Da La Repubblica del 23/06/2008
Originale su http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/cronaca/emanuela-orlandi/eman...

Le rivelazioni di Sabrina Minardi, ex compagna del boss della Magliana De Pedis. Il corpo fatto sparire in un cantiere a Torvaianica. La famiglia: "Vogliamo le prove"

Caso Orlandi, parla la superteste "Rapita per ordine di Marcinkus"

Accuse verso lo scomparso presidente Ior dalla ex moglie del calciatore Giordano. In un sacco anche il figlio di un boss ucciso per vendetta. Ma le date non corrispondono

di Alessio Gagliardi

ROMA - Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, all'epoca presidente dello Ior. Lo rivela Sabrina Minardi, la supertestimone che per anni fu l'amante del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, detto Renatino. La ragazza, dice Minardi, sarebbe poi stata uccisa e gettata in una betoniera a Torvaianica. E le sue dichiarazioni portano a nuove indagini.

Negli anni '80, la Minardi, dopo la separazione con il "bomber" della Lazio Bruno Giordano, ebbe una storia con De Pedis, che nel dicembre 1984 fu catturato proprio grazie al pedinamento della donna. Gli misero le manette nell'appartamento di Via Vittorini 63 dove lei viveva. Negli anni successivi, Minardi attraversò periodi segnati dalla cocaina. Oggi si trova in una comunità terapeutica in Trentino. Poche settimane fa, la sua famiglia è tornata all'attenzione della cronaca perché la figlia, Valentina Giordano, fu protagonista, insieme al fidanzato Stefano Lucidi, del tragico incidente sulla Nomentana in cui morirono Alessio Giuliani e la sua ragazza Flaminia Giordani.

"Nel sacco anche un bambino". "Successe tutto a Torvaianica", ha ricordato Sabrina Minardi durante un colloquio con i dirigenti della squadra mobile, avvenuto il 14 marzo scorso. "Con Renatino, a pranzo da Pippo l'Abruzzese, arrivò Sergio, l'autista, con due sacchi. Andammo in un cantiere, io restai in auto: buttarono tutto dentro una betoniera. Così facciamo scomparire tutte le prove, dissero". In uno di quei sacchi c'era il corpo di Emanuela Orlandi e nell'altro, sostiene la donna, un bambino di 11 anni ucciso per vendetta, Domenico Nicitra, figlio di uno storico esponente della banda.

Date contrastanti. La testimone sostiene di essere stata la compagna del boss della Magliana tra la primavera dell'82 e il novembre dell'84. Emanuela Orlandi scomparve il 22 giugno dell'83, ma Domenico Nicitra, il bambino ucciso, morì dieci anni dopo, il 21 giugno 1993, quando De Pedis era già morto (fu ucciso all'inizio del 1990). Forse la confusione sulle date è colpa degli psicofarmaci e della droga di cui la testimone ammette di aver fatto uso per anni. Ma le dichiarazioni rese ai magistrati restano sufficientemente circostanziate e tali da giustificare un supplemento di indagini.

"Consegnai Emanuela a un sacerdote". La donna racconta di aver accompagnato con la sua macchina Emanuela Orlandi (forse durante il rapimento, ndr) e di averla consegnata a un sacerdote. Accadde sei, sette mesi prima - dice - della tragica esecuzione della figlia del commesso della Casa Pontificia. "Arrivai al bar del Gianicolo in macchina (...) Renatino mi aveva detto che avrei incontrato una ragazza che dovevo accompagnare al benzinaio del Vaticano. Arriva 'sta ragazzina: era confusa, non stava bene, piangeva e rideva. All'appuntamento c'era uno che sembrava un sacerdote: scese da una Mercedes targata Città del Vaticano e prese la ragazza. A casa domandai: A Renà, ma quella non era... Se l'hai conosciuta, mi rispose, è meglio che te la scordi. Fatti gli affari tuoi".

"Poi - aggiunge Minardi - a De Pedis chiesi: 'in mezzo a che impiccio mi hai messo', e lui rispose 'nessun impiccio'". "Di li a pochi giorni - ha detto ai pm - tentarono di rapire mia figlia, chiamai immediatamente Renato e mi disse 'se ti sei scordata quello che hai visto non succederà niente a tua figlia'. In effetti, fino a oggi non le è successo nulla" però "ho un po' di timore, perché è vero che Renato è morto, ma ci sono altre persone...".

