Da La Repubblica del 05/12/2005

Dopo 35 anni un testimone riapre il caso. Il senatore: inimmaginabile, sto bene con la democrazia

E la Cia disse: sì al golpe Borghese ma soltanto con Andreotti premier

di Giovanni Maria Bellu

ROMA - Il mancato ministro degli Esteri del governo golpista si chiama Adriano Monti, fa il medico a Rieti, ed è un distinto signore sulla settantina. Quasi trentacinque anni dopo il fallimento che gli cambiò la vita, ha deciso di parlare. Ha detto molte cose interessanti. Per esempio, il nome di quello che, se il piano fosse andato in porto, sarebbe stato il capo del governo militare: Giulio Andreotti. Ad indicarlo, secondo il testimone, fu la Cia, il servizio segreto americano.

La scontata smentita di Andreotti, assieme a tutto il resto, andrà in onda stasera su Raitre alle 23,40 in una puntata de "La storia siamo noi", di Giovanni Minoli, dedicata al "golpe Borghese", (dal nome del suo ideatore, il principe Junio Valerio Borghese) o anche "golpe dell'Immacolata" (i fatti si svolsero la notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970).

Definizioni che appartengono a una convenzione giornalistica e storiografica. Per la giustizia italiana, infatti, non si trattò d'un tentativo di colpo di Stato ma di «un conciliabolo di quattro o cinque sessantenni»: il 27 novembre del 1984, la corte d'assise d'appello di Roma mandò assolti un'ottantina di imputati tra generali, colonnelli e neofascisti, e mise la pietra tombale sul più pericoloso tra i tentativi d'annientare la democrazia italiana.

Se Adriano Monti avesse detto allora anche solo la metà di ciò che ha raccontato a Marco Marra, l'autore dell'inchiesta, le cose sarebbero andate diversamente. «Ero un tramite con certi ambienti internazionali - ha spiegato - e avevo l'incarico di verificare se questa nuova aura di presidenzialismo era gradita a certi ambienti». La "nuova aura di presidenzialismo" non era altro che il golpe. Gli "ambienti" erano gli Stati Uniti di Richard Nixon. A rappresentarli in Italia era Ugo Fenwich, un giovane manager industriale. Monti riuscì a diventarne amico e lo informò del progetto golpista che fu subito portato a conoscenza dell'ambasciata Usa e del dipartimento di Stato a Washington. Vicenda interamente documentata lo scorso anno da "Repubblica" con una serie di informative provenienti dagli archivi segreti americani.

Il racconto di Monti, non solo conferma che "gli americani sapevano" ma rivela che, per ottenere il loro appoggio, il principe Junio Valerio Borghese utilizzò tutte le sue conoscenze e amicizie, anche quelle maturate dopo l'8 settembre del 1943 quando, con la sua Decima Mas, si era schierato accanto ai nazisti. Così il giovane medico reatino, che ambiva all'incarico di ministro degli Esteri del futuro governo golpista, fu inviato a Madrid e si incontrò nientemeno che con Otto Skorzeny, l'austriaco che, su incarico di Hitler, il 12 settembre del 1943 aveva liberato Benito Mussolini. Dopo quella spericolata operazione, Skorzeny era stato dichiarato "l'uomo pericoloso d'Europa". Ma, finita la guerra, al pari di tanti altri ex nazisti, era stato reclutato dai servizi americani come combattente anticomunista. Dunque, quando nel 1970 Monti lo incontrò in Spagna, era un agente della Cia.

«Gli chiesi - racconta il testimone - se poteva dare la conferma che da parte di certi ambienti dell'intelligence americana, si guardava con rispetto a un'iniziativa del genere. Dopo un ponderato pomeriggio d'attesa, la risposta fu "sì". A condizione che ci fosse un personaggio da loro indicato, un nome della politica italiana che doveva dare la garanzia. Avrebbe dovuto essere praticamente un presidente in pectore di questa specie di governo militare o paramilitare». «Chi era?», domanda l'intervistatore. «Giulio Andreotti», risponde Monti.

Chi stasera vedrà il programma di Giovanni Minoli, avrà modo di farsi un'idea della reazione del chiamato in causa. Il primo piano di Andreotti compare un istante dopo che Monti ha fatto il suo nome: «Strano... non immaginavo nemmeno queste forme insurrezionali... sono negato concettualmente. Mi sono sempre trovato bene nel sistema democratico». Un altro istante, ed ecco di nuovo Monti, che precisa: «Se lui fosse d'accordo, non lo so».

Quel che accadde la notte dell'Immacolata del 1970 è noto da tempo. Gli uomini del Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese occuparono il Viminale e ne saccheggiarono l'armeria mentre circa duecento forestali sostavano a poche centinaia di metri dalla Rai di Via Teulada in attesa dell'ordine d'attacco. Era pronto anche il proclama alla nazione. Poi accadde un evento ancora misterioso. Qualcuno, mai si è saputo chi fosse, telefonò ai golpisti e ordinò la ritirata. Proprio un attimo prima che accadesse l'irreparabile: il sequestro del capo dello Stato, Giuseppe Saragat, e l'omicidio del capo della polizia, per compiere il quale erano giunti della Sicilia dei killer di Cosa Nostra. Ma questa circostanza emerse solo nel 1991, assieme al coinvolgimento di Licio Gelli. Si scoprì pure che solo una piccola parte del dossier di Maletti era stata mandata alla procura di Roma e che i nomi di alcuni alti ufficiali erano stati cancellati. Troppo tardi. Uno di loro, Giovanni Torrisi, aveva fatto a tempo a diventare capo di Stato maggiore della Difesa prima d'essere scoperto, assieme a molti altri golpisti dell'Immacolata, nelle liste della P2. Andreotti, stasera, dirà la sua anche su questo.

Comunque, l'8 dicembre del 1970 l'Italia si svegliò democratica e ignara. La prima notizia del tentato golpe fu data, circa tre mesi dopo, da "Paese Sera". Partì l'inchiesta giudiziaria. Il capo del servizio segreto, Vito Miceli, comunicò alla magistratura che le Forze Armate erano estranee alla vicenda. Ma, quattro anni, dopo proprio Andreotti inviò alla procura di Roma un dossier elaborato da un altro dei nostri spioni storici, Gian Adelio Maletti, dal quale emergeva che lo stesso Miceli era coinvolto nel piano. Scoppiò lo scandalo che si può immaginare. Nell'ottobre del 1974 Miceli fu arrestato, una ventina di alti ufficiali cambiarono incarico. Anche Adriano Monti finì in carcere e ci rimase fino alla primavera del 1975. Scarcerato per motivi di salute, lasciò l'Italia. E benché assolto per insufficienza di prove fin dal primo grado, per rientrare attese la Cassazione: dieci anni di volontario esilio. Poi altri venti di silenzio.

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Documenti


7 - 8 dicembre 1970
4. Il golpe Borghese
Dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Terrorismo.

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