finora acquisiti dalla istruttoria sul delitto Tumino, e nella inestricata matassa di interessi para-commerciali e politici che in esso si nasconde, per non stabilire immediati collegamenti fra i due omicidi.

La preoccupazione di scollare nettamente i due episodi raggiunge così il risultato esattamente contrario, quello cioè di riavvicinarli e rendere il secondo causa diretta del primo.

Inoltre - e la premeditazione contestata dal dottor Auletta va considerata anche in questo senso, oltre che in una linea di elementare correttezza procedurale - il fatto che Roberto Campria rinunci volontariamente al facile collegamento di causa-effetto fra le inchieste, l'interesse di Spampinato sul delitto Tumino, e la sua reazione a quelle che egli poteva considerare calunnie, conferma l'impressione, ogni giorno più netta, che il figlio del presidente del tribunale sia egli stesso uno strumento manovrato con cinica determinazione.

Manovrato per coprire le responsabilità più pesanti e più ampie di una organizzazione che per tanti aspetti è da considerare bene inserita nella "trama nera" che da un anno va dipanandosi in questa provincia, oltre che responsabile di operazioni criminsli che vanno dal contrabbando allo smercio di quadri rubati.

Anche alcune dichiarazioni, apparentemente paradossali oltre che brutali, di Roberto Campria riconducono alla abile regia che sembra gestirne le mosse.

"Ero amico di Giovanni, gli volevo bene e lo stimavo. Con lui parlavo di politica" ha detto Campria lasciando capire addirittura che da Giovanni egli aspettasse la spinta risolutiva per una sua "svolta ideologica".

Anche queste: le dichiarazioni di un neurolabile, o non piuttosto il tentativo stavolta piuttosto goffo di nascondere i veri motivi della sconcertante frequenza con Spampinato da egli così tenacemente cercata?

Far luce su questa circostanza significa avere in mano la chiave della dolorosissima vicenda.

Il nodo è proprio qui: cosa voleva o doveva ottenere Roberto Campria da Giovanni Spampinato?

Il nostro corrispondente si interessava, è vero, dell'omicidio Tumino, ma di questo delitto cercava soprattutto di mettere in luce le connessioni col neo-fascismo ragusano, con certe voci di provocazioni che a folate si sentivano per la città, con lo strano movimento di personaggi - da Quintavalle al ben più pericoloso Stefato Delle Chiaie, il "caccola" implicato nella strage di Stato e da allora inutilmente ricercato dalle questure - che con singolari coincidenze di tempi, s'erano visti a Ragusa.

Spampinato era cronista di impegno civile, non tanto proteso al "colpo" giornalistico che si esaurisca con una vampata a nove colonne, quanto al "servizio" che armonizzi l'importanza della notizia con la necessità della informazioneattenta alle prospettive sociali e politiche.

Gli interessava fino ad un certo punto poter scrivere che il delitto Tumino fosse stato scoperto, gli urgeva senz'altro di più riuscire a capire chi si nascondesse, e cosa, dietro a quella esecuzione.

Con intenzioni parallele e di segno perfettamente opposto, si muoveva o veniva fatto muovere Roberto Campria: tutto il suo sconcertante atteggiamento lo conferma. Voleva scoprire cosa Giovanni Spampinato realmente sapesse sia del delitto Tumino che dei suoi retroscena "neri".

Aveva Campria scoperto qualcosa? Cosa sapeva effettivamente Giovanni, o cosa temevano che sapesse? Noi non lo sappiamo, sappiamo solo che è stato ucciso e non crediamo per niente alle spericolate "non giustificazioni" al tranquillante che di quella morte Roberto Campria si ostina a dare.

Il filo del doppio gioco può perfino proseguire fino ai "registi" e siamo convinti ci sono e sono abili. C'era forse pericolo che Campria cedesse a Spampinato, che si facesse strappare da lui ammissioni compromettenti c'era il sospetto che ciò fosse avvenuto o fosse imminente? Ed ecco allora la necessità di sbarazzarsi con un colpo solo di Spampinato e di Campria: Giovanni morto, Campria in galera, con la prospettiva di cavarsela con pochi anni di reclusione grazie a quei suoi scompensi neurologici.

Costringere Campria a giocare il ruolo dell'assassino, avrebbe potuto essere abbastanza semplice da parte di coloro che conoscono i retroscena dell'omicidio Tumino: un piccolo particolare fornito al giudice istruttore, e costruito apposta per incastrare irrimediabilmente Campria senza coinvolgere l'organizzazione, ed ecco che davanti a Campria si sarebbero aperte le porte dell'ergastolo per l'uccisione dell'ingegnere.

Messo di fronte a queste due possibilità, Campria avrebbe scelto la meno rischiosa. In un caso o nell'altro, un assassino prefabbricato.

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