E ancora sui ruoli rivestiti quel giorno: "La Bmw la guidava Sergio". Di quest'ultimo, di età compresa tra i 21 e i 24 anni, Minardi dà anche una descrizione: "Sarà stato alto, più o meno un metro e novanta, era parecchio più alto di Renato. Belle spalle, fisico da boxer, da sportivo, insomma. Capelli chiari e occhi verdi-azzurri. Molto riservato. Io lo vedevo sempre, faceva l'autista a Renato. Aveva un'Audi bianca. La Bmw la vidi soltanto in quel frangente lì su. Sergio l'aveva portata al bar Gianicolo".

La testimone specifica, inoltre, che lei e De Pedis arrivarono al bar Gianicolo a bordo di una A112 bianca, di proprietà della donna."Renato e Sergio me la misero (la ragazza, ndr) in macchina, più che Renato, Sergio prese la ragazza dalle mani di questa signora e la accompagnò nella mia macchina. Poi, io salii in macchina e andai. Mi dissero che alla fine di quella via c'era questo signore che l'aspettava".

La prigione. Emanuela Orlandi sarebbe stata tenuta (durante il rapimento, ndr) in un'abitazione, vicino a piazza San Giovanni di Dio, che aveva "un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all'ospedale San Camillo", ha aggiunto Minardi. Di lei si sarebbe occupata la governante della signora, Daniela Mobili. Secondo la testimone, la Mobili, sposata con Vittorio Sciattella, era vicina a Danilo Abbruciati, il killer della Banda della Magliana freddato nell'82 durante il fallito agguato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco ambrosiano.

All'appuntamento al Gianicolo, Emanuela sarebbe arrivata con la donna di servizio. Incalzata dai magistrati sull'esatta collocazione della casa, la teste ha spiegato che si trovava, venendo dalla stazione di Trastevere e salendo dalla circonvallazione Gianicolense, uno o due semafori prima della piazza San Giovanni di Dio: "A un certo punto, sulla destra ci sono dei giardini, un piccolo parco, in quella traversa lì. Dovrebbe esserci pure un fabbricato basso, un palazzo se lo ricordo bene". E il sotterraneo? "Immenso, arrivava quasi fino all'ospedale San Camillo. Io lo vidi, ma poi mi misi a camminà du' minuti, poi che mi fregava. Insomma, non mi interessava andare oltre".

Monsignor Marcinkus. Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, che fu presidente dello Ior, la banca del Vaticano, dal 1971 al 1989. Marcinkus è morto il 20 febbraio 2006 a Sun City, in Arizona. Alla specifica domanda dei magistrati, tramite chi Renato fosse stato delegato a prendere Emanuela, la donna risponde: "Tramite lo Ior... Quel monsignor Marcinkus... Renato ogni tanto si confidava". Sulle motivazioni del sequestro: "Stavano arrivando secondo me sulle tracce di chi... perché secondo me non è stato un sequestro a scopo di soldi, è stato fatto un sequestro indicato. Io ti dico monsignor Marcinkus perché io non so chi c'è dietro.. ma io l'ho conosciuto a cena con Renato... hanno rapito Emanuela per dare un messaggio a qualcuno".

La testimone sottolinea di non sapere chi materialmente prese Emanuela: "Quello che so è che (la decisione, ndr) era partita da alte vette... tipo monsignor Marcinkus... E' come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro. Era lo sconvolgimento che avrebbe creato la notizia". La donna fa un paragone con la morte di Roberto Calvi: "Gli hanno trovato le mani legate dietro, perché tu mi vuoi dare un messaggio". In un colloquio successivo, il 19 marzo, la donna aggiunge: "Renato, da quello che mi diceva, aveva interesse a cosare con Marcinkus perché questi gli metteva sul mercato estero i soldi provenienti dai sequestri".

Le ragioni del rapimento. La teste, sentita successivamente dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto, ipotizza come ragione della scomparsa della giovane una "guerra di potere": "Io la motivazione esatta non la so - dice ai magistrati - però posso dire che con De Pedis conobbi monsignor Marcinkus. Lui era molto ammanicato con il Vaticano, però i motivi posso immaginare che fossero quelli di riciclare il denaro. Mi sembra che Marcinkus allora era il presidente dello Ior... però sono ricordi così. Gli rimetteva questi soldi... Io a monsignor Marcinkus a volte portavo anche le ragazze lì, in un appartamento di fronte, a via Porta Angelica... Sarà successo in totale quattro o cinque volte, tre-quattro volte... Lui era vestito come una persona normale".

