Da La Voce della Campania del 20/12/2006
Memento Mori: la caduta del generale
In esclusiva l’inedito dietro le quinte della rivoluzione che ha “terremotato” i servizi segreti italiani, con l’uscita di scena di due big come i generali Mario Mori e Nicolò Pollari.
di Norberto Breda
Quando nel 2001 il generale Mori venne designato alla guida del Sisde, alla comunità della barbe finte di via Lanza bastò poco per capire che un’epoca si era conclusa.
L’alto ufficiale aveva fama da duro, una capacità di lavoro ai limiti dell’umano e un piglio militaresco che non poteva piacere a chi il Sisde lo ha sempre vissuto ( e così era, a parte qualche rara eccezione ) come un parcheggio ministeriale di lusso o, peggio,come il luogo di ruberie e intrighi di stato.
Quello che da subito non piacque fu la decisione di far transitare dal ROS ( del quale Mori era stato inventore e capo indiscusso e amatissimo ) al servizio civile gli uomini migliori, quelli a cui era più legato, due su tutti: Giuseppe de Donno e Mario Obinu.
In pochi mesi il Sisde venne plasmato a immagine e somiglianza del suo capo. Che riuscì dopo decenni di inerzie e lassismo a distruggere l’abitudine della settimana corta, anzi cortissima ( dal martedì al giovedì), di cui abusavano i capi divisione e i loro collaboratori, piazzando riunioni operative il venerdì pomeriggio o addirittura il sabato. Ma la goccia che fece traboccare il vaso, scatenando le ire della comunità, fu quella di richiedere la lista dei confidenti e i relativi compensi.
Si scoprì che oltre la metà di queste fonti non esisteva o che il loro contributo era immensamente superiore in rapporto al compenso. Una rivoluzione copernicana, insomma, che permise al generale di controllare meglio il “suo” servizio. Opera che Mori continuò imperterrito anche dinanzi alle proteste che arrivavano sulla sua scrivania, di cui si faceva spesso portatore il suo vice, l’uomo che quelle stanze le conosce meglio di tutti:il prefetto Ansoino Andreassi, vecchia volpe cresciuta alla digos romana che pagava colpe non sue sul disastro di Genova 2001.
I PRIMI SUCCESSI
L’azione riformatrice andava nella direzione opposta ai noti e dimostrati episodi di corruzione e malversazione in cui si è, troppo spesso, “distinto” il servizio segreto civile. Ma il generale si distinse anche su un altro versante, perché all’indomani dell’11 settembre quando le strategie di “guerra infinita” e “guerra preventiva” permeavano le scelte di politica estera dell’occidente, Mori decise di giocare un ruolo importante nel ridimensionare i rischi di attentati in Italia da parte del terrorismo islamico e la possibilità, ventilata da più parti, di una saldatura tra questo e le azione delle nuove Brigate Rosse. Fu il suo distinguersi dalle pratiche allarmistiche del Sismi di Pollari che un giorno sì e l’altro pure veicolava minacce inesistenti. I punti più alti di questo scontro, che lo vide alleato con il capo della polizia Gianni De Gennaro, furono due: l’analisi, fatta dinanzi al Copaco, sui rischi di espansione terroristica di cellule islamiche nel nostro paese, ferocemente avversata da buona parte dell’allora maggioranza di governo, e il clamoroso abbandono del comitato analisi strategica antiterrorismo ( CASA ) per protesta con il modus operandi dei “cugini” di Forte Braschi.
L’INIZIO DELLA CADUTA
A fronte di questi successi qualcosa per il generale iniziò ad andare storto quando nell’aprile 2003 venne iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Palermo per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina. L’accusa che coinvolse anche il suo più stretto collaboratore, De Donno, era infamante: collusione con Cosa Nostra. Ma se quello fu un atto dovuto per i PM palermitani, ancora peggio andò per il generale quando il GIP palermitano Vincenzina Massa decise,nel settembre 2004, contro ogni previsione, che la vicenda di Mori doveva essere chiarita in un aula di tribunale. Da allora la posizione del generale si rivelò molto più debole. Anche perché nei mesi seguenti altri suoi stretti collaboratori, tutti provenienti dal Ros, ebbero dei guai con la giustizia.
