Da Il Manifesto del 03/08/2005

85 morti e 200 feriti

La lunga strategia dei depistaggi

Vitali contro il Tg2, Fede contro gli imbecilli, Ciavardini insiste: «Solo deduzioni»

di Andrea Colombo

La pista nera, quella di Ustica e adesso quella mediorientale. Nessuna ricostruzione sinora tentata della più grave strage nella storia della repubblica sembra davvero convincente. Ancora una volta il passato viene usato da tutti soprattutto per la lotta politica presente. Senza grande interesse per la verità.
Dopo 25 anni restano molti dubbi, anche a sinistra, sulla colpevolezza degli ex terroristi dei Nar, condannati sulla base di un impianto accusatorio fragile, contraddittorio e pieno di episodi inspiegabili, dalla falsa malattia del principale teste d'accusa al ruolo di Angelo Izzo ANDREA COLOMBO Tra i tanti misteri, veri o presunti, che costellano la sanguinosa storia italiana negli anni tra il 1969 e il 1980, il più misterioso di tutti è anche il più tragico: la strage di 25 anni fa alla stazione di Bologna. Che quel crimine sia ancora irrisolto lo hanno ripetuto negli ultimi due giorni tutti: politici e giornalisti, rappresentanti delle istituzioni e parenti delle vittime. Intendono dire che le motivazioni della strage sono ancora avvolte dal mistero, e così i mandanti della stessa. Confermano invece in coro la loro assoluta certezza nell'identificazione degli esecutori materiali: gli ex terroristi neri Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (condannati con formula definitiva dopo cinque processi) e Luigi Ciavardini (in attesa della seconda sentenza di cassazione in quello che, anche per lui, sarà il quinto processo). La colpevolezza degli ex Nar e in generale la pista nera sono dogmi che quasi non si possono mettere in discussione senza sentirsi accusare di leso antifascismo o peggio. In realtà, negli ultimi 15 anni, dubbi e perplessità sulla responsabilità effettiva dei Nar sono stati sollevati in quantità non solo dalla destra politica ma anche, e forse soprattutto, da personalità provenienti dalla sinistra come Rossana Rossanda e Adriano Sofri o da giornalisti di sinistra come Gianluca Semprini, autore dell'ottima controinchiesta sul caso Ciavardini La strage di Bologna e il terrorista sconosciuto.

A indicare con assoluta certezza la pista nera fu per primo l'allora presidente del consiglio Francesco Cossiga, pochi giorni dopo la strage. Come ammesso più tardi dallo stesso Cossiga, la convinzione che i colpevoli andassero cercati nell'estrema destra non poggiava su alcun elemento concreto. Era un assioma privo di fondamenti probatori, ma non di consguenze precise. Le indagini si volsero subito verso l'eversione nera, trascurando ogni altra eventuale pista, e inevitabilmente si concentrarono sui protagonisti principali del terrorismo nero dei tardi '70. Dunque sui Nar, anche se questi erano in realtà profondamente diversi dai fratelli maggiori di Avanguardia nazionale o di Ordine nero. Nei Nar la componente imitativa nei confronti dei gruppi armati di sinistra era forte e palese, i rapporti con i servizi segreti, deviati o meno, inesistenti (non se ne trova traccia in alcuna processo né in alcuna inchiesta). L'ostilità verso le forze dell'ordine arrivava spesso all'omicidio e doveva servire, nelle intenzioni dei fondatori dei Nar, proprio a prendere le distanze dalla generazione neofascista precedente, accusata di essersi fatta proteggere e insieme strumentalizzare dagli apparati dello stato.

La svolta nelle indagini arriva otto mesi dopo la strage. L'11 aprile 1981 Massimo Sparti, un malavitoso romano vicino alla banda della Magliana e arrestato due giorni prima, parla ai giudici di un colloquio con Valerio Fioravanti avvenuto il 4 agosto dell'anno precedente. Fioravanti chiedeva con urgenza un documento falso per Francesca Mambro, perché questa, secondo la testimonianza di Sparti, rischiava di «essere riconosciuta». Prodigo di particolari, Fioravanti avrebbe aggiunto che lui e la Mambro erano nei pressi della stazione di Bologna il giorno dell'attentato, «vestiti da tirolesi», concludendo con un cinico: «Hai sentito che botto!».

La testimonianza di Sparti è quella che inchioda i due fondatori dei Nar. Senza di questa tutti gli altri elementi a carico raccolti dagli inquirenti, vaghi e puramente indiziari, avrebbero avuto ben poco valore. Senza bisogno di scomodare i valori sacri dell'antifscismo, esistono tuttavia motivi in quantità industriale per dubitare di quella testimonianza.

Il falsario a cui si era rivolto Sparti per il documento falso, Fausto De Vecchi, arrestato l'8 dicembre `81 esclude nel primo interrogatorio «che le foto consegnatemi dallo Sparti riproducessero sembianze femminili». Conferma la versione qualche mese dopo. La cambia a distanza di qualche settimana, assicurando di non poter né confermare né smentire che le foto per il documento falso fossero di una donna: non le aveva guardate. Modifica ulteriormente la testimonianza un anno dopo, quando afferma di aver sì guardato le foto in questione, ma senza poter riconoscere il soggetto ritratto. Ci ripensa per l'ultima volta, con un vero colpo di scena, nel 1990, in aula nel corso del processo contro Mambro e Fioravanti: qui infatti gli torna alla memoria un particolare, non proprio secondario, dimenticato nei numerosi interrogatori. Interrogato dal giudice racconta che era stato lo stesso Sparti a dirgli che il documento incriminato era stato chiesto da Fioravanti per la Mambro. Definitivo.

