1. Premessa

Dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Terrorismo.

L’omicidio del professor Massimo D’Antona richiama l’attenzione della Commissione sulla necessità di adempiere in una prospettiva nuova ad uno dei compiti che le sono stati assegnati dalla legge istitutiva: "accertare (riferendone al Parlamento) i risultati conseguiti e lo stato attuale nella lotta al terrorismo in Italia".

Documento aggiornato il 24/02/2006
Tale compito nella XII e in questa XIII legislatura la Commissione ha interpretato come teso prevalentemente a formulare una valutazione – in chiave ormai storico-politica, dato il tempo trascorso – della risposta istituzionale data dallo Stato ai fenomeni terroristici di opposta matrice, che caratterizzarono il difficilissimo periodo della storia nazionale, che va dalla strage di piazza Fontana (1969) e dagli attentati che la precedettero nella primavera-estate dello stesso anno all’omicidio Ruffilli (1988), anche se non mancarono momenti di attenzione all’attualità come ad esempio la specifica inchiesta dedicata ai fatti della "Uno bianca".
Ma l’omicidio D’Antona chiama ora la Commissione ad una attualizzazione del suo compito, a domandarsi, cioè, se nel decennio trascorso vi sia stata in sede istituzionale una sottovalutazione del rischio di una nuova insorgenza terroristica e, quindi, a riflettere criticamente sul complesso delle misure e delle attività di prevenzione e contrasto adottate dalle forze di sicurezza, nonché sulla capacità degli apparati repressivi di operare con la dovuta efficacia e tempestività.
In questa riflessione critica una prima valutazione si impone: l’omicidio D’Antona non era sicuramente un fatto prevenibile, non è stato però nella sua tragicità, un evento del tutto imprevedibile, come pure a molti è sembrato.
All’opinione pubblica – pure alla più avvertita – esso è apparso, infatti, come il sorprendente e inatteso ritorno di fantasmi di un passato, che fiduciosamente si riteneva oramai archiviato e in qualche modo passato in giudicato; sicché il suo risorgere improvviso ha determinato l’angosciante interrogativo sulla possibilità che il Paese ricadesse d’un tratto nella pesante atmosfera degli anni di piombo.
Così ovviamente non è e simili enfatizzazioni non giovano, perché fortunatamente la situazione attuale del Paese non è quella degli anni Settanta. Ma colpevole sarebbe anche una minimizzazione dell’evento, insita nel considerarlo come un episodio eccezionale ed isolato, come tale del tutto inidoneo a porsi come l’anello iniziale di un’altra catena sanguinosa.
Non esistono più nel nostro Paese le situazioni di tensione e di vero e proprio scontro sociale che caratterizzarono gli anni Settanta e che determinarono il conflagrare di estremismi di opposto colore; non esiste più, per ciò che in particolare riguarda l’eversione di sinistra, l’ampiezza di un movimento di contestazione che attingeva ad ampi settori del mondo del lavoro e della fabbrica, coinvolgeva in modo vasto la popolazione studentesca delle scuole e delle università, lambiva, sia pur in ristretti ambiti, la borghesia e l’intellettualità italiana (i cattivi maestri). Ma anche una democrazia salda e una società non attraversata da eccessive tensioni convivono nel tempo presente con il rischio concreto di un periodico riaccendersi di fiammate terroristiche; un rischio questo che, se pure esclude un allarmismo eccessivo, impone comunque un grado elevato di attenzione volto alla prevenzione dei fenomeni e in ogni caso ad una efficiente azione di contrasto.
 
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