Il secondo, dopo de Donno, fu Pasquale Angelosanto oggi al ROC, un nuovo ufficio del Sisde voluto fortemente dal generale, una branca operativa che ha scatenato polemiche e sulla cui attività vige il più totale segreto. Angelosanto, infatti, è stato protagonista, in negativo, delle indagini riguardanti Iniziativa Comunista; secondo l’ufficiale il gruppo sarebbe il nocciolo duro da qui sarebbero rinate le nuove BR e in particolare avrebbe avuto un ruolo dirigenziale nell’omicidio di D’Antona. Un ipotesi investigativa smentita in sede processuale quando le prove fornite dalla procura disattesero completamente le indagini di Angelosanto poi denunciato dai membri di Iniziativa comunista dopo l’assoluzione. L’ipotesi di Angelosanto venne fatta a pezzi dal nucleo della Digos comandato allora dal neo-nominato capo del Sisde Gabrielli. Le perplessità sul ROC riguardano il fatto che avrebbe i poteri dei ROS con l’aggiunta di essere direttamente responsabile al Sisde e non ad un arma di riferimento, che dal SISDE attingerebbe capacità info-operative enormi a cui vanno aggiunte quelle di operare con funzioni di polizia giudiziaria, cosa che la legge sui servizi espressamente vieta che i suoi compiti e che infine, assommerebbero le funzioni dello Sco, dell'Ucigos e del Sisde.
IL ROS E LA DROGA
Il terzo dirigente Sisde a finire nei guai fu Mario Obinu oggi sotto processo a Milano, insieme al generale Ganzer, successore di Mori al Ros, per un serie di reati degni di un boss: riciclaggio di denaro, commercio di stupefacenti, oltre al mancato arresto di pericolosi latitanti.
La sezione antidroga del Ros di Brescia, capitanata fin dalla metà degli anni ‘90 da Obinu, secondo i giudici milanesi avrebbe agito come “un'associazione a delinquere armata” che incentivava il traffico di stupefacenti e si sottraeva a tutte le regole riguardanti il sequestro di droga e di soldi e l'obbligo di arrestare i latitanti, andando ben al di là dilàquanto consentito: «Con Obinu e Ganzer il Ros instaura contatti diretti e indiretti con rappresentanti di organizzazioni sudamericane e mediorientali senza procedere né alla loro identificazione né alla loro denuncia»; ordina l'invio in Italia «di quantitativi di stupefacenti con mercantili o per via aerea, versando il corrispettivo con modalità non documentate e utilizzando anche denaro (di cui viene omesso il sequestro per 502 milioni di lire, ndr) ricavato dalla vendita (anche da parte di uomini dell'Arma, ndr) in Italia della droga importata»; «prende in carico lo stupefacente anche per lunghi periodi, talvolta lasciandolo nella disponibilità dei trafficanti»; tra il '96 e il '97 «provvede all'installazione di laboratori per la raffinazione e alla ricerca degli acquirenti, istiga all'acquisto». Il Gup di Milano, Andrea Pellegrino, il 12 giugno 2005 ha rinviato ad un processo la posizione degli indagati: associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, peculato e falso. Insieme a Ganzer e Obinu, verranno citati in giudizio con le stesse accuse un magistrato (il pubblico Ministero bresciano Mario Conte diventato nel 2002 consulente della Commissione Antimafia), un capitano, sette sottufficiali e un appuntato, tutti del Ros. Nella scoperta di questa associazione a delinquere un ruolo di primo piano ha svolto il PM Armando Spataro, testimone d’accusa contro Obinu e Ganzer, che oggi si occupa di Abu Omar e delle intercettazioni illegali dei servizi. Questa storiaccia di droga e armi porterà infatti alla fine del rapporto anche di amicizia tra Ganzer, Obinu e lo stesso magistrato.
Il processo è iniziato il 18 ottobre 2005 ma incurante di queste disavventure, Mori ha deciso di promuovere Obinu a capo della prima divisione( quella dell’antiterrorismo ) nello scorso mese di settembre.
UN FASCICOLO SISDE? QUATTROMILA EURO!
