Da Corriere della Sera del 11/03/2007

INCHIESTE Carlo Lucarelli ricostruisce la carneficina di Milano e svela alcuni retroscena

La vittima preventiva di piazza Fontana

Tre mesi prima della strage un ex carabiniere morì in modo sospetto

di Giovanni Bianconi

L a contabilità ufficiale è fissata in 17 morti e 86 feriti. Sono le vittime di piazza Fontana, «la madre di tutte le stragi», Milano, 12 dicembre 1969. In realtà quella sera di morti se ne contarono dodici, arrivarono a sedici nelle ore e nei giorni a seguire. Il diciassettesimo entrò nel conto più di un anno dopo: un signore stroncato da una «polmonite aggravata dalle complicazioni per le ferite subite». Anche lui deceduto per effetto della bomba, seppure «collaterale».
Ma piazza Fontana non è solo l'esplosione assassina nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura. È una storia più lunga che comincia prima e finisce dopo, e chissà se è davvero finita. Neppure le vittime si fermano a quei numeri. Ce n'è un'altra, considerata la diciottesima (o la diciassettesima in ordine di tempo) quasi a furor di popolo: l'anarchico Pinelli volato da una finestra della questura di Milano tre giorni dopo la bomba. E per connessione con quella morte mai chiarita, nemmeno dalla sentenza che consacrò il principio del «malore attivo», due anni e mezzo dopo arrivò la diciannovesima: il commissario Luigi Calabresi, colpito prima da una campagna che lo indicava come responsabile della morte di Pinelli (ma secondo tutte le testimonianze quando l'anarchico volò giù lui non era nella stanza) e poi dai proiettili che l'hanno assassinato in una strada di Milano, la mattina del 17 maggio 1972. Tanti
anni dopo la giustizia ha trovato i colpevoli di quella morte, Adriano Sofri e altri tre militanti di Lotta continua.
«Un'altra sentenza che non convince tutti», scrive Carlo Lucarelli nel suo Piazza Fontana, il libro che accompagna il dvd con la trasmissione tv dedicata dallo scrittore alla strage, andata in onda su Raitre e ora edita da Einaudi. Un'altra storia che affonda le sue radici nella bomba di quel 12 dicembre. Come pure la morte di Alberto Muraro, prima carabiniere e poi portinaio in un condominio di Padova. Anche lui precipitò nel vuoto, quindici metri e poi il tonfo. Tre mesi prima della strage, 15 settembre 1969. Ma si può considerare la ventesima vittima di piazza Fontana. Vittima preventiva. Il giallista Lucarelli comincia da lì il suo racconto: «C'è un uomo che vola... La moglie lo troverà qualche ora dopo, nel vano dell'ascensore. Morto».
I lettori scopriranno il collegamento con la strage a metà libro. Prima e dopo, la ricostruzione veloce di un'indagine mai lineare, disseminata di bugie, coperture e depistaggi. Una storia gonfia di segreti, dove resta intatto il mistero e ancor più l'orrore. Come quello che provò l'allievo sottufficiale di pubblica sicurezza che accorse all'interno della banca, subito dopo l'esplosione, e vide «un gran buco, macerie e resti di corpi, confusi nella polvere che offusca la vista. C'è anche una mano che si agita come se chiedesse aiuto, ma quando l'afferra l'allievo sottufficiale si trova in mano soltanto un braccio, troncato di netto».
Alla fine più che del «giallo» prevale l'atmosfera del «noir», dove affiora la verità ma non la giustizia. Dopo la falsa pista anarchica venne imboccata quella dei neofascisti. Che subirono l'altalena di sentenze tipica dei processi per strage: ergastolo, assoluzione, annullamento, nuova assoluzione stavolta definitiva. E poi, quattordici anni dopo, un altro processo contro altri imputati «neri»: ancora ergastoli, e poi ancora assoluzioni in appello, definitive dal 2005, trentasei anni dopo la bomba. Ma con un particolare: l'ultima sentenza dice che in effetti i colpevoli erano quelli dell'altro processo, il primo ai neofascisti, solo che la loro assoluzione è ormai intangibile. Verità senza giustizia, quindi (o meglio, un pezzo di verità accompagnato dalla giustizia negata) nel romanzo nero che ha attraversato l'Italia intera: da Milano al Veneto, da Roma a Catanzaro e Bari, dove si svolsero i primi processi perché nella città della strage non c'erano le condizioni ambientali adeguate. Eppure fu proprio Milano a dare la prima risposta civile con quei funerali affollati e cupi. Allora le bare erano solo sedici. Poi aumentarono, e nel corso degli anni si aggiunsero quelle delle vittime «collaterali» e delle altre stragi. Figlie di piazza Fontana.

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