69. A Riccardo Misasi

Non recapitata

Documento aggiornato al 04/01/2005
Caro Riccardo,

avendoti prescelto, solo per l'antica amicizia e stima quale mio portavoce, si tratti poi del Consiglio nazionale, o della Direzione del Partito, invio a te alcune considerazioni utili per il dibattito, le quali però, a differenza delle altre, hanno carattere confidenziale e non sono destinate alla pubblicazione. Ciò vuol dire che tu richiamerai discretamente su di esse, a mio nome, l'attenzione degli ascoltatori, ovviamente insieme alle altre argomentazioni sulle quali, per essere state esse già pubblicate si potrà essere più netti e chiari. Mi pare però ci sia qualche cosa che, nel foro interno, non è possibile ignorare. Oltre ad essere parte in causa, quale Presidente pro-tempore del Consiglio Nazionale, adempio con questi miei scritti la mia funzione di stimolo alla riflessione non senza rilevare con disappunto che del mio primo scritto si è profilata una specie di blocco o censura, che reputo inammissibili.
Scorrendo rapidamente qualche giornale in questi giorni, fra alcune cose false, assurde e francamente ignobili, ho rilevato che andava riaffiorando la tesi (la più comoda) della mia non autenticità e non credibilità. Moro insomma non è Moro, tesi nella quale si sono lasciati irretire, come ho documentato, amici carissimi, ignari di prestarsi ad una vera speculazione. Per qualcuno la ragione di dubbio è nella calligrafia, incerta, tremolante, con un'oscillante tenuta delle righe. Il rilievo è ridicolo, se non provocatorio. Pensa qualcuno che io mi trovi in un comodo e attrezzato ufficio ministeriale o di partito? Io sono, sia ben chiaro un prigioniero politico ed accetto senza la minima riserva, senza né pensiero né un gesto di impazienza la mia condizione. Pretendere però in queste circostanze grafie cristalline e ordinate e magari lo sforzo di una copiatura, significa essere fuori della realtà delle cose.
Quello che io chiedo al partito è uno sforzo di riflessione in spirito di verità. Perché la verità, cari amici, è più grande di qualsiasi tornaconto. Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi dall'altra parte un atomo di verità, ed io sarò comunque perdente. Lo so che le elezioni pesano in relazione alla limpidità ed obiettività dei giudizi che il politico è chiamato a formulare. Ma la verità è la verità. E' per questo che ho ascoltato (dirò poco) con sommo rammarico la reazione dell'On. Zucconi alla nota proposta dell'On. Craxi. Si tratterebbe, cito a memoria, di una vana caccia di voti delle sinistre democristiane. Del resto il dialogo di altri esponenti politici con l'On. Craxi non è di maggior delicatezza.
Ecco cosa resta, in Parlamento, di un'iniziativa e politica insieme: la raccolta di qualche centinaia di voti.
Vogliamo, colleghi democristiani, alzarci un po' al di sopra di queste cose? Vogliamo occuparci un po' meno di voti e più di umanità e di politica?
In un tema come questo gli argomenti sono quelli che sono, non si possono moltiplicare. Ma quel che importa è che su di essi cada una seria riflessione. C'è un punto di partenza politico, sul quale mi soffermerò un momento con delicatezza. Perché non mi interessano le persone, ma la concatenazione degli avvenimenti. Io non so che cosa sia avvenuto, come non so tante altre cose, nei minuti tra il mio rapimento e la presentazione del Governo alle Camere con l'enunciazione della c.d. linea rigida di difesa della Costituzione (ma in che senso, poi?).
Vi fu un fatto di rilevante gravità. La circostanza che il Governo fosse appena formato, non senza qualche riserva, autorizza a passare sopra al discorso dei fatti accaduti e delle conseguenti responsabilità? Il servizio di scorta era di gran lunga al di sotto delle sue esigenze operative. Il rapito, del resto trattato con rispetto, si trovava ad essere il Presidente del Consiglio Naz. del Partito, carica, a mio avviso, onorifica e ambigua, ma che, come i fatti dimostrano, aveva ingenerato in altri l'impressione che si trattasse del personaggio chiave della politica italiana e, per giunta, presunto candidato alla Presidenza della Repubblica (candidatura mai accettata).
Possibile che per questo personaggio il metodo tradizionale di scorta palesemente insufficiente, non sia stato almeno ritoccato data la particolarità delle circostanze? Possibile che questa strategia dipendesse da un modesto funzionario? Possibile che tutti i personaggi che si consultarono sul fatto del giorno, non abbiano almeno tenuto conto del fatto che la persona sequestrata fosse persona di un certo rilievo nella vita del Partito e dello Stato?
In proposito vi fu, nel mio primo messaggio, qualche cauto accenno, il quale per altro non fu né valutato né raccolto dai saggi che si avvicendarono ad esprimere il loro consenso alla tesi intransigente. Insomma: poco fu fatto prima, nulla fu fatto dopo. E questa è la base, francamente incredibile, del rigore manifestatosi successivamente. Leggevo ieri una cosa ben chiara e netta dell'on. Riccardo Lombardi. In sostanza così all'incirca ragiona l'anziano e saggio parlamentare socialista, se i prigionieri in questa vicenda fossero numerosi, e si ponesse per essi un problema di scambio, non v'è dubbio che lo Stato tutelerebbe meglio i propri interessi (a parte i problemi umanitari) accedendo allo scambio e non li tutelerebbe negandolo. Che cosa cambia in linea di principio se il prigioniero è uno? Il che vuol dire che la persecuzione ad ogni costo, in quella forma, dell'atto illecito, non risponderebbe ad una ragione sostanziale. Nella sostanza, nel merito delle cose cioè sono le circostanze che debbono indurre a valutare che cosa sia conveniente fare nel rispetto della vita, nel rapporto tra detenzione ed uccisione, nella tutela dei giusti interessi dello Stato, nel riconoscimento delle ragioni umanitarie. Ecco perché queste cose sono e non possono essere disciplinate nel segno dello Stato di necessità, salvo le ipotesi più semplici alle quali fa riferimento saggiamente l'On. Craxi. La casistica, sulla quale più volte mi sono soffermato è al riguardo altamente indicativa, dagli innumerevoli casi di salvezza di ostaggi fino ai casi dei palestinesi di cui si è parlato.
Del resto, senza soffermarsi troppo su casi assai delicati e bisognosi di approfondimento, non si può negare che taluni fenomeni, a differenza di altri, hanno carattere di guerriglia con una propria fisionomia politica e giuridica, ponendo problemi che proprio le attuali circostanze mettono in evidenza ed alla cui soluzione (e ci si muove in questa direzione) non può essere estraneo il Comitato per la Croce Rossa internazionale ed il cosiddetto diritto umanitario che è in elaborazione. E quanto alla natura dei fatti basterà ricordare le vicende dell'Alto Adige.
E nella casistica cui accennavo si aggiunga il caso Lorenz nella stessa Germania.
I fatti sono dunque tanto chiari che il categorico rifiuto di prenderli in considerazione in questo momento non può apparire che un partito preso, un allineamento su posizioni esterne, una deformazione del volto umano dell'Italia. Questa rigidezza non corrisponde alla linea politica della D.C., giunta all'assurdo rifiuto della proposta Craxi.
A questa deformazione la direzione D.C. deve dire basta prima che il danno diventi ancor più grave e irreparabile.*

* La lettera si interrompe così ed è priva di firma e di seguito
 
Cos'è Archivio900?
"Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere"... [Leggi]
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