E arriviamo ai nostri giorni. Da quando è scoppiato il caso telecom-intercettazioni, il Sisde è stato blindato. Agli agenti di via Lanza e della Galleria Esedra è stato vietato di portare in ufficio radio, lettori cd, finanche i carica batterie per i cellulari. Le perquisizioni negli uffici della squadra che si occupa della sicurezza interna sono di routine. A scatenare l’allarme di un possibile coinvolgimento nelle vicenda telecom sono state le dichiarazioni di Marco Bernardini, ex agente sisde e componente della cupola di Tavaroli e Cipriani, secondo il quale i fascicoli del servizio erano sul mercato: il costo dai 2000 ai 4000 euro. In una riunione tenuta il 30 settembre scorso il generale Mario Mori ha fatto il punto, catechizzando tutti i massimi dirigenti dall’evitare qualsiasi contatto con le agenzie di investigazioni e ha chiesto di conoscere dove si sono verificate fughe di notizie e di documenti, di cui parla Bernardini. Pochi giorni prima lo stesso generale aveva aperto un’inchiesta interna sulla vicenda.
DAL ROS A TELECOM, ANDATA E RITORNO. UNA TEMPESTA IN ARRIVO.
Il fatto è che dal Ros dei carabinieri provengono quasi tutti i protagonisti della vicenda telecom. A partire da Tavaroli, per passare a Mancini e finire ad Angelo Jannone che, secondo indiscrezioni, sarebbe una delle gole profonde che molti particolari avrebbe raccontato ai giudici. Nel dicembre 2004 l’ex ufficiale del ROS Jannone, allora omologo di Tavaroli alla Telecom Brasile, riceve una preziosa informazione: “Attento, sul tuo capo sta arrivando una tempesta”.
Chi è Jannone? Ex-capitano dei CC a Corleone tra la fine degli anni ’80 e ‘90, ha un ruolo chiave nella compilazione del famoso rapporto sugli appalti presentato da Mori e De Donno ai giudici palermitani nel 1991. Entra nei Ros fin dall’inizio e fa parte della squadra che lavora, all’indomani della strage di Capaci, sull’ipotesi di trattativa tra Mori e Ciancimino per fermare la strategia terroristica di Cosa Nostra. Nei giorni caldi dell’arresto di Riina, e della mancata perquisizione del covo, lavora come uomo ombra di Mori e De Donno a Palermo.
Jannone, dalla fine degli anni ’80, si fida dei metodi di intercettazione di Tavaroli e li fa utilizzare con successo; registra ad esempio i colloqui telefonici tra il commercialista di Riina, Pino Mandalari, e alcuni colletti bianchi nel mondo delle professioni. Dal 1991 in avanti quei metodi vengono fatti propri dal Ros di Mori e De Donno per intercettare i mafiosi siciliani; tra De Donno e Tavaroli si stabilisce un rapporto strettissimo. Dal '96 al 2000 ha diretto il Nucleo Operativo di Mestre, con operazioni diventate memorabili, come l'inchiesta sulla corruzione dei vertici della Polizia Tributaria del Veneto, operazioni anti-usura, anti-droga e contro le organizzazioni mafiose italiane ed estere. Jannone ebbe un ruolo di primo piano nella notte dei "serenissimi", quando cercò di trattare con gli autonomisti che nel 1997 occuparono il campanile di San Marco. Nel 2000 era stato trasferito a Roma dove aveva comandato uno dei quattro reparti centrali del Ros. Ma poi aveva lasciato l'Arma per assumere un incarico in Sud America per Telecom dove si trova a gestire la patata bollente di Telecom Brasile.
Proprio Tavaroli aveva lavorato ai Ros ( nome in codice Tavola ) e prima ancora nelle SSA ( sezione speciale anticrimine ) nel ramo antiterrorismo: venivano chiamati gli Invisibili perché i membri che lo componevano non avevano l’obbligo di firmare, con nome e cognome, alcun rapporto. Qualsiasi operazione antiterrorismo, che veniva comunicata al magistrato di turno, era filtrata esclusivamente dall’ufficiale superiore. Nelle SSA, tra gli invisibili, c’era anche Mancini che entrerà a farne parte dall’inizio degli anni ‘80. Gli invisibili godevano della protezione del colonnello Bonaventura che, insieme a Pignero e Mori, erano gli uomini più fidati di Dalla Chiesa; quelli delle operazioni sporche contro le BR. Dall’arresto di Curcio e Franceschini ( fu Pignero a propalare la sciocchezza che i due brigatisti trovassero rifugio in Cecoslovacchia ), all’operazione di via Montenevoso a Milano a quella di via Fracchia a Genova.