Nel frattempo Sparti e De Vecchi erano stati fermati e condannati, nel 1986, per furto con scasso. Il medesimo Sparti, infatti, era uscito di prigione nel maggio '82 in seguito alla diagnosi di un tumore in stato terminale al pancreas. Una vicenda tormentata. Sparti aveva accusato i primi malori subito dopo la testimonianza chiave, nell'estate `81, ma le analisi non avevano riscontrato alcuna malattia grave. Verdetto medico capovolto nel marzo dell'anno seguente, dopo una provvidenziale quanto inspiegata sostituzione del direttore sanitario del carcere di Pisa, Francesco Ceraudo.

Scarcerato perché in fin di vita, Sparti sopravviverà per oltre 20 anni. Impossibile procedere con ulteriori accertamenti sulle sue cartelle cliniche di Sparti. Sono state distrutte in un incendio nel '95, pochi giorni prima che ne prendesse visione il giornalista del Tg1 Ennio Remondino, lo stesso che aveva portato alla luce la vicenda della falsa malattia.

I pezzi grossi entrano nell'inchiesta in seguito al ritrovamento sull'espresso Taranto-Milano, il 13 gennaio '81, di una valigetta piena di esplosivo dello stesso tipo adoperato a Bologna, ma contenente anche un mitra, un fucile, biglietti aerei, riviste straniere. E' un depistaggio, per il quale verranno condannati il venerabile Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza e due alti ufficiali del Sismi: il generale Musumeci e il colonnello Belmonte. Sfugge alla condanna, ma solo perché deceduto prima del processo, l'organizzatore della trama, il direttore del Sismi generale Santovito. Secondo la «verità processuale» il depistaggio avrebbe dovuto allontanare gli inquirenti da Fioravanti e Mambro. Forse per imperizia, però, gli elementi accatastati nella valigetta riconducevano tutti, in un modo o nell'altro, proprio ai due terroristi dei Nar.

A chiamare in causa il terzo terrorista nero, Luigi Ciavardini, è stato invece Angelo Izzo, già massacratore del Circeo, autore qualche mese fa di un altro duplice omicidio. Izzo non era un pentito propriamente detto, anche perché con l'eversione nera aveva avuto assai poco a che spartire. Era una sorta di mallevadore di pentiti, si occupa di convincere i neofascisti in carcere a pentirsi, ne coordinava le testimonianza.

In questa veste, che nel carcere di minima sicurezza di Palliano gli garantiva una condizione di assoluto privilegio, Izzo convinse nell'86la giovane neofascista torinese Raffaella Furiozzi a rivelare quanto appreso dal suo ex fidanzato, Diego Macciò, ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia: a deporre materialmente la bomba a Bologna erano stati due militanti di Terza posizione, Nanni DeAngelis e Massimilano Taddeini, con Fioravanti e Mambro di copertura. Izzo aggiunse che se c'erano quei due, doveva per forza aver partecipato all'attentato anche Ciavardini, il terzetto essendo inseparabile.

L'accusa a carico di DeAngelis e Taddeini si rivelerà poi infondata al di là di ogni dubbio e tuttavia, sulla base delle parole di Izzo, Ciavardini resterà accusato della strage. A suo carico sarà possibile rintracciare solo un altro «indizio». La sua fidanzata, Elena Venditti, avrebbe dovuto raggiungerlo a Venezia partendo nella notte tra l'1 e il 2 agosto 1980. Il viaggio fu però rinviato di due giorni, forse dopo una telefonata (mai effettivamente appurata) di Ciavardini, che sconsigliava la partenza immediata.

Sulla base di simili elementi probatori era inevitabile che anche nei più convinti antifascisti sorgessero dubbi sia sulla colpevolezza degli ex Nar che sulla matrice neofascista della strage. In questi anni hanno avuto larga circolazione ipotesi alternative, a volte suggerite dagli stessi protagonisti delle vicenda dell'epoca. Secondo la più diffusa, la strage andrebbe messa in correlazione con l'abbattimento del Dc 9 di Ustica pochi giorni prima: un tentativo di sviare l'attenzione, una vendetta libica, o forse una rappresaglia americana contro l'Italia colpevole di aver avvertito Gheddafi dell'agguato aereo. Molte teorie, nessun elemento probatorio affidabile.

Altrettanto dicasi della cosiddetta «pista mediorientale» indicata recentemente da Cossiga e subito abbracciata dalla stampa di destra. In questo caso gli indizi si riducono alla presenza a Bologna nei giorni preceenti la strage di due terroristi tedeschi considerati vicini al gruppo di Carlos e alle informative dell'Ucigos che mettevano in guardia da possibili rappresaglie palestinese in seguito all'arresto, nel 1979, di un militante del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Su questa base, anche la pista mediorientale sembra rappresentare l'ennesimo capitolo del turpe gioco italiano che dilaga a destra come a sinistra e consiste nell'adoperare i misteri del passato solo a fini di lotta politica presente. Con ben poco interesse per una verità ancora sconosciuta, e non solo per quanto riguarda i mandanti della strage.

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