Secondo la donna, l'iniziativa partiva da Renato. "C'era poi il segretario - rivela - un certo Flavio. Non so se era il segretario ufficiale. Comunque gli faceva da segretario. Mi telefonava al telefono di casa mia e mi diceva: 'C'è il dottore che vorrebbe avere un incontro'. Embè, me lo faceva capire al telefono. Poi, a lui piacevano più signorine ('minorenni, no')! Quando entravo, vedevo il signore; non che mi aprisse lui, c'era sempre questo Flavio. Mi facevano accomodare i primi cinque minuti, poi io dicevo: 'Ragazze, quando avete fatto, prendete un taxi e ve ne andate. Ci vediamo, poi, domani'".

Sabrina Minardi, rispondendo ai magistrati, precisa che le modalità con cui avvenivano questi incontri erano diverse da quelle riferite sull'episodio del Gianicolo. "Mi ricordo che una volta Renato portava sempre delle grosse borse di soldi a casa. Sa, le borse di Vuitton, quelle con la cerniera sopra. Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti e mi ricordo che contò un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus".

A cena da Andreotti. Sabrina Minardi ha riferito di essere andata anche a casa di Giulio Andreotti. "Io andai anche a cena a casa di Andreotti, con Renato (De Pedis, ndr) - racconta - ovviamente davanti a me non parlavano... due volte ci sono andata... Renato ricercato... La macchina della scorta sotto casa di Andreotti della polizia... Renato ricercato, siamo andati su... eh... accoglienza al massimo... c'era pure la signora... la moglie... una donnetta caruccia ... ovviamente davanti non parlavano di niente". La teste precisa che Andreotti "non c'entra direttamente con Emanuela Orlandi, ma con monsignor Marcinkus sì".

La sorella: "Chi sa, si liberi la coscienza". Domani, riunione degli investigatori negli uffici giudiziari per fare il punto dell'indagine. La sorella di Emanuela vuole le prove: "Senza quelle, non credo alla presunta testimone. Emanuela non è andata via spontaneamente, siamo sicuri di questo e quindi qualcuno è davvero a conoscenza di ciò che è accaduto. Mi chiedo se non sia arrivato, e già da tempo, il momento che questo qualcuno venga fuori e si liberi la coscienza".

Inquirenti in cerca di riscontri. Gli inquirenti, prima di pronunciarsi sulla fondatezza o meno delle dichiarazioni, vogliono riscontrare ogni più piccolo particolare. "Nel verbale della testimone ci sono indubbie incongruenze temporali che ci lasciano un po' perplessi - ammettono a piazzale Clodio - ma alcuni dettagli sono così precisi e circostanziati che meritano di essere approfonditi con attenzione". Del resto, è la prima volta che qualcuno riferisce fatti concreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi anche se il coinvolgimento in questa vicenda della Banda della Magliana non è un elemento inedito. "La supertestimone - è stato spiegato in Procura - non beneficia di alcun regime di protezione, non è indagata così come nessuno altro è finito sotto inchiesta sulla base di quanto da lei stessa detto". Minardi non avrebbe chiesto agli inquirenti nulla in cambio della sua lunga audizione.

Il pentito: "I Lupi grigi non c'entrano". Non è la prima volta che il nome di Emanuela Orlandi viene collegato alla Banda della Magliana. Una telefonata anonima giunta negli anni scorsi alla redazione di Chi l'ha visto? rivelò che i resti della ragazza erano nella basilica di Sant'Apollinare a Roma: "Se volete saperne di più su Emanuela Orlandi, guardate nella tomba di De Pedis", tumulato nella chiesa, nonostante i suoi trascorsi, per le generose offerte che aveva elargito alla parrocchia. E un pentito della banda, un anno fa, disse ai magistrati della Procura di Roma che in carcere, all'epoca della scomparsa della 15enne, girava insistente la voce che la pista dei "lupi grigi" collegata ad Ali Agca, l'attentatore di Giovanni Paolo II, non c'entrava niente col rapimento. "Si diceva - disse Antonio Mancini - che la ragazza era robba nostra, l'aveva presa uno dei nostri".

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