Ritorniamo ad oggi: chi è la fonte che sapeva in anticipo che su Tavaroli si stava abbattendo “la tempesta”?
La questione è stata sollevata davanti ai magistrati dall’ex agente Sisde ( fino al 1997 ) Bernardini, consulente della Polis d’Istinto e della Telecom, che afferma, anche, come lui si è occupato, fino all’arresto, di vendere documenti provenienti dal Sisde.
Jannone nel 2004 è ormai un ex-dirigente Telecom e viene sentito dai magistrati in relazione ai disinvolti metodi di spionaggio di Tavaroli nella vicenda telecom Brasile. Ufficialmente con le vicende italiane non sembra entrarci niente.
Ma cosa e come sapeva Ganzer di quello che stava per succedere al suo ex-agente Tavaroli? Su questo buco nero si appuntano le indagini dei Pm di Milano che infatti hanno chiesto e ottenuto dal gip che all’interno del dispositivo delle misure cautelari sul nome della gola profonda, seppur indagato, venisse posto un omissis.
La nomina di Gabrielli dovrebbe scompaginare tutto. Riesce difficile immaginare, si dice al sisde, che gli uomini di Mori, De Donno e Obinu su tutti ma anche il nuovo responsabile degli analisti, Giuseppe D’Onofrio legato a Pollari e al senatore Sergio De Gregorio, e poi Pasquale Angelosanto ( di cui si è detto ) possano rimanere ai loro posti.
Certo è che poi la nomina di Gabrielli sembra davvero un memento mori per il generale che proprio in quel giovane dirigente della Digos di Firenze si imbattè quando deponendo a Firenze per il processo sulla strage di mafia di via dei Georgofili ammise che la trattativa con i boss corleonesi,per il tramite di don Vito Ciancimino, fu una sua iniziativa solitaria che dietro quella spericolata manovra non c’era nessuno. Cosa che quel giovane poliziotto che per anni aveva indagato sui patti innominabili con Cosa Nostra non credette mai essere la verità.
L’alto ufficiale aveva fama da duro, una capacità di lavoro ai limiti dell’umano e un piglio militaresco che non poteva piacere a chi il Sisde lo ha sempre vissuto ( e così era, a parte qualche rara eccezione ) come un parcheggio ministeriale di lusso o, peggio,come il luogo di ruberie e intrighi di stato.
Quello che da subito non piacque fu la decisione di far transitare dal ROS ( del quale Mori era stato inventore e capo indiscusso e amatissimo ) al servizio civile gli uomini migliori, quelli a cui era più legato, due su tutti: Giuseppe de Donno e Mario Obinu.
In pochi mesi il Sisde venne plasmato a immagine e somiglianza del suo capo. Che riuscì dopo decenni di inerzie e lassismo a distruggere l’abitudine della settimana corta, anzi cortissima ( dal martedì al giovedì), di cui abusavano i capi divisione e i loro collaboratori, piazzando riunioni operative il venerdì pomeriggio o addirittura il sabato. Ma la goccia che fece traboccare il vaso, scatenando le ire della comunità, fu quella di richiedere la lista dei confidenti e i relativi compensi.
Si scoprì che oltre la metà di queste fonti non esisteva o che il loro contributo era immensamente superiore in rapporto al compenso. Una rivoluzione copernicana, insomma, che permise al generale di controllare meglio il “suo” servizio. Opera che Mori continuò imperterrito anche dinanzi alle proteste che arrivavano sulla sua scrivania, di cui si faceva spesso portatore il suo vice, l’uomo che quelle stanze le conosce meglio di tutti:il prefetto Ansoino Andreassi, vecchia volpe cresciuta alla digos romana che pagava colpe non sue sul disastro di Genova 2001.
I PRIMI SUCCESSI
L’azione riformatrice andava nella direzione opposta ai noti e dimostrati episodi di corruzione e malversazione in cui si è, troppo spesso, “distinto” il servizio segreto civile. Ma il generale si distinse anche su un altro versante, perché all’indomani dell’11 settembre quando le strategie di “guerra infinita” e “guerra preventiva” permeavano le scelte di politica estera dell’occidente, Mori decise di giocare un ruolo importante nel ridimensionare i rischi di attentati in Italia da parte del terrorismo islamico e la possibilità, ventilata da più parti, di una saldatura tra questo e le azione delle nuove Brigate Rosse. Fu il suo distinguersi dalle pratiche allarmistiche del Sismi di Pollari che un giorno sì e l’altro pure veicolava minacce inesistenti. I punti più alti di questo scontro, che lo vide alleato con il capo della polizia Gianni De Gennaro, furono due: l’analisi, fatta dinanzi al Copaco, sui rischi di espansione terroristica di cellule islamiche nel nostro paese, ferocemente avversata da buona parte dell’allora maggioranza di governo, e il clamoroso abbandono del comitato analisi strategica antiterrorismo ( CASA ) per protesta con il modus operandi dei “cugini” di Forte Braschi.
L’INIZIO DELLA CADUTA
A fronte di questi successi qualcosa per il generale iniziò ad andare storto quando nell’aprile 2003 venne iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Palermo per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina. L’accusa che coinvolse anche il suo più stretto collaboratore, De Donno, era infamante: collusione con Cosa Nostra. Ma se quello fu un atto dovuto per i PM palermitani, ancora peggio andò per il generale quando il GIP palermitano Vincenzina Massa decise,nel settembre 2004, contro ogni previsione, che la vicenda di Mori doveva essere chiarita in un aula di tribunale. Da allora la posizione del generale si rivelò molto più debole. Anche perché nei mesi seguenti altri suoi stretti collaboratori, tutti provenienti dal Ros, ebbero dei guai con la giustizia.
Il secondo, dopo de Donno, fu Pasquale Angelosanto oggi al ROC, un nuovo ufficio del Sisde voluto fortemente dal generale, una branca operativa che ha scatenato polemiche e sulla cui attività vige il più totale segreto. Angelosanto, infatti, è stato protagonista, in negativo, delle indagini riguardanti Iniziativa Comunista; secondo l’ufficiale il gruppo sarebbe il nocciolo duro da qui sarebbero rinate le nuove BR e in particolare avrebbe avuto un ruolo dirigenziale nell’omicidio di D’Antona. Un ipotesi investigativa smentita in sede processuale quando le prove fornite dalla procura disattesero completamente le indagini di Angelosanto poi denunciato dai membri di Iniziativa comunista dopo l’assoluzione. L’ipotesi di Angelosanto venne fatta a pezzi dal nucleo della Digos comandato allora dal neo-nominato capo del Sisde Gabrielli. Le perplessità sul ROC riguardano il fatto che avrebbe i poteri dei ROS con l’aggiunta di essere direttamente responsabile al Sisde e non ad un arma di riferimento, che dal SISDE attingerebbe capacità info-operative enormi a cui vanno aggiunte quelle di operare con funzioni di polizia giudiziaria, cosa che la legge sui servizi espressamente vieta che i suoi compiti e che infine, assommerebbero le funzioni dello Sco, dell'Ucigos e del Sisde.
IL ROS E LA DROGA
Il terzo dirigente Sisde a finire nei guai fu Mario Obinu oggi sotto processo a Milano, insieme al generale Ganzer, successore di Mori al Ros, per un serie di reati degni di un boss: riciclaggio di denaro, commercio di stupefacenti, oltre al mancato arresto di pericolosi latitanti.
La sezione antidroga del Ros di Brescia, capitanata fin dalla metà degli anni ‘90 da Obinu, secondo i giudici milanesi avrebbe agito come “un'associazione a delinquere armata” che incentivava il traffico di stupefacenti e si sottraeva a tutte le regole riguardanti il sequestro di droga e di soldi e l'obbligo di arrestare i latitanti, andando ben al di là dilàquanto consentito: «Con Obinu e Ganzer il Ros instaura contatti diretti e indiretti con rappresentanti di organizzazioni sudamericane e mediorientali senza procedere né alla loro identificazione né alla loro denuncia»; ordina l'invio in Italia «di quantitativi di stupefacenti con mercantili o per via aerea, versando il corrispettivo con modalità non documentate e utilizzando anche denaro (di cui viene omesso il sequestro per 502 milioni di lire, ndr) ricavato dalla vendita (anche da parte di uomini dell'Arma, ndr) in Italia della droga importata»; «prende in carico lo stupefacente anche per lunghi periodi, talvolta lasciandolo nella disponibilità dei trafficanti»; tra il '96 e il '97 «provvede all'installazione di laboratori per la raffinazione e alla ricerca degli acquirenti, istiga all'acquisto». Il Gup di Milano, Andrea Pellegrino, il 12 giugno 2005 ha rinviato ad un processo la posizione degli indagati: associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, peculato e falso. Insieme a Ganzer e Obinu, verranno citati in giudizio con le stesse accuse un magistrato (il pubblico Ministero bresciano Mario Conte diventato nel 2002 consulente della Commissione Antimafia), un capitano, sette sottufficiali e un appuntato, tutti del Ros. Nella scoperta di questa associazione a delinquere un ruolo di primo piano ha svolto il PM Armando Spataro, testimone d’accusa contro Obinu e Ganzer, che oggi si occupa di Abu Omar e delle intercettazioni illegali dei servizi. Questa storiaccia di droga e armi porterà infatti alla fine del rapporto anche di amicizia tra Ganzer, Obinu e lo stesso magistrato.
Il processo è iniziato il 18 ottobre 2005 ma incurante di queste disavventure, Mori ha deciso di promuovere Obinu a capo della prima divisione( quella dell’antiterrorismo ) nello scorso mese di settembre.
UN FASCICOLO SISDE? QUATTROMILA EURO!
E arriviamo ai nostri giorni. Da quando è scoppiato il caso telecom-intercettazioni, il Sisde è stato blindato. Agli agenti di via Lanza e della Galleria Esedra è stato vietato di portare in ufficio radio, lettori cd, finanche i carica batterie per i cellulari. Le perquisizioni negli uffici della squadra che si occupa della sicurezza interna sono di routine. A scatenare l’allarme di un possibile coinvolgimento nelle vicenda telecom sono state le dichiarazioni di Marco Bernardini, ex agente sisde e componente della cupola di Tavaroli e Cipriani, secondo il quale i fascicoli del servizio erano sul mercato: il costo dai 2000 ai 4000 euro. In una riunione tenuta il 30 settembre scorso il generale Mario Mori ha fatto il punto, catechizzando tutti i massimi dirigenti dall’evitare qualsiasi contatto con le agenzie di investigazioni e ha chiesto di conoscere dove si sono verificate fughe di notizie e di documenti, di cui parla Bernardini. Pochi giorni prima lo stesso generale aveva aperto un’inchiesta interna sulla vicenda.
DAL ROS A TELECOM, ANDATA E RITORNO. UNA TEMPESTA IN ARRIVO.
Il fatto è che dal Ros dei carabinieri provengono quasi tutti i protagonisti della vicenda telecom. A partire da Tavaroli, per passare a Mancini e finire ad Angelo Jannone che, secondo indiscrezioni, sarebbe una delle gole profonde che molti particolari avrebbe raccontato ai giudici. Nel dicembre 2004 l’ex ufficiale del ROS Jannone, allora omologo di Tavaroli alla Telecom Brasile, riceve una preziosa informazione: “Attento, sul tuo capo sta arrivando una tempesta”.
Chi è Jannone? Ex-capitano dei CC a Corleone tra la fine degli anni ’80 e ‘90, ha un ruolo chiave nella compilazione del famoso rapporto sugli appalti presentato da Mori e De Donno ai giudici palermitani nel 1991. Entra nei Ros fin dall’inizio e fa parte della squadra che lavora, all’indomani della strage di Capaci, sull’ipotesi di trattativa tra Mori e Ciancimino per fermare la strategia terroristica di Cosa Nostra. Nei giorni caldi dell’arresto di Riina, e della mancata perquisizione del covo, lavora come uomo ombra di Mori e De Donno a Palermo.
Jannone, dalla fine degli anni ’80, si fida dei metodi di intercettazione di Tavaroli e li fa utilizzare con successo; registra ad esempio i colloqui telefonici tra il commercialista di Riina, Pino Mandalari, e alcuni colletti bianchi nel mondo delle professioni. Dal 1991 in avanti quei metodi vengono fatti propri dal Ros di Mori e De Donno per intercettare i mafiosi siciliani; tra De Donno e Tavaroli si stabilisce un rapporto strettissimo. Dal '96 al 2000 ha diretto il Nucleo Operativo di Mestre, con operazioni diventate memorabili, come l'inchiesta sulla corruzione dei vertici della Polizia Tributaria del Veneto, operazioni anti-usura, anti-droga e contro le organizzazioni mafiose italiane ed estere. Jannone ebbe un ruolo di primo piano nella notte dei "serenissimi", quando cercò di trattare con gli autonomisti che nel 1997 occuparono il campanile di San Marco. Nel 2000 era stato trasferito a Roma dove aveva comandato uno dei quattro reparti centrali del Ros. Ma poi aveva lasciato l'Arma per assumere un incarico in Sud America per Telecom dove si trova a gestire la patata bollente di Telecom Brasile.
Proprio Tavaroli aveva lavorato ai Ros ( nome in codice Tavola ) e prima ancora nelle SSA ( sezione speciale anticrimine ) nel ramo antiterrorismo: venivano chiamati gli Invisibili perché i membri che lo componevano non avevano l’obbligo di firmare, con nome e cognome, alcun rapporto. Qualsiasi operazione antiterrorismo, che veniva comunicata al magistrato di turno, era filtrata esclusivamente dall’ufficiale superiore. Nelle SSA, tra gli invisibili, c’era anche Mancini che entrerà a farne parte dall’inizio degli anni ‘80. Gli invisibili godevano della protezione del colonnello Bonaventura che, insieme a Pignero e Mori, erano gli uomini più fidati di Dalla Chiesa; quelli delle operazioni sporche contro le BR. Dall’arresto di Curcio e Franceschini ( fu Pignero a propalare la sciocchezza che i due brigatisti trovassero rifugio in Cecoslovacchia ), all’operazione di via Montenevoso a Milano a quella di via Fracchia a Genova.
Ritorniamo ad oggi: chi è la fonte che sapeva in anticipo che su Tavaroli si stava abbattendo “la tempesta”?
La questione è stata sollevata davanti ai magistrati dall’ex agente Sisde ( fino al 1997 ) Bernardini, consulente della Polis d’Istinto e della Telecom, che afferma, anche, come lui si è occupato, fino all’arresto, di vendere documenti provenienti dal Sisde.
Jannone nel 2004 è ormai un ex-dirigente Telecom e viene sentito dai magistrati in relazione ai disinvolti metodi di spionaggio di Tavaroli nella vicenda telecom Brasile. Ufficialmente con le vicende italiane non sembra entrarci niente.
Ma cosa e come sapeva Ganzer di quello che stava per succedere al suo ex-agente Tavaroli? Su questo buco nero si appuntano le indagini dei Pm di Milano che infatti hanno chiesto e ottenuto dal gip che all’interno del dispositivo delle misure cautelari sul nome della gola profonda, seppur indagato, venisse posto un omissis.
La nomina di Gabrielli dovrebbe scompaginare tutto. Riesce difficile immaginare, si dice al sisde, che gli uomini di Mori, De Donno e Obinu su tutti ma anche il nuovo responsabile degli analisti, Giuseppe D’Onofrio legato a Pollari e al senatore Sergio De Gregorio, e poi Pasquale Angelosanto ( di cui si è detto ) possano rimanere ai loro posti.
Certo è che poi la nomina di Gabrielli sembra davvero un memento mori per il generale che proprio in quel giovane dirigente della Digos di Firenze si imbattè quando deponendo a Firenze per il processo sulla strage di mafia di via dei Georgofili ammise che la trattativa con i boss corleonesi,per il tramite di don Vito Ciancimino, fu una sua iniziativa solitaria che dietro quella spericolata manovra non c’era nessuno. Cosa che quel giovane poliziotto che per anni aveva indagato sui patti innominabili con Cosa Nostra non credette mai essere la verità.
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